Alcune di queste informazioni le avrete forse già lette, altre (spero) no. Ma è istruttivo averle presenti insieme come su una tavola sinottica, perché nel loro valore simbolico – che supera i fatti di cronaca – mostrano una tendenza
univoca percepibile nel rumore di fondo: l’avanzare sempre più veloce e trionfale del Progresso, verso l’uomo nuovo: che è l’uomo liquido, affrancatosi dalle tradizioni, dalla natura (può scegliersi il gender ) e via via, da ogni condizionamento. Compresa la verità e la giustizia.
Se poi alla fine tutto questo immane movimento di auto-liberazione risulterà in un Nuovo Ordine Mondiale simile alla schiavitù per chi non può permettersi di pagare, poco male: fate il salto ulteriore, uscite dall’umanità, come vi suggeriscono tutti i poteri forti. La salvezza è nel transumanesimo.
Usa: in 234 giorni, 249 sparatorie con morti
Il conto l’ha tenuto una apposita organizzazione di volontariato, chiamata Mass Shooting Trackers: nei primi 234 giorni del 2015, in America ci sono state 249 sparatorie di massa. Nella definizione dell’FBI, “sparatorie di massa” (mass shootings) sono quelle in cui muoiono almeno 3 persone, compreso lo sparatore. L’organizzazione di volontariato di cui sopra contesta questa misura, perché (per esempio) lascerebbe fuori l’eccidio di Lafayette, del 23 luglio, in cui un sessantenne sparò in un cinema uccidendo 2 persone e ferendone 9. Adotta invece il criterio: almeno 3 feriti o morti, compreso il tiratore (o i tiratori).
Naturalmente l’ente chiama in causa la facilità con cui in Usa ci si procurano le armi da fuoco. Sorvola invece sulla enorme potenza della rabbia, frustrazione, senso di scacco dei perdenti nella società post-umana, una società dove non esiste il perdono e il male è immedicabile (rivedere il film Magnolia, 1999).
Kiev: Kolomoiski s’è fregato 1,8 miliardi . Del Fondo Monetario
Il Fondo Monetario Internazionale, generoso con Kiev come non è mai stato con Atene (né alcun’altra capitale), nel 2014 ha pompato 32 miliardi di dollari d’urgenza per scongiurare l’insolvenza del regime nato dal golpe; nei mesi seguenti, ha dato altri altri 4,5 mld dollari alla banca centrale ucraina per stabilizzare banche pericolanti….ma di questi 1,8 mld sono scomparsi in canali oscuri. Fino a quando una organizzazione di cittadini, chiamata Nashi Groshi (“I nostri soldi”) non ha illuminato detti canali. Essi portano a Igor Kolomoiski, l’oligarca ebreo accreditato da Forbes di una fortuna di 1,24 miliardi di dollari, nominato da Kiev governatore di Dnipopetrovsk, e padrone dell’esercito privato neonazi (Dnipro-1 e Dnipro.-2), forte di 20 mila uomini che lui arma, rifornisce e stipendia, che ha combattuto i ribelli del Donbass molto più efficacemente dell’armata ucraina ufficiale.
In teoria, il Fmi doveva avere il controllo diretto dei soldi c he ha elargito per “salvare le banche” ucraine. Invece le suddette banche si sono scelte da sé i loro revisori dei conti. A cominciare dalla più grossa di tutte, la PrivatBank, che è appunto la maggiore banca in Ucraina ed appartiene a Kolomoiski. La PrivatBank si accaparra il 40% della cifra stanziata: e si capisce, nel febbraio 2015 la banca del miliardario deve essere salvata con urgenza dal fallimento.
Così s’è alquanto sorvolato sui metodi che hanno determinato la sparizione dei 1,8 miliardi. 42 società ucraine hanno ottenuto da PrivatBank crediti per 1,8 miliardi, con cui hanno ordinato merci e beni a sei società estere (tre con sede in Gran Bretagna, due alle Isole Vergini ed una ai Caraibi); hanno accreditato le cifre necessarie nei conti delle 6 dette aziende che – guarda caso – sono tutti nella filiale che la PrivatBank ha aperto a Cipro. In realtà, le 6 aziende estere hanno intascato, e non hanno mai fornito le merci. Le 42 società truffate sono risultate esse stesse proprietà di altre 54 aziende offshore, con sedi ai Caraibi, Usa e Cipro. Insomma, i soldi che l’associazione “i nostri soldi” ha cercato di recuperare all’Ucraina per vie legali, non ci sono più, ed è impossibile recuperarli. Anche perché Kolomoiski si trova attualmente ad abitare in Usa, dove non è più accessibile alla (si fa’ per dire) “giustizia” ucraina. Magari sarebbe accessibile alla ‘giustizia’ americana, mobilitabile dal Fondo Monetario che ha sede a Washington. Qualcosa ci dice che non avverrà.
Goldman Sachs assume Fogh Rasmussen per coprire uno scandalo
Ricordate Anders Fogh Rasmussen? Danese, da segretario NATO che si produsse in dichiarazioni guerrafondaie contro Putin poco prima della scadenza del suo mandato; è stato anche capo del governo danese dal 2001 al 2009. La nota Goldman Sachs l’ ha appena assunto e messo a libro-paga. Il lievissimo conflitto d’interesse è alquanto aggravato dal fatto che Goldman, nel 2014 s’ comprata il 18 per cento della Danish Oil & Natural Gas (DONG), ossia l’Eni locale in via di “privatizzazione”, per 1,5 miliardi di dollari; comprandosi anche un diritto di veto in quel consiglio d’amministrazione, che per norma spetta solo a chi ha almeno il 33%, Ma c’è di peggio. Subito dopo l’acquisto, la DONG ebbe un contratto lucrosissimo per la creazione di un campo di energie rinnovabili a mare, che ne ha più che raddoppiato il valore: una circostanza che sia Goldman, sia la direzione di DONG, sia i governanti che diedero il via alla vendita, conoscevano benissimo. Sicché la banca d’affari americana ha pagato 1,5 miliardi per una quota che avrebbe dovuto pagare 4,6 miliardi: a tutto danno dei contribuenti e cittadini danesi.
Un classico di privatizzazione, alla moda italiana; ma in Danimarca la cosa non va giù così facilmente, il governo che ha autorizzato il pessimo affare è caduto, ma ci sono molti dettagli dell’affare che vengono mantenuti riservati anche dal nuovo governo. Che è presieduto da quello che fu l’ex ministro delle finanze nel governo che fu di Anders Fogh Rasmussen (si chiama Lars Loekke Rasmussen, ma non è parente). Con questa oculata assunzione, il Vampiro-Seppia è sicura di potersela cavare senza processo.
Sicché Anders Fogh Rasmussen comincia a somigliare a un Kolomoiski,a la civilissima (ieri) Danimarca alla Ucraina…Sono due civiltà che si abbracciano nell’Occidente post-umano.
Contro Goldman, anche la Malaysia in piazza
Decine di migliaia di manifestanti scendono da giorni in piazza in Malaysia per chiedere le dimissioni del primo ministro Najib Razad: nel cui conto privato risultano versati 700 milioni di dollari (sì, avete capito bene: 700 milioni) da “donatori esteri” non identificati. La cifra in realtà era stata prelevata da un fondo pubblico, la 1Malaysia Development Berhad (1MDB), che Rezad ha creato nel 2009 e che avrebbe dovuto trasformare Kuala Lumpur in una grande piazza finanziaria asiatica. Invece il Fondo è finito con un debito di 11 miliardi: di cui almeno 6,5 sono dovuti all’emissione di tre bonds sottoscritti da Goldman Sachs, più precisamente d al suo presidente per l’area, Tim Leissner, evidentemente l’ispiratore dell’intera operazione, e (va da sé) buon amico di famiglia del premier nel cui conto è caduta la pioggia d’oro. Apparentemente Goldman comprò le obbligazioni per sé a 90 cents per dollaro, con lo scopo di rivenderli poi con profitto. Un affare men che brillante per i malaysiani, ma Goldman ci ha guadagnato in commissioni e onorari di consulenza principeschi per aver consigliato i cattivi investimenti. Il Vampiro-Seppia è stato pagato troppo? Chissà. Certo è che gestiva di fatto la 1MDB, e da lì sono atterrati delicatamente nel conto di Najib i 700 milioni di dollari. Una mazzetta grossa grossa.
Di che si lamentano i malaysiani? Non hanno ancora appreso il primo dogma del liberismo globale post-umano: bisogna sottrarre ai politici la possibilità di spendere denaro pubblico (sono disonesti) ; e invece, affidarla alle grandi banche private, che si fanno guidare esclusivamente da considerazioni di mercato e competitività, sono esperte di mercati e sono insuperabili nella capacità di “allocare al meglio il capitale”. Come questa vicenda dimostra.
Articoli giornalistici scritti da robot
L’agenzia di stampa Associated Press annuncia: per la parte dei nostri lanci informativi che riguardano informazioni su aziende, ricorriamo adesso ad un software fornito dalla ditta Automated Insight. Grazie a questo programma, “Invece di fornire 300 articoli fatti a mano, possiamo fornirne ogni trimestre fino a 4400 su temi riguardanti le imprese americane”, ha spiegato il direttore della redazione di AP; Lou Ferrara.
Sicuramente i lettori non noteranno la differenza, e non solo perché già adesso i mainstream media sono sostanzialmente scritti da robot, ancorché salariati. Anche le aziende coinvolte sono di sicuro contente. Basta ricordare il famoso detto: “E’ ‘notizia’ è quella cosa che qualcuno, da qualche parte, non vuole sia pubblicata. Tutto il resto è pubblicità” (attribuita a Lord Northcliff, editore-direttore de Times). Quella prodotta dal software sarà pubblicità, come quella attualmente prodotta dai robot a cui ancora bisogna pagare lo stipendio.
D’altra parte, ha rivelato il suddetto Ferrara, “già da anni la Associated Press utilizza l’automazione per coprire una ‘grossa parte’ delle notizie sportive”. Le tifoserie hanno sicuramente gradito: anch’esse, dopotutto, sono robotiche.
“400 individui controllano gli Stati Uniti”
L’ha ammesso Lawrence Wilkerson, che è stato capo di gabinetto di Colin Powell (il segretario di Stato di Bush figlio dal 2001 al 2005, quello che agitò all’Onu la boccetta di antrace) , in una circostanza che val la pena di sottolineare: un’intervista alla radio della Letttonia, Baltkom. Criticate gli oligarchi russi? Dovreste vedere i nostri: “Sono 400 persone le cui ricchezze superano molti miliardi di dollari; sono gli oligarchi che controllano i processi politici e governano il paese dietro le quinte. Il potere non è realmente detenuto che dallo 0,001% della popolazione”.
Sono quelli, ha spiegato Wilkerson, che hanno voluto l’intervento armato americano in Irak nel 2003: “Un intervento che ha distrutto l’equilibrio di potere che esisteva nel Golfo Persico da 50 anni. L’instabilità attuale e il risultato delle azioni degli Stati Uniti”.
Pepsi usa ancora feti umani per i suoi prodotti
Lo scandalo del Planned Parenthood Institute (l’ente di promozione dell’aborto) che si vende parti dei feti umani che producono le sue cliniche abortive, ha riportato a rivangare un evento del maggio 2012: vari movimenti pro-life scoprirono allora che Pepsi testava i suoi additivi alimentari su tessui di feti umani, forniti da una ditta, Senomyx, con cui aveva un regolare contratto.
Lo scandalo portò a un’inchiesta – non della magistratura ma della SEC (l’istituto di sorveglianza della Borsa) a cui alcuni pro-life, comprata un’azione della multinazionale, avevano elevato l’accusa – come azionisti ne avevano diritto – che Pepsi avrebbe violato “gli standard etici” cui devono attenersi le aziende quotate. L’ufficio legale della Pepsi rispose che le pratiche denunciate “riguardano operazioni quotidiane della normale gestione aziendale, che gli azionisti non hanno titolo a supervisionare”. Ovviamente, ha avuto ragione. Dalla SEC.
Che cosa fa’ la Senomix che la Pepsi ha impegnato per contratto? “Usiamo recettori umani del gusto isolati, con cui abbiamo creato un sistema proprietario di ricezione dei sapori”, scrive la ditta nel suo sito, il quale consente “la scoperta e sviluppo di ingredienti insaporitori capaci di ridurre i contenuti di sale e zucchero nei prodotti”. Una azienda benefica, meritevole addirittura per la salute dei consumatori. Il fatto che i recettori del gusto siano stati “isolati” da feti umani va da sé. Sono operazioni normali della quotidiana gestione aziendale, che – secondo i pro-life – adottano anche altre aziende: Nestlé, Kraft, Cadbury (dolciumi), Neocutis (cosmetici) e altre meno note multinazionali.
Questo è solo un assaggio di quel che, come consumatori, dovremo accettare quando sarà in vigore il segretissimo Trattato Transatlantico: sulle questioni etiche deciderà la SEC, o la Consob, o la BCE. Non è escluso che, a quel punto, i tessuti di feti umani ci siano frullati nelle bevande. E ci piaceranno: “Grande sapore e poche calorie”. Great tasting, lower-calorie beverages, come propaganda Pepsi.