Da giorni si sentono gli “europeisti”, capeggiati da Juncker, intimare alla Gran Bretagna: “Sbrigati a notificare la tua volontà di ritiro alla commissione! Immediatamente applica l’articolo 50 del trattato d Lisbona! Che Londra se ne vada in fretta! Più in fretta! Cosa aspetta ad attivare l’articolo 50?”. L’europarlamento ha votato una mozione per scacciare il Regno Unito in fretta. Juncker, in un discorsetto pieno di livore, ha sancito: “Ho vietato – per ordine presidenziale, che non è da me – ai commissari di discutere con rappresentanti del governo britannico…non ci sarà alcuna discussione preventiva: no notification, no negotiation!”.
Perché tanta insistenza? Cosa nasconde questa durezza (a parte il dispetto e la rabbia)? Si vuol far credere che Londra stia esitando? Forse, ma c’è di peggio. Qui c’è un trucco, una porcheria dispotica, architettata da una eurocrazia che assume poteri dittatoriali, ma obliqui e storti.
Bisogna leggerlo, l’articolo 50. Che in teoria consente ad uno stato membro di uscire per sua volontà dalla UE : “Ogni stato può decidere di ritirarsi dall’Unione”. Ma deve “notificare la sua intenzione al Consiglio europeo”. Dopodiché “L’Unione negozia e conclude con questo stato un accordo fissante le modalità del suo ritiro, tenendo conto del quadro delle relazioni future con l’Unione. Questo accordo è negoziato in conformità all’articolo 218, paragrafo 3 del trattato” e vario bla bla burocratico.
Poi però – attenzione – viene il seguente trucco: “i trattati cessato di essere applicabili allo stato di cui sopra a partire dalla data di entrata in vigore dell’accordo, o altrimenti, due anni dopo la notifica […] a meno che il Consiglio d’Europa non decida all’unanimità di prorogare”.
Capito? C’è una scadenza automatica: a due anni. Solo il Regno Unito deve domandare l’inizio della procedura ex articolo 50; ma appena lo facesse, scatta il conto alla rovescia. E il paese sarà sbattuto fuori automaticamente dopo due anni – ci sia stato negoziato o no. E’ evidente che Londra, appena “notifica”, si mette da sé in posizione negoziale di estrema debolezza; alla Commissione – palesemente ostile – basta tirare in lungo dei falsi negoziati, fino a che il paese si troverà fuori automaticamente, perdendo i più elementari diritti di acceso (al mercato europeo, come per esempio hanno Svizzera e Norvegia) L’ingiunzione dell’eurocrazia di “affrettarsi”, non è altro che la volontà della Commissione di privare lo Stato che l’ha offesa dei propri diritti.
Attenzione. Dei propri diritti di Stato-membro, perché ovviamente il Regno Unito è a tutti gli effetti tuttora membro della UE, non avendo ancora compiuto la “Notifica”. Così, per esempio, la decisione dei 27, mercoledì, il giorno dopo il referendum, tenere il Consiglio d’Europa cacciandone David Cameron, che non è stato autorizzato nemmeno a partecipare alla sessione di lavoro con cena della vigilia, è un atto che ha un solo nome: un sopruso. La dimostrazione che l’Europa Unita, quando vuole infrange le proprie stesse norme – carattere inconfondibile del sistema di governo chiamato “despotismo”. Del resto i dèspoti europeisti avevano fatto lo stesso con la Grecia, stato-membro paria.
Un regime d’arbitrario sopruso
Non basta: l’europarlamento ( i cui membri hanno votato quel giorno in numero di 666 ) ha già “modificato la sua organizzazione interna per riflettere la volontà della maggioranza dei cittadini del Regno Unito di ritirarsi dalla UE”, ossia ha cacciato di fatto la componente britannica dai suoi organi di funzionamento, senza aver ancora ricevuto ufficialmente la notifica di quella volontà: pura prevaricazione, che rivela alla luce del sole fino a che punto lo “europeismo” sia una imitazione deforme del sistema pluralista, sotto cui si nasconde una dittatura del burocratismo arbitrario. Lo stesso parlamento ha immediatamente nominato tre “negoziatori” scegliendoli tra i più forsennati talebani dell’europeismo oligarchico: Guy Verhofstadt, sfegatato ideologo del federalismo (abolizione di ogni sovranità) , Elmar Brok, eurodeputato da 36 anni (!) e Roberto Gualtieri, PD, un complice di Draghi e commissario alla moneta unica, che funziona così bene (Gualtieri ha esultato con queste minacciose parole: “Finita l’epoca dei veti inglesi, ora l’integrazione sarà più facile”)
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Costoro, ovviamente, intendono il loro compito di escludere ogni elasticità e cordialità del negoziato, per scoraggiare ogni altro paese che fosse tentato di seguire gli inglesi; e tutti gli esponenti dell’europeismo si sono prodotti in dichiarazioni incendiarie sul come bisognava far soffrire gli inglesi per a loro scelta. “Per scongiurare il contagio, bisogna che la separazione sia dolorosa per l’Inghilterra”, si è sentito dire nelle sedi più autorevoli.
Uno stato membro trattato da nemico
Insomma da un momento all’altro uno stato-membro viene trattato come un nemico, un nemico bellico: verso cui sono sospese non solo le garanzie e normative europee, ma persino il diritto internazionale. Per questi europeisti (quelli che “la UE è nata per metter fine alle guerre”, la “UE è la pace”, ci vuole “Più Europa”), il popolo britannico, colpevole di aver votato male, è oggi un nemico da trattare come un nemico. Si fa’ fretta a Londra, rendendole allo stesso tempo chiaro che da parte della “Europa Unita” non c’è alcuna volontà di trovare una soluzione umana, cordiale, fraterna e che preservi gli interessi comuni – oltre che i legami storici e culturali: ma di quelli, gli europeisti se ne infischiano, come s’è vito quando un finlandese ha suggerito ad Atene di vendersi il Partenone per pagare i debiti.
E’ la situazione del “Comma 22”: un’’apparente possibilità di scelta in una regola o in una procedura, dove in realtà, per motivi logici nascosti o poco evidenti, non è possibile alcuna scelta ma vi è solo un’unica possibilità. Tipicamente:
«Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.»
Appena Londra notificherà la volontà popolare di uscire dalla UE, sa già che sarà in mano a “negoziatori” dell’altra parte che le sono nemici, e a cui basta far scadere i due anni per espellerla senza alcun diritto. E’ ovvio che non si abbia fretta di fare la notifica; bisognerebbe fare negoziati preliminari – che sono esattamente quelli che Juncker ha proibito ai suoi commissari e direttori generali di aprire, con un atto di dispotismo imperial-burocratico. E’ una siuazione di stallo, che la commissione non vuole sbloccare: contando evidentemente nei “ripensamenti”, nelle secessioni minacciato da Scozia e Irlanda, nel nuovo referendum richiesto da manifestanti anglo-europeisti, insomma nella destabilizzazione interna della Gran Bretagna, che dovrebbe poi strisciando richiedere ai burocrati di essere riammessa – a quel punto la Prigione dei Popoli chiamata UE si richiuderebbe su tutti noi; con sbarre ancora più grosse, e un sistema di governo che ha dimostrato la più chiara volontà di arbitrio. Quel disprezzo e violazione delle norme e del diritto che ha potuto esercitare in piena impunità e con gli applausi di tutti i “Progressisti europeisti” – durante lo strappo britannico.
E’ perfettamente coerente con la natura dispotica e incivile della UE, che essa – mentre tratta il paese di Shakespeare, Chesterton e Tolkien come nemico – stia continuando alla chetichella a preparare l’adesione alla sua “Europa” della Turchia di Erdogan, e staia per far entrare nella UE l’Albania, come esige Washington. Contro l’adesione della Turchia, va’ notata a la nobile reazione di Vienna: se avverà, avrete lo Austrexit.
Invece, non conforta il fatto che la Merkel abbia messo in giro la voce che si libererà “entro l’anno prossimo” di Jean-Claude Juncker, per il modo in cui ha gestito il Brexit sotto alto tasso alcolico. Ciò non fa che confermare l’ordinamento dispotico che ha assunto il regime UE: il capo della Commissione viene comunque scelto, è il caso di dire, dal RE di Prussia.