Di Roberto Pecchioli
In questi giorni, è regola di buona educazione fare gli auguri. Un gesto facile, veloce e apparentemente privo di controindicazioni. La maschera obbligatoria – normale, super o FP2 – esenta anche dal debole sorriso di circostanza, atteggiato alla finta, sbrigativa bonomia con la quale adempiamo all’obbligo. Auguri; di buon Natale, poi… Una volta ancora, e con convinzione incrollabile, ci sottraiamo alle frasi di circostanza, aiutati dalla paura generale di avvicinarsi agli altri e – orrore massimo- di stringere loro la mano.
Buon Natale a chi, porca miseria? Dovremmo sperare in una buona giornata per Mario Draghi, per il suo ministro-ossimoro, il povero Speranza a cui il destino ha affibbiato un volto vagamente iettatorio e la politica ha regalato la patata bollente di ministro della Salute? O ai terrorizzati del virus, rintanati nella campana di vetro, timorosi perfino di respirare, ai maggiordomi del potere che dilagano nel mondo della comunicazione?
Buon Natale ai mascalzoni europoidi che vogliono abolire finanche la parola maledetta, quel “natale” che allude a una nascita in un mondo che muore? Buon Natale ai talebani del clima, che, con la scusa di salvare il pianeta, hanno già fatto schizzare alle stelle il prezzo dei prodotti energetici, attorno ai quali si combatte una guerra geopolitica a cui siamo indifferenti, concentrati sul quotidiano bollettino di guerra covidiano?
Buon Natale alla finanza, in procinto di gettarci addosso un’altra bella “crisi” per guidare il gregge umano- sempre più docile, addomesticato, lanare- verso il Grande Reset, la tabula rasa generale. Non avremo nulla e saremo felici. Se la tengano, a Natale e tutti gli altri giorni dell’anno, la misera felicità della mandria dopo la pastura scelta e distribuita da loro.
Dovremmo augurare buon Natale a chi ha sbarrato le chiese e sostituito l’igienizzante all’acqua benedetta? Il silenzio più assordante di questo orribile biennio, antipasto di un futuro ancora peggiore, è quello dei rappresentanti del bambino che nacque a Betlemme. Bisogna prenotarsi e mostrare il salvacondotto – meglio se nella forma “aumentata” del richiamo – pure per raccogliersi nella casa di Dio. Sorridiamo amaro ricordando un vecchio prete della nostra infanzia, don Busallino. Magro e stizzoso, non aveva fatto carriera, semplice curato della parrocchia. Fu il nostro primo confessore e si inalberava dietro la grata se non eravamo andati regolarmente a Messa. Mancare alle funzioni è l’anticamera per l’inferno, ripeteva indignato, prescrivendo la penitenza fatta di decine di Pater, Ave e Gloria. Chissà come la pensa, da lassù.
Ci tocca dare il buon Natale perfino ai virologi, gran sacerdoti della Dea Scienza, che imperversano dovunque per convincere della “qualunque”. Dicano con umiltà che non ci capiscono più nulla e torneranno ad avere la nostra stima. Buon Natale – o buona morte – agli attivisti dell’eutanasia libera. Auguri a quelli “dell’omo matrimonio per tutti”, della “salute riproduttiva”, ai gai cittadini del mondo arcobaleno.
Buon Natale ai delatori della mascherina, a chi sobbalza per un colpo di tosse altrui, a chi sguinzaglia i suoi sgherri per colpire non i mascalzoni, ma i malcapitati che hanno dimenticato a casa il magico “pass”.
Buon Natale a chi ha fatto degli ospedali tristi lazzaretti dove non si può neppure accarezzare la mano ai morenti e dove si è curati, operati, ammessi, solo se contagiati dalla peste post moderna, mentre Sorella Morte fa il suo mestiere indipendentemente dal virus?
Buon Natale a chi sta inoculando sostanze misteriose nel corpo di bambini e ragazzi? Buon Natale a chi ci ruba il denaro reale e ci convince che è tanto bello lasciarlo nelle loro mani in cambio di un cartoncino di plastica, un chip e un pin?
No, neanche per sogno vi facciamo gli auguri. Tanto, a voi del Natale non importa nulla. Neppure sapete più perché si chiama così e le uniche riflessioni che fate – dopo aver svolto il vostro sporco lavoro – riguardano il ripieno dei ravioli, la marca dello spumante e la strenna di marca per le/i vostre/i amanti. Diceva la nonna che il male non si augura a nessuno; quindi non vi diremo che cosa ci auguriamo per voi, perché “gli accidenti sono come le foglie: chi li semina, li raccoglie”.
Gli auguri, quelli veri, sinceri, a mano aperta, con un sorriso che viene dal cuore e un abbraccio (prova di ardimento e sprezzo del pericolo) ce li facciamo tra di noi. Noi che sappiamo che cos’è il Natale, che ricordiamo chi nacque e come cambiò il mondo, noi che non crediamo alle fandonie del potere e viviamo questa infinita Via Crucis peggio degli altri, per consapevolezza e perché abbiamo imparato il pessimismo, che è l’ottimismo perduto di chi si è informato sui fatti. A noi Buon Natale, se possibile e nei limiti del possibile. Abbracciamoci, stringiamoci la mano, guardiamoci negli occhi e sorridiamoci per un attimo senza la maschera F2, il Dispositivo Individuale di Protezione che non ci protegge da una vita gelata, insensata, post umana. A noi, a voi, Buon Natale, da vivere con chi amiamo. Coraggio: anche questa giornata dura ventiquattro ore. Viviamola con il cuore in mano, e, come diceva una canzoncina popolare dei miei tempi, peste e corna a chi ci vuole male!