Chissà cosa regalerà per Natale Vladimir Putin quest’anno. L’anno passato fece giungere ai governatori regionali tre libri da meditare, e su cui aveva evidentemente meditato lui: La filosofia della Ineguaglianza del grande Nikolai Berdjaev, la Giustificazione del Bene del grandissimo Vladimir Solovev (1853-1900), e I nostri compiti di Ivan Ilyn (1883-1954). Lo sappiamo perché Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreign Relations, vi dedicò un articolo fremente di rabbia soprattutto contro l’ultimo autore: “Il posto dove lasciare Ilyn era l’ignominia – sbavava l’organo del globalismo, spiegando che era stato “un teorico del complotto, un nazionalista russo con tendenze fasciste.
Cacciato in esilio dai bolscevichi nel ’22 come Berdjaev, Iliyn, che era stato comunista prima della conversione, riparò in Germania dove assisté al sorgere del Terzo Reich e per qualche tempo credette che nei fascismi europei sorgesse il nucleo della vita che per lui era la sola veramente autentica: “Il senso dell’onore, il servizio cavalleresco, il sacrificio volontario, l’adesione alla disciplina, il patriottismo”. Siccome era anche per uno stato autoritario, monarchico al vertice e popolare alla base (le tradizioni popolari al posto delle leggi), è facile gettare Ilyin nell’abisso della “Ignominia”, ed attribuire anche a Putin lo stesso ignominioso colore. Nero. Ciò perché ai globalisti Usa sfugge la radice profondissimamente religiosa del pensiero di Ilyin. Non è un fascista europeo, ossia laico, e magari paganeggiante; è una ortodosso russo, credente, convinto che la Russia è grande solo per il Cristo e se non dimentica i doni della fede ricevuta. Il suo pensiero politico è “verticale” in un modo che non può che sfuggire a Foreign Affairs.
Di Solovev, il teologo, il mistico, il veggente (profeticamente immaginò che l’Anticristo sarebbe stato presidente degli Stati Uniti d’Europa, ecologo e credente in Dio ma non in Cristo), l’assoluta verticalità non ha da essere raccontata. In “La giustificazione del bene”, che è la sua opera più ‘politica’ , sostiene che il bene, da cui il pensiero contemporaneo s‘è allontanato pericolosamente (e tanto più i governi) tanto da disinteressarsene – invece deve fondare un nuovo diritto, a cui lo Stato deve servire, difendendo “ pietas, compassione,pudore”, e il destino eterno dei suoi cittadini, ossia di “scoprire quale deve essere l’oggetto e il senso della nostra vita, la questione per noi essenziale”. Ovviamente lotta contro l’utilitarismo, il relativismo e il materialismo che vede crescere come un tumore nell’Occidente, e propone la pratica della “giustizia sacrificale”.
Quanto a Berdjaev, basta qualche citazione: «Se l’uomo fosse soltanto un individuo non si innalzerebbe al di sopra del mondo naturale. Quella di individuo è una categoria naturalistica, innanzitutto biologica”. L’uomo ha il compito di diventare invece persona: “La persona umana ha un’esistenza sua propria extranaturale, pur avendo in sé degli elementi naturali. (…) La persona è resistenza contro il determinismo che la società e la natura ci vorrebbero imporre, è una lotta eroica per l’autodeterminazione interiore. (…) La persona è dolore. L’eroica lotta per la realizzazione della persona è dolorosa. Si può evitare il dolore rinunciando alla propria personalità. E l’uomo troppo spesso sceglie questa via. (…) Non si dà persona se non c’è un essere che stia più in alto di lei. Altrimenti c‘è solo l’individuo soggetto al genere e alla società, altrimenti la natura è più importante dell’uomo”. Da queste citazioni si capirà, spero, che quando Berdjaev scrive (in esilio) la “Filosofia dell’ineguaglianza”, non propugna alcuna ineguaglianza sociale, classista o razziale o nicciana (anzi, giungerà a ripudiare questo suo saggio nel timore che avesse qualche assonanza con le idee naziste del tempo); sta difendendola libertà creatrice contro l’ugualitarismo che fa’ degli uomini degli schiavi, richiama le non-persone a ritrovare la loro vocazione eroica, l’aristocrazia dello spirito.
Si coglie la profonda coerenza e convergenza dei tre libri? Tutti e tre testi “politici” ma ancor più meta-politici; e ancor più, spirituali, radicalmente cristiani? Putin, regalandoli l’anno scorso ai governatori, ha indicato ad essi non dico una direttiva- ma sicuramente quelli che per lui, e il governo russo post comunista, devono essere “i nostri compiti” perché la Russia rinasca? Limitiamoci a constatare che è inimmaginabile un politico dell’Occidente, un Renzi, un Hollande o una Merkel – e non parliamo di un Obama o di una Nuland – capace di regalare libri del genere, ed ancor meno capace di averli letti e meditati. Ma Putin, contrariamente ai nostri, è uno che medita e legge molto,come ha testimoniato anche Hubert Védrine, ministro degli Esteri nel governo socialista i Lionel Jospin(1997-2002).
D’altra parte: nessun altro popolo ha avuto, nel secolo ventesimo, filosofi e scrittori di così alta statura, intellettuali di così alto coraggio e libertà ed eroismo intellettuale; così nazionali e così universali; così generosi e grandiosi. Un Solovev e un Berdjaev bastano a giustificare l’esistenza della Russia (“che non produce niente”, secondo Barak Hussein Obama) di fronte al genere umano, alla storia e a Dio; ma in più, è la nazione a cui dobbiamo nel secolo ventesimo il dono di Mikahil Bulgakov, di Solgenitsyn, senza cui la cultura europea del secolo sarebbe misera cosa. E queste voci incredibilmente profetiche hanno parlato dall’orlo del buio, mentre la Russia sprofondava nell’orrore bolscevico con la sua lingua di legno e il suo Gulag di ferro che hanno silenziato milioni di altre voci, ed estratto il peggio dall’Homo Sovieticus; dimenticate, soppresse, perseguitate, le vediamo zampillare “da sotto le macerie”, e servono a chi si propone di ricostruire la Russia.
E’ impressionante, ed anche (consentitemelo) commovente vedere che l’ex agente del Kgb capisca quel che tutto l’Occidente politico ha dimenticato e spregiato: che per la ricostruzione di un popolo ferito e dilapidato, servono le idee. La cultura, il pensiero – russo e universale – e la fede ortodossa. In altra occasione ho raccontato di quando Putin ha restituito alle forze armate la bandiera rossa con la stella, con questo brevissimo discorso, denso di un’asciutta pietas: “La bandiera rossa è stata innalzata vittoriosa a Berlino. Se accettiamo di non poter usare i simboli di epoche precedenti, inclusa quella sovietica, allora vuol dire che i nostri padri e le nostre madri sono vissute inutilmente, la loro esistenza è stata priva di senso, sono vissuti invano”. Ho anche detto che quello stesso Putin ha fatto elevare, all’accademia navale di San Pietroburgo, la statua all’ammiraglio Aleksandr Kolciak: il comandante, a fianco del generale Denikin, delle truppe bianche che si opposero fino alla fine all’Armata Rossa di Trotzki, che invano sperando nell’aiuto inglese (gli era stato promesso) combatté arretrando fino in Siberia, dove fu catturato e trucidato. Bandiera rossa ed ammiraglio bianco insieme portati ad onore nella nuova Russia; tutti deve stare insieme.
Fino a che punto è capito in Russia, Putin? Avremmo voluto vedere le facce dei governatori regionali quando han ricevuto quel regalo di Natale…In qualche modo, ricorda un altro grande riformatore che da solo, a calci, pugni e colpi d knut, trascinò la Russia nella modernità: suscitando nel popolo in pari misura devozione, convinta e cieca obbedienza. Ma più di Pietro, non tratta di costruire le strutture, ma le fondamenta spirituali. Di un paese che non è, non sarà mai, dalla parte del “mercato globale” che crea individui “biologici” invece di persone, e che oggi pretende di essere l’impero del Bene.
Non è certo un caso se, con pretesto di contrastare la Russia in Siria, si è concentrato contro Putin la più vasta e formidabile coalizione della storia, la più strana e mostruosa alleanza di ogni grado di inciviltà e barbarie: Erdogan come paladino della NATO, difeso da Merkel, Hollande ed Obama; i neonazisti ucraini alleati al Fondo Monetario e Soros; i radicali uniti ai takfiri nell’odio a Putin. “La Washington ufficiale è infiammata di duri propositi contro la Russia e della necessità di punire il residente Putin per il suo ruolo in Ucraina e in Siria”, riporta Alastair Crooke. “La Casa Bianca e il Dipartimento di stato pensano solo a come contrare le azioni della Russia in Siria”, conferma Stephen Cohen. E’ una vera ossessione, un ballo di San Vito delle menzogne più sfrenate e sfrontate: “L’Arabia saudita ha organizzato una coalizione di 34 stati contro l’ISIS” scrivono i giornali, senza ridere. Obama: “Stiamo conducendo operazioni al suolo in Siria”, evidentemente con il calcolo di creare un “incidente” con le forze russe. Israele nel “campo sunnita” (sic: parola del ministero della Difesa ebreo, Moshe Yaalon) che unisce “Arabia Saudita, Paesi del GCC, Egitto, Giordania e Marocco”. I poteri più sanguinari, i sette vizi capitali, i dieci peccati mortali, i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, il terrorismo e il mercato globale, sono oggi uniti ed armati contro questo solo.
“L’appello della Russia a cooperare con l’Occidente contro la vergogna dell’ISI; la sua risposta temperata a gravissime provocazioni come l’agguato al Su-24 in Siria; la calma retorica del presidente Putin, sono usate da Washington e Londra per dipingere la Russia come una tigre di carta di cui nessuno ha da temere. Di fatto, alla Russia si dà solo una scelta: o si umilia all’egemone del Bene, o si prepara alla guerra”.
http://www.zerohedge.com/news/2015-12-14/cornering-russia-risking-world-war-iii
La Theotokos ti protegga, santa Russia, e l’arcangelo Michele ti difenda. E buon Natale, presidente Vladimir Vladimirovic.