CARDINAL PELL: CONDANNATO UN INNOCENTE?

Lo strano caso della condanna del cardinale Pell

Di Marco Tosatti, la Nuova Bussola Quotidiana

La condanna in primo grado in Australia del cardinale George Pell desta molte perplessità.  Si riferisce a un episodio del 1996 quando avrebbe molestato due coristi della cattedrale di Melbourne. Ma le circostanze mosse dall’accusa sono francamente improbabili. Sembra piuttosto un caso di persecuzione giudiziaria reso possibile dal clima fortemente anti-cattolico creato in Australia e alimentato dalle gravi vicende degli abusi sessuali commessi da preti.
– COME TI NORMALIZZO L’OMOSESSUALITA’, di Stefano Fontana

Ieri tutti i giornali davano notizia della condanna, avvenuta però a dicembre scorso, del cardinale australiano George Pell, accusato di aver commesso degli abusi sessuali – poi vedremo come – quando era arcivescovo di Melbourne nel 1996, in una data imprecisata; e in un’occasione quando era sacerdote a Ballarat, negli anni ’70. Questa seconda accusa però è stata lasciata cadere (probabilmente per insussistenza dell’accusa stessa) e quindi non ci sarà un secondo processo.

Ma anche sul primo c’è molto da dire; e la nostra impressione, e non solo la nostra, è che si tratti di una forma di persecuzione giudiziaria, resa possibile nell’Australia di oggi dal clima fortemente anti-cattolico e anti religioso, e dalla concomitante ondata di pubblica indignazione per gli abusi sessuali. Che, come sappiamo, avvengono principalmente nelle famiglie, nelle scuole e negli ambienti dello sport; ma che grazie alla prospettiva ingenuamente o volutamente distorta dei media sembrano accadere sono nella Chiesa.

L’11 dicembre 2018 Pell è stato dichiarato colpevole dell’accusa di aver aggredito sessualmente due ex membri del coro della cattedrale di Melbourne. Il verdetto è giunto dopo un processo di cinque settimane. La cosa singolare è che il magistrato ha chiesto un altro giudizio, e un’altra giuria, dopo che la giuria in un precedente processo non aveva raggiunto un verdetto unanime nell’ottobre 2018. Diverse fonti vicine al caso hanno riferito che il primo processo si era concluso con la giuria 10-2 a favore di Pell. La seconda giuria ha impiegato tre giorni per trovare Pell colpevole di aver abusato sessualmente di due coristi nella sacrestia della cattedrale di Melbourne in una data non specificata nella seconda metà del 1996.

Gli abusi sessuali sarebbero stati commessi da Pell contro i due coristi immediatamente dopo la Messa domenicale delle 10.30 nella cattedrale di Melbourne. Pell fu accusato di aver abusato di entrambi i membri del coro nello stesso incidente, e di aver successivamente – in un’altra data – assalito uno dei ragazzi in un corridoio della cattedrale. Il magistrato ha usato una norma del codice per impedire che la notizia – che è filtrata egualmente – fosse diffusa; e per impedire che dettagli delle audizioni e dei particolari del procedimento venissero a conoscenza del pubblico.

In realtà, a quanto si apprende adesso, la condanna si è basata su un’unica testimonianza, e come vedremo in dettaglio, molto controversa. Dal momento che il secondo processo è stato abbandonato è venuto a cadere anche l’embargo. Una delle presunte vittime di Pell ha rilasciato una dichiarazione attraverso i suoi avvocati. Come molti sopravvissuti «mi ci sono voluti anni per capire l’impatto sulla mia vita», ha detto. «A un certo punto ci rendiamo conto che ci siamo fidati di qualcuno che avremmo dovuto temere e temiamo quelle relazioni genuine di cui dovremmo fidarci».

Pell ha negato le accuse sin dall’inizio, si è dichiarato “non colpevole”, e sostiene ancora la sua innocenza. Era in Vaticano, quando il caso ha avuto inizio, e ha chiesto al Pontefice il permesso di rientrare in Australia per potersi difendere. Ha detto: «C’è stato un implacabile character assassination, non vedo l’ora di andare in tribunale, sono innocente di queste accuse». Il suo avvocato ha affermato che le accuse erano «semplicemente assurdità» e «in definitiva basate su una sorta di fantasia, o una finzione o un’invenzione», aggiungendo che Pell avrebbe fatto appello alla condanna.

Un punto curioso: queste gravi accuse apparentemente non sono state intentate contro Pell fino a quando non è stato scelto da Papa Francesco nel 2014 per occupare un posto finanziario chiave a Roma, in Vaticano. Il Pontefice aveva incaricato Pell di riformare completamente finanze ed economia nel Vaticano, attribuendo alla Segreteria per l’Economia poteri praticamente assoluti su tutto, dai soldi al personale. Ciò ha portato a resistenze – vittoriose – fortissime da parte della Segreteria di Stato e dei gangli vitali delle finanze, in mano a uomini legati al cardinale Tarcisio Bertone. Durante questo processo, Pell annunciò pubblicamente di aver scoperto un milione di euro di fondi custoditi in conti che non apparivano in nessun bilancio. Pell ha promesso di fare un rapporto completo su quei fondi, ma nel frattempo sono partite le accuse in Australia…

È interessante rilevare quelli che sono i punti di divergenza fra accusa e difesa.  Pell è stato dichiarato colpevole a dicembre di aver abusato sessualmente (mostrando loro il pene) di due ragazzini di 13 anni nella sacrestia della cattedrale nel 1996; e alcune settimane dopo di aver aggredito in modo indecente un ragazzo del coro in un corridoio della cattedrale.
L’accusa ha detto che Pell ha avuto l’opportunità di commettere i crimini. La difesa ha detto che era impossibile che i crimini fossero passati inosservati nella cattedrale affollata pochi minuti dopo la Messa.

L’episodio in sagrestia

La difesa ha detto che l’accusa secondo cui Pell avrebbe preso due ragazzi del coro in una stanza, nota come sacrestia dei sacerdoti sul retro della cattedrale, e avrebbe abusato sessualmente di loro, avrebbe richiesto almeno sei minuti e non sarebbe potuta passare  inosservata. La difesa ha detto che la sagrestia era un «alveare di attività» dopo la Messa, e un chierichetto testimoniò che non passavano 30 secondi senza che un prete, un chierichetto o un funzionario della chiesa entrasse dentro la stanza rimettendo a posto i calici e il Messale dall’altare o aiutando l’arcivescovo a togliersi i paramenti sacri, o cambiandosi essi stessi.

Inoltre la difesa ha anche detto che Pell aveva l’abitudine di restare in piedi sui gradini della cattedrale chiacchierando con i fedeli durante le prime due Messe solenni della domenica celebrate come arcivescovo nella cattedrale, ed è proprio in quel momento che il denunciante ha affermato di essere stato molestato. Le testimonianze dimostrano che l’episodio della sacrestia potrebbe essere successo solo il 15 o il 22 dicembre 1996.
La difesa ha ricordato che i protocolli ecclesiastici risalenti al XV secolo richiedono che un vescovo non sia mai da solo mentre si veste per la Messa, e Pell sarebbe stato vestito con i paramenti da arcivescovo, tranne il pastorale e la mitra quando si sarebbe verificato il reato.

Il Maestro delle cerimonie della cattedrale, monsignor Charles Portelli, ha testimoniato di ricordarsi di aver accompagnato Pell e di aver aiutato l’arcivescovo a vestirsi e spogliarsi durante le prime due Messe domenicali di Pell nella cattedrale.
L’accusa ha detto che Portelli, che fuma 20 sigarette al giorno, ha suggerito che avrebbe potuto lasciare Pell alla porta della sacrestia per andare a fumare una sigaretta… Ma Portelli nega di aver lasciato l’arcivescovo, e l’accusa ha consigliato la giuria di lasciare cadere questa come una mera ipotesi.

E poi c’è il problema degli indumenti. La difesa ha sostenuto che Pell non avrebbe potuto aprire i suoi indumenti per esporre il suo pene, come il querelante aveva denunciato alla polizia; l’avvocato difensore Robert Richter ha definito un tale scenario come «risibile», una vera «assurdità». Inoltre la difesa ha accusato il denunciante di aver alterato le sue deposizioni in una successiva testimonianza, dopo aver scoperto che gli indumenti indossati da Pell non avevano nessuna apertura al centro. Alla giuria sono stati dati gli indumenti, ingombranti, da esaminare nella sala della giuria durante le loro discussioni. L’accusa ha sostenuto che il vestito lungo, conosciuto come camice o alba, non è una camicia di forza e che c’era poca differenza fra le diverse versioni sostenute dal denunciante.

L’episodio del corridoio è, se possibile, ancora più controverso. La difesa ha sostenuto che Pell non avrebbe potuto spingere un ragazzo del coro contro un muro del corridoio per strizzargli i genitali in maniera dolorosa dopo la Messa del 23 febbraio 1997 senza essere notato, anche se c’era un pilastro di mezzo. «Non importa molto se questo signore, George Pell, che è alto 1 metro e 93 centimetri, si nascondesse dietro un pilastro o no, non avrebbe potuto nascondersi dietro un pilastro. Sarebbe stato visto da chiunque si trovasse nel corridoio spingere qualcuno contro un muro per toccargli i genitali. E così noi diciamo che questa è una pura sciocchezza», ha argomentato la difesa. L’accusa ha detto che l’assalto indecente era stato breve, e che avrebbe potuto anche non fermarsi a chiacchierare come d’abitudine con i fedeli perché aveva un’altra Messa da celebrare quel giorno in un suburbio di Melbourne.

Uno dei numerosi problemi di questo processo è la credibilità dell’accusatore.La difesa ha fatto notare che il denunciante, 34 anni, non ha trovato nessun altro testimone per corroborare le sue accuse. E l’altra presunta vittima aveva detto ai suoi genitori, prima di morire per overdose nel 2014, di non essere mai stato molestato quando era ragazzo del coro.

La difesa ha dichiarato che la versione del denunciante è piena «di improbabilità e impossibilità». «Il suo racconto è in fondo basato su qualche genere di fantasia, di fiction, o di invenzione. Preferisco pensare che non si tratti di una pura invenzione, e che sia basata in qualche modo su qualche fantasia che nel corso degli anni lo ha condotto a pensare di essere stato aggredito». Fra l’altro, altre discrepanze erano evidenti nel racconto di come i due ragazzi si sarebbero defilati dalla processione, e come lo stesso Pell avrebbe potuto farlo. Per non parlare del vino: il denunciante ha detto che il vino – che Pell lo aveva sorpreso a sorseggiare, quando il presunto abuso si sarebbe verificato – era rosso, mentre invece la cattedrale ha sempre usato vino bianco. Che, inoltre, era custodito sotto chiave in sacrestia…

Vedremo se, come è probabile, il processo di appello, che potrebbe svolgersi nelle prossime settimane, farà giustizia di queste impressionanti contraddizioni. Che gettano un’ombra pesante sulla sentenza. La rinuncia a portare avanti il secondo processo – quello relativo a Ballarat e altrettanto traballante come accuse e prove – giustifica il sospetto che in Australia si cerchi a tutti i costi, anche contro il senso comune, un colpevole cattolico di qualità.

 

 

Dello stesso parere è George Weigel,  il noto biografo di Giovanni Paolo II, oggo cattedratico alla  William ­Simon Chair in Catholic Studies at the Ethics and Public Policy Center.

The unfair, anti-Catholic conviction of Cardinal George Pell

(che ci informa fra l’altro che ) “i fatti del caso sono stati difficili da trovare, a causa di un’ordinanza di non divulgazione  emesso dal giudice del processo.

Quell’ordine ha lasciato gli australiani in gran parte nell’oscurità. Ma alcuni fatti sono noti e altri possono essere ragionevolmente dedotti.

Il primo processo del cardinale si è concluso in una giuria sospesa, con 10 dei 12 giurati a favore dell’assoluzione.

Nel nuovo processo, la difesa dimostrò nuovamente che era fisicamente impossibile che si verificasse il presunto abuso di due ragazzi del coro (uno ora deceduto), data la disposizione e le misure di sicurezza della cattedrale cattolica di Melbourne e il fatto che il coro e Pell fossero in due luoghi diversi in cui si presumeva che si fosse verificato l’abuso.

Pell, inoltre, è stato sempre circondato da altri nella cattedrale quel giorno del 1996. Perché la polizia di Melbourne non si è mai presa la briga di indagare su questi fatti a discarico è uno dei tanti misteri in questo sordido affare.

La giuria del nuovo processo impiegò giorni per raggiungere un verdetto, durante il quale i giurati chiesero al giudice di prova le istruzioni su come le prove dovessero essere prese in considerazione. Che un voto schiacciante per l’assoluzione al primo processo sia stato poi ribaltato a un verdetto unanime di colpevolezza, invita a concludere che la giuria ha scelto di ignorare le prove che i presunti crimini non potevano essere accaduti.

Come può un delitto che si presume  commesso 22 anni fa essere sottoposto a processo senza alcuna prova corroborante che si sia verificato? Come possono essere addebitate le accuse quando le autorità pubbliche avrebbero potuto facilmente determinare che il presunto abuso non poteva essere accaduto, perché le vittime e il presunto colpevole non erano mai stati vicini, molto meno da soli senza testimoni?

Qualsiasi giudizio sul verdetto Pell deve anche tenere pienamente conto dell’atmosfera in cui è stato ascoltato il caso del cardinale. L’anti-cattolicesimo è stato un punto fermo della cultura australiana per decenni. I media locali hanno travisato a lungo Pell, un riformatore della Chiesa, come un politico ecclesiastico assetato di potere, e quella caricatura lo ha reso un comodo capro espiatorio per i gravi crimini di altri sacerdoti e vescovi.

I secolaristi aggressivi non potevano perdonarlo per il suo forte cattolicesimo. La maggior parte dei progressisti cattolici non può tollerare la sua ortodossia. Alcuni dei nemici di Pell avevano l’integrità di respingere le accuse contro di lui come ridicole, e in seguito alcuni dissero che la sua condanna era una parodia. Ma la folle atmosfera di Melbourne ricordava l’Alabama degli anni ’30.

Un altro aspetto di questo errore giudiziario merita un’indagine da parte di giornalisti intraprendenti. Pell è stato portato a Roma da Papa Francesco per ripulire la finanza del Vaticano, un compito erculeo in cui stava facendo progressi. Poi, proprio mentre stava per scendere alla corruzione molto seria, che coinvolge centinaia di milioni di euro e i mondi ombra della finanza globale, queste accuse di abuso sono state poste e Pell ha dovuto tornare in Australia per difendersi.

Era questo il momento dell’incidente? I sostenitori di Roma degli sforzi riformatori di Pell con cui ho parlato non pensano. Proprio come in Maycomb di Harper Lee, qualcosa è marcio in questo business. E non è il personaggio del cardinale George Pell”.

https://nypost.com/2018/12/31/the-unfair-anti-catholic-conviction-of-cardinal-george-pell/