Cedu: “No all’esonero dai corsi di educazione sessuale”

(MB. Ecco a cosa serviva una come la Fedeli all’Istruzione)

 

Nel novembre 2011, il prof. Tommaso Scandroglio pubblicava su questo giornale un articolo dal titolo Educazione sessuale svizzera: l’orco in classe, in cui affrontava la questione relativa all’introduzione in alcune zone della Svizzera dell’obbligo di educazione sessuale nelle scuole. In particolare, Scandroglio evidenziava che già all’asilo gli insegnanti facevano giocare i bambini con peluche a forma di organi genitali maschili e femminili, nonostante la contrarietà di gran parte dei genitori.

In questi giorni si è venuti a conoscenza della conclusione della lunga battaglia giudiziaria che nel 2011 aveva iniziato una madre svizzera per ottenere il riconoscimento del diritto della figlia, di appena sette anni, ad essere esonerata dall’obbligo di partecipare a quelle lezioni. Le decisioni che nel frattempo si erano succedute avevano sempre dato torto alla ricorrente: in particolare il Tribunale federale nel 2014 aveva fondato la propria pronuncia negativa sul presupposto che quelle lezioni non erano sistematiche o obbligatorie ma erano state fornite in risposta (in response) alle domande dei bambini medesimi (mah!!).

Lo scorso 18 gennaio, con sentenza n. 22338/15, la Cedu, investita del caso, ha posto fine alla vicenda giudiziaria, dichiarando che non sussiste alcun diritto all’esonero e che la scuola deve tenere lezioni di educazione sessuale perché tali lezioni perseguono “obiettivi legittimi”. Secondo la Corte, l’educazione sessuale è un mezzo di prevenzione e di tutela dei bambini di fronte alle violenze e allo sfruttamento cui gli stessi possono essere sottoposti. Siccome le violenze costituiscono una minaccia per la salute fisica e mentale dei bambini, essi devono essere protetti a tutte le età. E poiché – dice la Corte- uno degli obiettivi dell’educazione statale è anche quello di preparare i bambini alle realtà sociali, è indubbio che l’educazione sessuale debba riguardare anche chi frequenta l’asilo o la scuola elementare.

In altri termini, la Corte sancisce la obbligatorietà dei corsi di educazione sessuale nelle scuole, esautorando i genitori da ogni potere di scelta educativa/formativa dei figli.
Ciò potrebbe, per certi versi, essere anche accettato, in nome di un obiettivo oltremodo lodevole, quale appunto la lotta alle violenze; peccato però che, anche stavolta – e mi riferisco all’introduzione del gender per combattere il bullismo e il femminicidio -, si utilizzino strumenti, a dir poco abietti, che nulla hanno a che vedere con il perseguimento di quell’obiettivo.

In effetti, come si può credere che il gioco del dottore o la masturbazione, che l’OMS “prescrive” per i bimbi di tre anni, siano strumenti determinanti ed imprescindibili per una crescita sana dei bimbi stessi, nel senso che impediranno loro, una volta adulti, di diventare violenti?

Simona Muzzo  

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