Il momento è difficile e si stenta a comprendere che cosa ci stia succedendo: a noi, all’Islam, al mondo intero. Forse, il primo problema è proprio il nostro atteggiamento. Bisogna far molta attenzione prima di gridare al lupo: si rischia, se e quando lui arriva davvero, di non riconoscerlo.
Intendiamoci: le teste tagliate, l’aviatore giordano bruciato vivo, i morti suicidi e i morti ammazzati, le chiese assaltate e le chiese distrutte, i quieti ragazzi occidentali tutti i-Pode smartphone che un bel giorno si svegliano assetati di martirio e sognano i giardini di Allah, tutto ciò può sconvolgere. Specie chi è abituato a pensare che, fino a qualche anno fa, non succedeva nulla e tutto andava per il meglio: che cioè decenni di pesante controllo coloniale e di sfruttamento petrolifero e molti anni di bombardamenti quasi giornalieri in Afghanistan e in Iraq e di colpi di stato organizzati e gestiti dagli occidentali (da quello algerino del 1991 a quello libico del 2011) fossero in realtà cosucce da nulla, ordinaria amministrazione, cose destinate a cader subito nel dimenticatoio. Ora che i nodi stanno venendo al pettine, ci scopriamo stupiti e impreparati: peggio, ci troviamo nella condizione delle buone e brave persone convinte di non aver mai fatto nulla dj male al mondo e sorperse a chiedersi, come faceva il presidente Bush nel 2003, “perché mai ci odiano”.
La Tunisia è stata ormai da qualche anno i banco di prova delle nostre beate illusioni e delle nostre cocenti delusioni. Era il pase che, risvegliatosi per primo al nascere delle “Primavere arabe”, aveva cacciato il suo rais Ben Ali, ladro e sanguinario. “Vogliono la democrazia”, ci ripetevamo sognanti: e pensavamo che quella democrazia che loro volevano fosse del tutto simile alla nostra, e fingevamo di non accrogfersi che il dittatore cacciato era stato in realtà per anni uno gradito all’Occidente e da esso sostenuto. Poi le “Primavere arabe” si dissolsero nel nulla, lasciando il posto in Egitto a nuove violenze, a nuovi sconvolgimenti, fino all’arrivo di un salvatore in uniforme militare e notoriamente nasseriano; in Libia rovesciamo un tiranno col quale avevamo fatto per anni affari salvo scoprire che in fondo tutto andava meglio quando c’era lui. In Siria non siamo riusciti ad abbattere il rais Assad e ora dobbiamo arrenderci al fatto che sia stata una fortuna; in Iraq c’è stata una guerra e quindi dodici anni di occupazione militare per instaurare con l’aiuto dell’Occidente un governo sciita e praticamente filoiraniano; tra Siria e Iraq è nato da qualche mese un “califfato” uscito da una scheggia impazzita di al-Qaeda e in lotta con al-Qaeda stessa; tutto l’Islam sembra in preda a quella che in arabo si chiama fitna, la guerra civile avviata tra sunniti e sciiti ed estesa a sunniti jihadisti contro sunniti “moderati” e perfino ai sunniti jihadisti tra loro; il presidente Obama tenta un riavvicinamento all’Iran destando l’opposizione del congresso statunitense a maggioranza repubblicana e Nethanyahu, che sembrava battuto ed è risorto a nuova vita politica, accusa invece l’Iran sciita di finanziare il califfo arcisunnita.
E in Tunisia? Dopo la “Primavera araba”, subimmo la delusione di veder vincere in elezioni democratiche e corrette i fondamentalisti; poi avemmo la consolazione di assistere, alle elezioni successive – sospette tuttavia di irregolarità – alla vittoria dei musulmani “laici” e “moderati” (così, quanto meno, li etichettiamo noi); adesso l’IS approda anche a Tunisi e fa una strage; o forse non si tratta dell’IS, ma il fatto è che gli uomini del califfo rivendicano l’attentato nel museo. Ora, dal momento che le cellule jihadiste nordafricane, teoricamente afferenti sia all’IS sia ad al-Qaeda, agiscono in una situazione di quasi assoluta e comunque incontrollabile e non facilmente comprensibile autonomia, ci è impossibile dire con precisione sia che cosa sta succedendo, sia di qual spessore sia il rischio che tutti noi corriamo. Il gratuito ottimismo e l’irresponsabile allarmismo possono essere buoni argomenti mediatici o politici, ma sono entrambi inutili. Ci troviamo dinanzi a una guerra civile musulmana che si aggiunge ai problemi derivanti da molti decenni di errori occidentali nel Vicino Oriente e non solo e che trae alimento dall’irrisolta, anzi peggiorata crisi israelo-palestinese.
Questa guerra non si vince facendo al politica dello struzzo né mostrando i muscoli e invocando bombardamenti a tappeto. Questa guerra si vince con l’intelligence, l’infiltrazione e la fermezza mentale e morale: dimostrando cioè che non c’è nessuna guerra di civiltà in atto e che lo sappiamo benissimo. Siamo immersi solo in una serie di scontri per il potere, l’egemonia politica, il predominio energico. E’ tutto.