Il commento di Giuseppe Liturri alla lettera di Giulio Tremonti al Sole 24 Ore in cui l’ex ministro dell’Economia parla del ruolo di Francia e Germania, del Fondo Salva Stati e del “crepitare degli spread”…
Non sono in grado di fare una comparazione storica per valutare se questo sia un momento particolarmente difficile per la qualità dell’informazione nel nostro Paese. Confesso però tutta la mia preoccupazione nel vedere, da un lato, ragazzini impalcarsi e proclamare slogan privi di contenuti in favore di telecamere e con un’eco mediatica francamente sospetta e, dall’altro, nel vedere praticamente ignorato un articolo di un ex ministro dell’Economia che riporta fatti e circostanze di fondamentale importanza per l’Italia.
Il riferimento è alla lettera di Giulio Tremonti al direttore del Sole 24 ore, pubblicata il 27 dicembre, in risposta a un articolo relativo alla storia delle clausole di salvaguardia del 24 dicembre.
Di quell’articolo, Tremonti non contesta il “detto” ma il “non detto”. E quest’ultimo riguarda proprio il perché ed il come quelle clausole furono imposte all’Italia. E si torna così a quei giorni roventi dell’agosto 2011, quando i conti pubblici italiani furono valutati improvvisamente sull’orlo del baratro, quando solo pochi mesi prima ne era stata certificata la loro sostenibilità sia nelle Considerazioni finali di Mario Draghi (“…Grazie… a una prudente gestione della spesa durante la crisi, lo sforzo che ci è richiesto è minore che in molti altri paesi avanzati…”) che nei report del Fmi e della Commissione Ue (debito italiano a basso rischio di sostenibilità nel lungo termine).
Tremonti ribadisce, anche in questo intervento, che quella improvvisa pressione, esercitata con la lettera a firma Trichet/Draghi del 4 agosto, e culminata con il ‘Decreto di Ferragosto’ con cui si anticipava di un anno il pareggio di bilancio con una pesante correzione dei conti per ulteriori 20 miliardi, fu “…in realtà esercitata per forzare l’Italia verso l’ipotesi di un abnorme finanziamento al “Fondo Salva Stati”, fondo che avrebbe dovuto essere usato non per salvare la Grecia, ma le banche tedesche e francesi esposte a rischio sulla Grecia…”.
Tremonti proponeva infatti che la contribuzione degli Stati al fondo avvenisse in proporzione ai crediti vantati dalle banche di ciascuno Stato verso gli Stati in difficoltà. In questo modo l’Italia, le cui banche erano poco esposte verso Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo (Paesi che, in tempi diversi, hanno ricevuto i finanziamenti del EFSF/MES) avrebbe contribuito in modo molto ridotto al Fondo. Francia e Germania premevano affinché la contribuzione avvenisse in proporzione al PIL. Vinsero loro, con i metodi descritti da Tremonti, e l’Italia fu chiamata a contribuire con ben €58 miliardi (facendo aumentare debito/PIL di circa 3 punti).
Quella pressione includeva anche il varo di una clausola di salvaguardia “…comunque subordinata all’ipotesi, tutta da verificare, del non raggiungimento degli obiettivi di bilancio che erano stati imposti. Si ipotizzava in specie che, nel caso di un non totale raggiungimento degli obiettivi di bilancio, ci sarebbe stata: «una possibile rimodulazione delle tax expenditures o delle aliquote delle imposte indirette incluse le accise o l’Iva»…”. Fu il successivo governo Monti a rinforzarla “…trasformandola in una specifica vincolante norma di legge, fissandola nel dettaglio coattivo di cifre e di date, in specie concentrandola sull’incremento dell’Iva…”.
Da allora si è solo replicata nella stessa forma definita da Monti che quindi ne è il padre politico.
Appurato perché e come è nata, va aggiunto che la clausola è anche una assurda presa in giro. Infatti, che senso ha promettere per il 2021/2022 un deficit del 1,8/1,4% (da ottenersi con l’aumento dell’IVA) che costituirebbe una stretta fiscale tale da mandarci direttamente in recessione? Fino a quando sarà necessario perpetuare questa finzione e dichiarare finalmente alla UE che non è accettabile che il nostro Paese muoia sotto i colpi dell’avanzo primario di bilancio? Nel 2020, senza l’aumento dell’IVA, il nostro deficit/PIL sarebbe stato del 2,8%, nulla di cui avere timore; siamo stati invece costretti ancora una volta a sorbirci una stretta fiscale di 8/9 miliardi per fare il 2,2%.
Da ultimo, la chiosa di Tremonti merita la citazione integrale: “…Ai tempi di Curzio Malaparte («Tecnica del colpo di Stato», 1931) i golpe si facevano con il crepitare delle armi da fuoco, con le pistole nei palazzi, dopo anche con i carri armati nelle piazze, in tempi più moderni si fanno con il crepitare degli spread. Anche in Grecia si è votato… in Italia no! Ciò che è tragico è che da allora, e poi a seguire, l’Italia ha perso quote crescenti della sua sovranità. E forse anche su questo si dovrebbe (almeno si potrebbe) cominciare a riflettere, alla ricerca delle origini del nostro “sovranismo” e di una diversa idea di Europa…”.
Si, avete letto bene. Tremonti afferma, portando dei fatti a sostegno, che siamo sotto golpe permanente dal 2011 e che il “crepitare degli spread” è l’arma di moderna con cui esso viene attuato. Ma, soprattutto, invita ad una riflessione sul fatto che il “sovranismo” (qualsiasi cosa voglia dire) debba consistere nel recupero di quanto finora ci è stato sottratto con metodi poco leciti. Invita anche ad una riflessione su una diversa idea di Europa. Peccato che tutto ciò che potrebbe essere ascrivibile a quella diversa idea, sia profondamente osteggiato da francesi e tedeschi.
Ma in questo Paese, invece di parlare di questi temi a reti unificate, si preferisce discutere di pesce azzurro che, peraltro, ha una durata breve sui banchi delle pescherie.