Qui c’è un nuovo parroco, un veneziano di Rialto, cinquantenne credo, che è stato ordinato dal patriarca Albino Luciani.
Dopo la lettura della parabola del Fariseo e del Pubblicano, ha detto che da questo possiamo imparare come pregare, specie (ma non solo) in chiesa davanti al Tabernacolo.
Non ci avevo mai fatto caso. Come prega il Pubblicano?
“3Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Fermarsi a distanza: rispetto e timore di Dio; della sua Maestà che ti scruta dentro.
non osava alzare gli occhi al cielo: riconoscere che non si ha alcun “diritto” ad essere perdonati, nessun merito da far valere.
Si batteva il petto. “Battersi il petto è un’abitudine da prendere”, ha consigliato il parroco: “Non è un gesto qualunque. E’ un sacramentale. A cui la Chiesa ha dato il valore di purificare dai peccati veniali”.
La formula della preghiera: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, ha ricordato il parroco è insegnata come centrale nella Chiesa ortodossa”. Ha persino evocato “La via del Pellegrino”, il testo russo sull’esicasmo, la ripetizione dell’invocazione del Pubblicano in obbedienza al consiglio paolino: “Pregate senza interruzione”.
Magari non è niente di speciale, nulla di originale; ma a me questo insegnamento ha fatto bene, tanto ero indietro, e lo comunico nella speranza che faccia bene a qualcuno di voi.
Da adesso, entrando in chiesa, mi inginocchio e batto il petto, dicendo che “ho molto peccato in parole, opere e omissioni”, avendo davvero presente che ne ho fatte più di Carlo in Francia (non è difficile), ed ho avuto, come dire, dei segni di Benevolenza. Che mi mancavano da anni.
Mi mancavano, temo, perché in questi anni ho pregato da Fariseo. Vado a Messa regolarmente, mi comunico, mi confesso, sono un buon cristiano, vado anche al Vetus Ordo: “Dammi l’assoluzione”, “Dammi questo”, “Dammi quello” – appunto come si rivendica un diritto. Mi veniva normale – penso in parte perché infettato anche io da questa temperie “dei diritti” che è un’epidemia spirituale delle più mortali.
Che a 77 anni – con quel che comporta di vicinanza alla morte – mi sia stato insegnato a pregare “da pubblicano”, è una grazia incredibilmente generosa che Gesù mi ha donato, per smuovermi dalla fossilizzazione in cui m’ero cacciato, prima che sia tardi. Un regalo. Insperato, forse nemmeno chiesto. Ho compreso davvero quel che disse Cristo a suor Faustina, l’eroica: “Da sola non puoi fare nulla. Senza un Mio aiuto particolare, non sei nemmeno capace di ricevere le Mie grazie».
E’ vero, è stato questo aiuto particolare. Negli ultimi tempi, quando passeggio, mi capita di notare auto con le targhe “B”, o “C” tenute con grande cura, pulite, lucide. Sono palesemente auto di poveri, hanno dieci o vent’anni. Quante auto con le stesse targhe ho avuto io, e le ho rigate e poi mi venivano a noia e le ho cambiate? Ho speso infinitamente più in macchine che in opere buone. Ho sprecato tutto quel denaro. Ormai non torna più, e nel giudizio, dovrò spiegare cambiavo auto ogni tre-quattro anni – senza potere far valere atti di carità, di bontà, di aiuto fraterno con la stessa frequenza.
Davvero non posso fare altra preghiera che quella:
“Il pubblicano, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Mi batto il petto come si deve. E’ un sacramentale. E’ chiaro che non basta. Ma fa tutto Lui.