Essenza e mistero della Cavalleria: dalle profondità della storia
L’essenza e il mistero della Cavalleria: dalle profondità della storia.
Il termine cavalleria è complesso, multiforme e sfuggente.
Non si confonda con le storpiature borghesi moderne della “cavalleria” del lavoro o dei riguardi verso il gentil sesso, l’aspetto storiografico medievale pone il suo accento sulla componente militare del guerriero a cavallo. La Cavalleria è frutto di fusione lenta e progressiva nella società aristocratica e guerriera del X secolo, con elementi vari di ordine politico quanto militare, culturale, religioso, etico e ideologico.
Nella violenza radicata dell’uomo romano-germanico, infatti, irruppe il cristianesimo e la Chiesa alto medievale, sollecitata dall’importanza che i guerrieri della nascente Europa attribuivano al del concetto di guerra.
Da qui partì una valutazione spirituale del combattere onesto, non come uccisione, ma come lotta contro un male nel mondo.
Nella cultura della Redenzione espressa da Gesù nei Vangeli il concetto cristiano di guerra si incorpora nella dimensione escatologica dell’ultima battaglia contro il dragone infernale ed i suoi accoliti.
Nella società medievale il potere, la guerra e la violenza non vengono sradicati, restando quelli di sempre , però vi si incunea un’etica nuova che fa fare il salto di qualità al guerriero: è l’ideale del guerriero cristiano nutrito dal misticismo veterotestamentario quanto dal dubbio sulla liceità o meno di partecipare alla guerra:
«Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis: non quomodo mundus dat, ego do vobis» (vi lascio la pace, vi do la mia pace: non quella che dà il mondo) (Giovanni 14, 27).
Il cristiano diventava Miles Christi sull’esempio dei martiri, Agostino invocava il diritto dei cattolici alla legittima difesa, Gregorio Magno predicava (la) alla guerra morale per la conversione dei nemici.
L’alleanza fra trono e altare prosegue una continua e programmatica valorizzazione del contributo bellico dei franchi nella storia della Chiesa.
L’impero carolingio diventa come nuovo Israele e Carlo la trasfigurazione di David, figura prediletta da Dio come esempio di re, accettando il ruolo di defensor fidei.
Con l’età carolingia la sacralità guerriera che viene dal profondo e dal passato fumoso dei nuovi popoli cristiani, si incorpora ufficialmente nelle istituzioni liturgiche e ecclesiastiche: la spada ha accesso agli altari e viene benedetta, maneggiata e consacrata, è oggetto liturgico.
Le mansioni del cavaliere vengono a considerarsi nell’alveo della protezione al prossimo: un cavaliere è devoto al valore il suo cuore conosce solo la virtù la sua spada difende i bisognosi la sua forza sostiene i deboli le sue parole dicono solo la verità la sua ira si abbatte sui malvagi.
Antico codice cavalleresco
Se la cultura romano-cristiana aveva preso in prestito la visione positiva e sacrale della guerra dai Germani, attraverso i contatti con l’Oriente cristiano, si trovano le condizioni per accettare il culto dal tono bellicoso dei santi militari come guide metafisiche dell’esercito imperiale cristiano, che era stato quello degli eroi-imperatori come Costantino e Teodosio.
Compaiono le effigi di Cristo e della Vergine sui vessilli degli eserciti con tanto di santi nazionalizzati come San Giorgio per l’Inghilterra o San Michele, che era particolarmente venerato da Normanni e Longobardi.
Il portare le armi passa da segno di libertà a segno di nobiltà, il culto michelita fece da fulcro a questa trasformazione in un’epoca in cui il popolo longobardo si era intessuto nella società occidentale conciliando cattolicesimo e bellicismo germanico.
Il culto nazionale dei martiri e quello dell’arcangelo fruttificò nel XI secolo San Michele come il santo cavaliere per eccellenza in una prospettiva neoisraelitica in cui l’impero carolingio, come precedentemente detto, intendeva presentarsi.
Il flusso iconografico dall’Oriente, la grande tradizione angeologica dello pseudo-Dionigi l’Areopagita e le reliquie dei luoghi santi contribuirono a preparare la grande fioritura cavalleresca conosciuta dall’Europa Occidentale e implementata dalla Chiesa con le crociate dalla fine del XI secolo in poi.
La tradizione, a partire dal successo della prima crociata e al fiorire dei numerosi ordini monastico-cavallereschi sorti in terra santa come in Spagna e in Europa, vuole San Bernardo di Chiaravalle come coadiutore della disciplina della regola templare e autore quindi del De Laude Novae Militiae, che ricorda il vero compito cristico dell’istituzione cavalleresca.
Si delinea la Militia Christi dei templari, il più bellicoso e disciplinato ordine monastico -cavalleresco fondato a Gerusalemme presso il luogo dove sorgeva il Tempio prima che venisse distrutto da Tito durante la guerra tra giudei e romani nel
70 d. C. Con il celebre sermone del santo di Chiaravalle entra definitivamente nel tessuto della società cristiana la duplice battaglia interiore e esteriore, il concetto di malicidio come uccisione di un male altrimenti inevitabile e, pertanto, necessario da abbattere per gloria di Dio e servizio al prossimo:
«Non senza ragione [il cavaliere ] porta la spada: per la punizione dei malvagi e la lode dei giusti » (San Bernardo, De Laude Novae Militiae).
Raimondo Lullo nel XIII secolo rafforza l’ ormai conquista cristiana della “guerra giusta” con il suo Libro dell’Ordine della Cavalleria. Le qualità interiori del cavaliere si connettono alla realtà quotidiana del cristiano virtuoso.
L’investitura a cavaliere diventa sacramentale e rituale secondo l’antico Pontificale Romano , perché i guerrieri dell’occidente romano -germanico ereditarono l’uso della consegna iniziatica delle armi dal bagaglio di significato sociale e magico degli antenati pagani, la Chiesa intervenne rivestendo la cerimonia di caratteri regali: l’addobbamento del cavaliere era nato.
Il cristiano, oltre che il cavaliere e il combattente di mestiere e ruolo sociale, diviene Miles in senso eroico di disprezzo di ogni compromesso e lotta a favore di Cristo e della Chiesa.
Il ruolo ricoperto dai cavalieri e milites medievali si può trasmutare nel “popolo di battezzati” che combatte contro i mali, i vizi e le tentazioni per la salvaguardia della Chiesa e per la società cristiana, sia con la preghiera che con la contemplazione o la lotta fisica.
San Bernardo alla Militia vi contrappone la Malitia ovvero la cavalleria secolare, condannata perché parodia violenta della più sacra cavalleria del Tempio al servizio del vero Bene.
Con San Bernardo quindi si separa nettamente la cavalleria come ordine sociale della società guerriera, da quella costituita dai monaci-guerrieri che abbracciano l’onere del combattimento perché chiamati alla vocazione religiosa e quindi esemplari nella vita cristiana, come a voler ribadire che i religiosi sono più immuni all’orgoglio e alla ὕβρις che ha a lungo tormentato i cavalieri mondani nelle loro azioni violente e peccaminose.
Per i guerrieri-monaci la vittoria contribuisce al puro amoroso operare della carità di Dio, invece la sconfitta porterebbe alla vittoria di Dio nell’accogliere le loro anime nel Cielo:
«Infatti nel primo caso si guadagna [la vittoria] per Cristo, nel secondo si guadagna Cristo stesso. Egli accetta certamente di buon grado la morte del nemico come castigo, ma ancor più volentieri offre se stesso al combattente come conforto.
Affermo dunque che il Cavaliere di Cristo con sicurezza dà la morte ma con sicurezza ancora maggiore cade. Morendo vince per se stesso, dando la morte vince per Cristo.» (San Bernardo, De Laude Novae Militiae cap. III, 4).
Strumenti e simboli del cavaliere
Ma Chi è il cavaliere? Quale rapporto speciale coi simboli che attingono al metafisico?
Anche nel suo itinerario storico che affonda le radici nel millennio medievale e si prolunga ben oltre, l’immagine del cavaliere assume un significato archetipico, di guerriero, santo, eroe¹.
Passiamo in disamina dunque gli elementi che ci fanno riconoscere la figura del cavaliere.
Il cavallo
Il veicolo dell’eroe è il cavallo che ritroviamo sepolto nelle tombe dei principi.
Il cavallo è infatti simbolo mitico-religioso soprattutto per quei popoli che andarono a comporre l’occidente medievale.
L’aspetto funzionale e sacrale si rintraccia nel cavallo alato presso i Greci dove l’importanza del cavallo nelle cerimonie funebri di età omerica è nota sia nel riferimento a Troia e all’inganno del cavallo di legno sia per quanto riguarda il sacrificio del cavallo sulla tomba degli eroi o l’epiteto di Ettore “domatore di cavalli”, epiteto dalla funzione rituale.
Tuttavia presso i Germani troviamo l’elemento caratteristico dei Reitervölker in cui la funzione di psicopompo² del cavallo si palesa: accompagna nel regno dei morti il suo passeggero, il cavaliere.
Il volo magico verso l’aldilà si connatura come connesso al ciclo morte-rinascita-immortalità.
Il cavallo (e il suo cavaliere) viene ad assumere ruolo positivo e familiare nel mondo mediterraneo, dove diviene il migliore amico dell’uomo e l’annientatore dei pericoli ctoni della terra.
La sacralità del cavallo abbatte l’ambiguità del centauro dove l’uomo non è libero dall’animale, ma anzi ne è spesso soggetto alla furia irrazionale. Infatti, ora è il cavaliere che guida il cavallo,
non viceversa. Il cavallo è forza terrena, istintuale e fisica, il cavaliere è intelligenza e ragione che ha domato la bestia ed è indipendente da essa.
Nelle figure esemplari e iconografiche si rintraccia la funzione celeste del cavallo, come in San Giorgio, figura del cavaliere universale, colui che coltiva se stesso e che è rappresentato in
groppa ad un cavallo bianco, non-colore della luce, della trasfigurazione, della rivelazione e della grazia.
Il bianco agisce silenzioso come la purezza e dona l’aspetto divino al cavaliere terreno.
La Spada
Anche la spada assume valore magico nella maggior parte delle culture, il suo prestigio misterioso deriva dal metodo per la sua lavorazione, soprattutto nelle epoche profonde nelle quali la lavorazione dei metalli era affidata a fabbri-sciamani che quasi alchemicamente plasmavano oggetti dalle profondità venose delle rocce tramite i minerali, raccolti ed estratti appunto dalle buie cavità della terra.
Anche la spada, come il cavallo, era un’arcana compagna³.
Composta dai quattro elementi fuoco, aria, terra e acqua, la spada comincia a diventare per se stessa sacra, ma anche simbolo abbastanza diffuso presso i Germani come per gli Sciti o i Romani nella versione di glaudius.
La spada confitta nel terreno è oggetto di culto come lo fu per San Galgano⁴ che di una spada fece una croce, grazie all’elsa a croce delle spade medievali occidentali, e che rappresenta l’abbandono della mondanità per accedere alla conversione.
Gli elementi di sacralità della spada sono la sua origine misteriosa e meravigliosa, la personalità dell’oggetto e il fatto di conferirgli un nome.
Celebri sono infatti la Durlindana di Orlando, Escalibur di Artù e la Gioiosa di Carlo Imperatore, che dà linfa all’antica rappresentazione germanica della guerra-festa.
La spada è poi a doppio taglio, lunga e lineare come la verità che sta sulla bocca del cavaliere.
Il duplice taglio rappresenta le due battaglie portate dal cavaliere: quella interiore contro le forze spirituali maligne e quella esteriore per la giustizia.
La spada è infatti l’arma leale che richiede di essere impugnata da un braccio nobile, è arma a corto raggio poiché:
«O maladetto, o abominoso ordigno, / che fabricato nel tartareo fondo / fosti per man di Belzebù maligno / che ruinar per te disegnò il mondo, / all’inferno, onde uscisti, ti rasigno!» (Orlando furioso IX, 91).
Il cavaliere giura sulle sue armi , veglia sopra di esse prima di essere investito cavaliere.
Chiaramente nel contesto medievale la società tutta traeva dalla guerra molte strutture portanti e, invero, la spada rappresentava simbolo anche di libertà sia per proteggersi sia in senso giuridico derivante dal passato longobardo il cui popolo era una fratellanza di guerrieri, un comitatus. Liberi in quanto guerrieri, chi non ha una spada non è un uomo libero.
Inoltre pure l’insegnamento evangelico ci dice:
«non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada.
Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.» (Matteo 10, 34-40);
«Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una» (Luca 22, 36-37).
Staffe
Si presenta come innovazione tecnologica per i cavalieri che così si potranno mantenere più stabilmente in sella. È infatti ciò che aiuta a salire sul cavallo e ciò che tiene saldo il cavaliere, la sua fermezza del cuore, la staffa offre equilibrio e maggiore abilità in combattimento.
Gambali
Rappresentano il cammino verso Dio, il tragitto senza incertezze perché guidato da Cristo e dalla Provvidenza.
Giubba
Il giubbone sta all’esterno, esposto al mondo e ai pericoli delle contingenze della vita. È la parte che subisce le intemperie e accompagna il cavaliere nel suo sentiero accumulando sporcizie e sgualciture. Per questo rappresenta le grandi sofferenze che si devono patire nel mondo per difendere il proprio onore e la propria causa intrapresa per vocazione e giustizia:
«Il giubbone ricorda al Cavaliere le grandi sofferenze ch’egli dovrà patire per onorare l’Ordine della Cavalleria. Infatti, come il giubbone sta sul resto dell’armatura, esposto al sole, alla pioggia e al vento, e riceve il colpo prima della corazza e da ogni parte è trafitto e lacerato, così il Cavaliere viene scelto per affrontare maggiori e più duri travagli di ogni altro uomo.» (Raimondo Lullo, Libro dell’Ordine della Cavalleria, par. 17)
Armatura
È, come ci dice San Paolo, l’armatura della fede, ovvero la chiusura sul cuore, la difesa divina e la disciplina umana che concorrono alla chiusura totale (al vizio) dal vizio e (all’errore) dall’errore:
«Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue , ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Prendete dunque l’ armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove.
State saldi, dunque : attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace.
Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio.
In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi.
E pregate anche per me, affinché, quando apro la bocca, mi sia data la parola, per far conoscere con franchezza il mistero del Vangelo, per il quale sono ambasciatore in catene, e affinché io possa annunciarlo con quel coraggio con il quale devo parlare.» (San Paolo, Efesini 6, 10-20)
Elmo
Il copricapo militare che difende dai colpi mortali, simbolo anche in età più recente del rango militare, l’elmo o il cappello militare che dir si voglia, si indossa solo se si è in pericolo, se si è, come il cavaliere, peregrini nel mondo per combattere il male.
Ci si riveste dell’elmo perché si cela al nemico il proprio volto altrimenti vulnerabile ai suoi inganni.
L’elmo è il simbolo del militare super terram, l’unica parte che si ripone infatti quando si varca la soglia di un’altra dimensione fidata e estranea ai pericoli del mondo.
Il togliersi l’elmo indica fiducia verso l’ospitante e cieca obbedienza, mentre per il cavaliere che persegue la sua missione fra i pericoli del mondo esterno, rappresenta la vergogna dal disonore e dalla viltà, una sicurezza in più che sprona ad affrontare con coraggio ogni pericolo.
Alcuni se ne andarono per amore di gloria,
Alcuni se ne andarono che erano infaticabili e curiosi,
Alcuni rapaci e lussuriosi.
Molti lasciarono il corpo ai nibbi della Siria
O furono dispersi in mare lungo il viaggio;
Molti lasciarono l’anima in Siria,
Continuando a vivere, immersi nella corruzione morale;
Molti tornarono indietro spezzati,
Ammalati e costretti all’elemosina, trovando
Uno straniero alla porta:
Giunsero a casa screpolati dal sole dell’Est
E dai sette peccati capitali della Siria.
Ma il nostro Re si portò bene ad Accra.
E a dispetto di tutto il disonore,
Degli stendardi spezzati, delle vite spezzate,
Della fede spezzata in un luogo o in un altro,
C’era qualcosa che essi lasciarono, ed era piú che i racconti
Di vecchi in sere d’inverno.
Solo la fede poteva aver fatto ciò che fu fatto bene,
L’integra fede di pochi,
La fede parziale di molti.
Non avarizia, lascivia, tradimento,
Invidia, indolenza, golosità, gelosia, orgoglio:
Non queste cose fecero le Crociate,
Ma furono queste cose che le disfecero.
Ricordate la fede che trasse gli uomini dai loro focolari
Al richiamo di un predicatore errante.
La nostra età è un’età di virtú moderata
E di vizio moderato
In cui gli uomini non deporranno la Croce
Perché mai l’assumeranno.
Eppure nulla è impossibile, nulla,
Agli uomini di fede e convinzione.
Rendiamo quindi perfetta la nostra volontà.
O DIO, aiutaci.(T. S. ELIOT, Cori da «La Rocca», VIII. In: T. S. ELIOT, Poesie, a cura di R. Sanesi, Milano, Mondadori, 1971, pp. 391-393).
Metastoria del cavaliere
Il cavaliere è per antonomasia errante, alla ricerca di qualcosa e nei romanzi di Chretien de Troyes vediamo gloriosi cavalieri perdersi nelle paludi, perdere tempo con le fanciulle, cadere nelle tentazioni e fallire nella Cerca.
Nella Cerca si intraprende la via di santificazione nella quale è la preghiera che illumina il cammino di un solo passo che basti a intravedere la terra su cui poggiare il prossimo.
La via è colma di pericoli: orgoglio, imprudenza, dubbio e pigrizia, mentre le virtù devono indirizzare all’umiltà e alla certezza dell’aiuto provvidenziale.
Si evince che la cavalleria è dunque una via dello spirito. Benché storicamente il ruolo sociale del cavaliere sia stato caratterizzato dalla funzione militare e aristocratica, essa trae fondamento dall’origine morale di un tale simbolismo.
Il cavaliere comincia ad essere colui che è più virtuoso, indipendentemente dalle origini più o meno prestigiose.
Ecco perché San Francesco e Giovanna d’Arco si annoverano fra i cavalieri. La cavalleria è di vocazione spirituale, è fedeltà alla regola e la sua protettrice è Maria Dama celeste, il patrono San Michele comandante della milizia celeste.
Fine della cavalleria è glorificare Cristo e combattere contro i nemici spirituali, dare l’esempio cristiano attraverso un itinerario spirituale, preludio all’accesso allo stato di santità in Cielo.
Intraprendere la via implica la conversione e il mutamento dei costumi, la fruizione dei sacramenti, la disciplina di mente, anima e corpo, rappresentata dalla candida tunica affidata al cavaliere prima di cingere la spada, simbolo di rinascita.
Il cavaliere è tanto espressione del medioevo nella sua configurazione sociale, materiale e etica quanto via eterna per la salvezza.
Principale qualità che contraddistingue il cavaliere è la limpidezza del cuore e quindi la purezza d’intento e la sincerità profonda poiché dai cuori torbidi sgorgano pensieri iniqui e l’offuscamento della visione pura del cavaliere per mezzo dell’orgoglio, primo peccato che fece cadere il primo uomo dall’Eden.
Dunque per combatterlo è necessaria l’umiltà che però non è annichilimento ma grandezza spirituale, servizio di Dio nel
prossimo ovvero essere in maniera esemplare cristiani e fare dono con gioia del proprio al bisognoso come San Martino che recide il suo mantello per donarlo al povero.
Altro ostacolo l’avidità, attaccamento alle cose e al mondo poiché infatti sta scritto:
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome , perché non conoscono colui che mi ha mandato .» (Giovanni 15, 18-22).
Accettare sofferenza, solitudine e incomprensione mantenendo il cuore colmo di carità per sapere ben consigliare e elargire sapienza a chi non ne ha.
Altro vizio capitale del cavaliere è la violenza contro la quale la Chiesa nel Millennio medievale si è prodigata per cancellare e trasformare in servizio.
La violenza è figlia dell’orgoglio, peccato principale, ed è contraria alla carità, trasforma il talento della forza in talento maligno, impiegato malvagiamente.
Poi la tristezza e lo scoramento, la mancanza di fiducia nella quale incappano i cavalieri della Cerca di Chrétien de Troyes, una tristezza che diventa disperazione e abbassa il cavaliere fino al terreno.
Il cavaliere si avventura in cerca di se stesso, vince la pigrizia e si nutre della palestra del bosco e dell’isolamento della montagna, superando gli ostacoli che incontra sul percorso e vincendo la prova con se stessi nel corpo e nell’anima.
Il cavaliere ha chiara visione del suo militare poiché non può essere difeso ciò che è sconosciuto e l’amore nasce dalla conoscenza e si nutre di essa. Il cavaliere ha spesso nostalgia, la
sua fidata compagna , ma cura spazio e tempo, medita e dedica tempo a “ripulire la spada ”.
Il sottosuolo delle strutture mentali cavalleresche lo ritroviamo trasformato con il contatto con il cristianesimo, il medioevo e le crociate, trasfigurate e connesse con il rispetto della guerra, della morte e di una particolare visione della vita e dell ’Aldilà: per secoli l’uomo occidentale ed europeo ha ammirato i signori della guerra e i loro grandi animali, le immagini di San Giorgio, San Martino, San Teodoro e le plurime figure culturali del cavaliere aldilà della storia , che rappresenta un combattimento perpetuo contro forze avverse.
Da qui Chrétien de Troyes investe il giovane ed ingenuo Parceval della fascinazione per la foresta, il frastuono della guerra, gli zoccoli dei cavalli in marcia, gli angeli e i demoni del mondo soprannaturale.
Lo straniamento sacrale diventa la chiave della superiorità cavalleresca sugli altri uomini. Qui la storia si fa meno sociale, militare e tecnica e prende la via della mente e del pensiero oltre la storia materiale.
Il cavaliere è bello e terribile e si impone nella memoria collettiva dei secoli coevi ai cavalieri come a quelli del revival cavalleresco o anche ai nostri anni contemporanei.
L’approccio verticale della visione cavalleresca e la sua peculiarità della meditazione attorno al suo concetto attraversa i secoli aristocratici del medioevo e approda in una profondità spirituale e simbolica che è ben rappresentata dalla Cerca del Graal come della Lancia che attraversa il cuore divino di Cristo.
Il Graal si impone come storia universale e interiore di ognuno , di ogni uomo o donna che si mette in cammino per la ricerca spirituale e mistica.
Il Sacro Graal diventa immagine del mito dell’Occidente, la “ricerca dell’eterno” per citare John Matthews. Un mistero e una ricerca al contempo che ha come fulcro l’inizio della storia cristiana con la morte di Gesù in croce.
La cerca del Santo Graal come cerca del Sangue Reale del Cristo.
La cerca del Graal
Il primo romanzo del Graal ha come protagonista Parceval.
Tuttavia il racconto si presenta come semplice e asciutto quanto carico di simboli e allegorie che, probabilmente, avendo perduto una scienza sacra coltivata indietro nei secoli, non sappiamo né cogliere, né interpretare in maniera corretta. Parceval non è però un eroe omerico o vichingo dall’aspetto forzuto e dalla saggezza profonda, è piuttosto un fanciullo ignorante, ma dotato di un cuore buono, predisposizione fondamentale per entrare nella cavalleria mistica.
L’iniziatore alla Cerca è Artù ma il vero “re che fa i cavalieri” è il Re Pescatore, custode del Santo Graal, comunemente definita come la coppa in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Gesù⁵.
La madre di Parceval allontana il figlio dal mondo perché attratto dai pericoli della cavalleria: «Credo tu abbia visto gli angeli di cui la gente si lamenta che uccidono tutti quelli che toccano»⁶
dice la madre al figlio rinchiudendolo nella foresta selvaggia e impedendo lo slancio vitale a Parceval che, dal rapporto morboso e protettivo della madre, acquisisce forza spirituale, diventa immune alle logiche corruttibili del profitto, della perdita o del
possesso materiale⁷.
Parceval lascerà comunque la dimora materna per associarsi ai cavalieri di Artù con i quali comincia l’avventura della Cerca, che altro non è che la ricerca del vuoto del proprio cuore. Il segreto del Graal è la vacuità e quindi la liberazione dagli egoismi e dai vizi per permettere a Dio di riempire la coppa vuota del cuore umano.
L’uomo vive costantemente con la fame dal cuore, ogni desiderio è una bocca, ma nonostante la si nutra essa necessita di sempre più nutrimento: non si sazia, è un fuoco eterno che non appaga, questo è il cuore dell’uomo fintantoché non si accorga che la liberazione dagli orpelli del suo stomaco e della sua interiorità sono una grazia.
Il vuoto è una grazia perché così c’è la possibilità di riempire quella stessa coppa svuotata dai liquidi impuri. L’uomo ha in se stesso questo appetito celeste ed esistenziale, un appetito che non può essere nutrito dalle cose del mondo perché creato dalla forgia celeste di Dio. La ragione per la quale l’uomo non si appaga di nulla fuorché di Dio è perché è immagine e somiglianza di Lui e solo Lui può riempire quella coppa del cuore che, così ricolma, accede al banchetto della tavola rotonda celeste.
Ecco perché la Cerca è l’impresa più ardua del cavaliere e la sua
stessa essenza di cavaliere, perché è combattimento contro e per se stesso a servizio della Verità, di Colui che riempirà il suo vuoto e la sua coppa tanto cercata lungo il cammino.
Un cammino tortuoso come la salita del monte più alto nel quale lo stesso Parceval si perderà e peccherà annichilendosi e cadendo in una disperata tristezza d’animo.
La purificazione viene raggiunta attraverso il riconoscimento dei peccati (la confessione) e così può accogliere il sangue di Cristo riversato sul suo cuore come il Signore riversò il suo Spirito, il suo Sangue e il suo Corpo agli apostoli durante l’ultima cena:
«Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo”. Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché
questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati.» (Matteo 26, 26-29).
Parceval purificato e svuotato guarirà Amfortas adempiendo al ruolo vocativo di assistenza al bisognoso e riuscirà ad avere la forza di non cedere all’amore in forma di eros per le lusinghe di una bella donna che impedirebbe e porterebbe il cavaliere ad abbandonare la Cerca⁸.
Infatti, l’obiettivo ultimo del cavaliere non è solo lasciare indietro, sulla strada, i vizi che impediscono lo svuotamento del cuore, ma anche e soprattutto annullarsi umanamente per volere divino.
L’ultima prova porta il cavaliere a divenire egli stesso Volontà di Dio, cosicché appare il Graal nel cuore del cavaliere e diventa ciò che egli stesso aveva sempre cercato.
L’errare sulla terra si trasmuta in ascesa celeste attraverso il percorso delle prove e dei luoghi più remoti, in analogia col viaggio dantesco che non riesce a superare il sacro colle e intraprende il viaggio come cavaliere iniziato alla Cerca della Volontà divina e del cuore finalmente riempito: erra per i regni inferi e accederà alla visione di Dio in Cielo.
Il destino ultimo del cavaliere dunque, come del cristiano che parte alla ricerca, è trovare il Graal senza saperlo, accedervi per purezza di cuore.
Il viaggio trasfigura l’eroe, l’oggetto della ricerca si rivela un non-oggetto, bensì un soggetto aldilà del materiale, aldilà del percorso terreno e naturale, da ultimo una via, l’unica via d’accesso al soprannaturale.
La via spirituale si chiama cavalleria, la sua essenza è il cuore con il quale si ha l’ambizione di accostarvisi: il Santo Graal per il quale Perceval intraprende la Cerca.
Se non è più possibile oggi portare la spada e combattere battaglie nobili, se non c’è più alcun modo di ripercorrere quel viatico che fu del cavaliere con i suoi codici e la sua nobiltà d’animo, è forse ancora possibile perfino per l’uomo moderno la ricerca interiore del Santo Graal o del Sangue Reale del Cristo, centro e fondamento della cavalleria medievale come del suo fascino e del suo mistero che attinge al metafisico e risale dalle radici storiche del medioevo.
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Note
- F. Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, parte I, Guerrieri, sciamani, missionari, Firenze 1982.
- M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Torino 1972.
- Vedi J. Frazer, G. Dumezil, M. Eliade.
- L’iniziazione del santo si configura come una “morte” e “rinascita”: nella Vita beati Galgani Galgano sogna di seguire l’arcangelo Michele nella sua avventura errante di cavaliere. Galgano raggiunge una cappella rotonda dove seggono i dodici apostoli, ma il suo cavallo non vuole proseguire. Pregando in sella il cavallo si muove come per volontà divina. La sua spada confitta in terra è atto simbolico ripreso poi dal ciclo arturiano: il cavaliere sancisce l’abbandono della vita secolare e prefigura la sua conversione.
- In realtà nei romanzi di Chrétien de Troyes mai si descrive una coppa, bensì una sorta di recipiente o bacile che raccoglie il sangue che fuoriesce dalla lancia che trafisse il cuore del Cristo, tra l’altro il calice da cui bevve Gesù nell’ultima cena è venerato a Valencia.
- Parceval, o il Romanzo del Graal, in Chrétien de Troyes, Romanzi, tr. It., Firenze 1962, p. 488 sgg. per l’incontro nella foresta e p. 494 per le parole della madre.
- Cfr. Claudio Risè, Parsifal, l’iniziazione maschile all’amore, La Scuola SEI 2016.
- Il tentativo di seduzione da parte della donna al cavaliere rappresenta un topos consolidato anche nel contesto spirituale della Cerca della santa coppa. Esistono numerosi racconti in merito riferiti anche al contesto cavalleresco dei romanzi di Chrétien de Troyes ma non solo, per approfondire il tema si veda J. R. R. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Luni editrice 2000, Milano. In particolare il capitolo “Galvano e il cavaliere verde” pp. 119-166.