L’aperta legittimazione dell’omosessualità da parte del quotidiano dei vescovi italiani, che nega così un Magistero consolidato, deve far prendere coscienza della vera sfida che riguarda tutti i fedeli e, in primis, ogni singolo vescovo.
Che Avvenire sia da tempo impegnato nella promozione dell’agenda Lgbt nella Chiesa non è certo una novità e noi lo abbiamo più volte denunciato. Ma forse non si era mai arrivati a una tale chiarezza sulla legittimazione dell’omosessualità e transessualità come varianti naturali della sessualità. In pratica a una piena accettazione dell’ideologia gender. La risposta data da Luciano Moia a una lettrice sull’edizione del 10 agosto è eloquente.
>>Lo spiega bene Tommaso Scandroglio << nell’articolo di primo piano, in cui documenta anche le falsità dottrinali e magisteriali di cui fa sfoggio Moia per poter sostenere la sua tesi.
Non ci ripeteremo qui, piuttosto vorremmo allargare il discorso cogliendo le implicazioni e le conseguenze di tale situazione. Ora, è vero che quanto pubblicato da Avvenire – pur se in forma autorevole, come è l’articolo di Moia – non può essere attribuito automaticamente alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI), proprietaria del quotidiano. E però non si può essere così ingenui da pensare che certi articoli e soprattutto la linea tenuta su un argomento così delicato non sia ispirata dall’alto o goda comunque dell’approvazione dei vertici della CEI. Come detto, infatti, non si tratta di un episodio isolato ma di una campagna vera e propria che dura da anni e punta a convertire tutta la Chiesa italiana al verbo omosessualista, compresa una pressione piuttosto esplicita su movimenti e diocesi perché si occupino di pastorale Lgbt. Né possiamo far finta che questa non sia la strada imboccata anche da Roma: certe manifestazioni alla recente GMG di Lisbona e la preparazione del Sinodo di ottobre sono decisamente eloquenti.
Semplicemente ad Avvenire si fa dire quello che i vescovi non possono (ancora) dire apertamente, anche se già agiscono così: vedi il caso della benedizione della coppia gay a Bologna, diocesi retta dal presidente della CEI, cardinale Matteo Zuppi (vedi qui e qui).
E a questo proposito è chiaro che – se non ci saranno interventi “correttivi” – la strada imboccata è proprio quella della piena legittimazione delle unioni gay. Se infatti «esistono diversi approcci alla sessualità» e non ci sono «gerarchie di rispetto e di dignità», non solo non c’è alcun motivo per impedire le benedizioni delle coppie gay, ma non si potrà neanche discriminare in fatto di matrimonio. È una questione di pura logica. Tutti i distinguo clericali, i giri di parole, il permettere delle cose facendo finta di non saperne nulla, sono soltanto tattiche per abituare il popolo di Dio alle nuove idee.
Quindi torniamo al punto: alla presidenza e segreteria della CEI sono tutti d’accordo sulla promozione dell’ideologia gender e della legittimazione dell’omosessualità e di tutte le altre varianti possibili (la “beatificazione” in corso di Michela Murgia ha anche digerito il “matrimonio queer”)? E, uscendo dal Palazzo, in Italia tutti i vescovi concordano con i concetti espressi da Avvenire o li trovano “normali”? Non pretendiamo grosse manifestazioni pubbliche di dissenso – non sia mai – ma ci sono comunque molti modi “istituzionali” per manifestare preoccupazione o porre domande adeguate alla gravità della situazione.
Perché non ci si può prendere in giro: o sbaglia la Parola di Dio e il modo con cui la Chiesa l’ha sempre interpretata, oppure sbaglia – e di grosso – Avvenire con tutti i vescovi che spingono in quella direzione. Non è un caso che Moia, a sostegno delle sue tesi, non possa citare nulla della Tradizione della Chiesa e deve addirittura forzare anche Amoris Laetitia: siamo al cospetto di una “nuova Chiesa” che sta prendendo il possesso della Chiesa di Cristo. Come del resto aveva “visto” Paolo VI, in quella riflessione raccolta dal filosofo francese Jean Guitton l’8 settembre 1977: «Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa».
Ecco, in questi frangenti crediamo sia doveroso da parte di tutti – vescovi, preti, laici – decidere se seguire e difendere apertamente «il pensiero della Chiesa» o lavorare per i suoi nemici usurpatori. Può essere che il «pensiero non cattolico» si presenti come vincitore assoluto, appaia inutile opporvisi e sia quindi più conveniente adeguarsi, ma non dimentichiamo mai che la Chiesa è di Dio ed è al Signore che alla fine dovremo rispondere.