Com’è che la società “aperta”, affermata ed esaltata come il regno di tutte le libertà, e i diritti individuali, sta diventando sempre più restrittiva e dogmatica? E come mai la promozione che essa propaganda di ogni “diversità” finisce per sboccare, nella realtà, in omogeneità? Perché chiunque si scosti dal consenso libertario è per definizione sospetto? Anzi da reprimere come “fascista”?
Se lo domanda il filosofo Ryszard Legutko docente all’Università Jagellonica di Cracovia. E’ interessante vedere come intelligenze ancora non standardizzate vengano dall’Est a porre in questione “i nostri valori occidentali”, che qui non è educato porre. Ai primi di novembre è stato il governatore della banca centrale magiara Gyorgy Matolcsy, sulle pagine del Financial Times, ha detto che “È giunto il momento di svegliarsi da questo sogno dannoso e infruttuoso che è l’euro. Bisognerebbe riconoscere che la moneta unica è una trappola praticamente per tutti i suoi”. Ovviamente tutto l’Establishment europeista ha fatto finta di niente.
Adesso è il filosofo polacco a fare obiezioni imbarazzanti. Noi che veniamo dalle dittature sovietiche, vi avvertiamo che quei regimi stroncavano la religione, la metafisica classica col suo concetto di verità, la famiglia: ed ora scopriamo che la “società aperta” ha gli stessi nemici, e condanna e demitizza la religione, condanna la famiglia (“repressiva”), si ride dell’epistemologia classica : ma anche il leninismo, “ la verità in senso classico non esisteva. La verità era “dialettica” , contestuale, determinata dalla classe, storicamente mutevole e giustificata attraverso la “pratica collettiva”, non attraverso le astrazioni che richiedevano “obbedienza servile”. Il mondo era amorfo, malleabile, privo di significato se non quello conferitogli dalla classe storicamente dominante. Sotto il regime totalitario, la nazione era un’entità primitiva da superare in nome dell’internazionalismo; ed oggi, avete la globalizzazione, l’abolizione delle frontiere. Nel leninismo realizzato “non c’era nulla a cui si potesse fare ricorso: nessuna verità oggettiva, nessuna regola, nessuna legge, nessuna norma, nessuna pratica sociale, nessuna istituzione, nessuna definizione”.
La società aperta fa lo stesso: come mai? Le elites occidentali hanno promosso la società aperta ritenendo necessario abolire l’ordine metafisicamente fondato dal cristianesimo e dalla filosofia classica nella convinzione che esso crea “la personalità autoritaria” [allusione a TheodorAdorno e alla Scuola di Francoforte] avendo come scopo “l’antifascismo”, che non tornasse il fascismo. Ma anche l’ideologia sovietica distruggeva gli stessi valori – famiglia, religione, verità – in nome dello stesso antifascismo.
Non che la società aperta (a cui Geroges Soros dedica le sue sostanze e la sua vecchiaia stia somigliando troppo alla vecchia totalitaria?
Legutko sviluppa questi ragionamento nella recensione dell’ultimo saggio di R.R. Reno,un pensatore religioso americano, “Return of the Strong Gods: Nationalism, Populism, and the Future of the West”
“Il ritorno delle divinità forti: nazionalismo, populismo e il futuro dell’Occidente”.
Quelli che Reno chiama “le divinità forti”, non sono gli idoli pagani. Sono quelle cose “che hanno la forza di ispirare amore: amore per la verità, amore per il proprio paese, amore per la famiglia”. Insomma, ciò che Durkheim chiamò “le grandi cose che hanno riempito i nostri padri di entusiasmo”.
Il punto è che il saggio di Reno non registra “il ritorno” degli dei forti, ma la loro espulsione dall’Occidente. La società aperta lotta con ferocia contro ogni segno del loro ritorno, bollandoli come populismi, nazionalismi e fascismi (e antisemitismo). Il guaio è che i valori ideologici che la società aperta cerca di sostituire con questi, conquiste LGBT, femminismo, gender nelle scuole, i “diritti individuali” fino al suicidio assistito, il “clima”, l’inquinamento, per cui “dobbiamo fare qualcosa”, benché imposti con ferocia dai loro zelatori militanti, non sono “forti”. E dov’è la loro debolezza?
Nel fatto che “anche se ispirano entusiasmo” [fra gli adepti] non sanno ispirare amore”. Di qui l’inautenticità delle esistenze dei viventi sotto la società aperta, le adesioni conformistiche alla tirannia delle mode e alle distrazioni stupefacenti.
E perché le conquiste libertarie non ispirano “amore”, la forza che muove le civiltà? Reno si rifà a Sant’Agostino che definì la comunità politica “una adunata di creature razionali legate fra loro dal comune accordo sugli oggetti del loro amore”. E’ questa “unione di amori condivisi” che manca ai femminismo, agli LGBT, ai “diritti individuali” (la libertà di cambiare sesso o di suicidarsi) proposti come ultimo orizzonte dalla società aperta, mancano di questo “noi”: non riescono a vedere che l’amore-noi supera le differenze sessuali e razziali: il noi politico, il noi civico. Che viene umiliato e offeso dalle rivendicazioni della diversità sessuali, femministe e sodomite, dalla imposizione di immigrazioni di massa di culture eterogenee, dalla globalizzazione e dai confini spalancati. Né “l’antifascismo” può essere un sufficiente fattore unificante.
“Le preoccupazioni che animano il populismo in Occidente: immigrazione, frontiere e sovranità nazionale – riflettono un crescente senso che è il” noi ” che ha bisogno di essere sostenuto”, scrive. “Il populista richiede amore e lealtà” collettive, ma l’Establishment risponde con il cinismo e l’indebolimento dei rimanenti appoggi morali, “la guerra contro tutti gli amori nobilitanti” a cui “l’io” possa sacrificarsi con gioia per il “Noi”.
Lo fa perché la memoria storica dell’Estblishment gli ricorda che il “dio forte” che si può davvero affermare è l’amore per la nazione, la patria, la terra, il fascismo….Ma Reno dice: contro questo pericolo, “l’idolatria della nazione”, si devono “coltivare due fonti primordiali di solidarietà che limitano il pretese del “noi” civico: la società domestica del matrimonio e la comunità soprannaturale “. Qui Reno attinge all’insegnamento sociale cattolico, che ha cercato a lungo di difendere e armonizzare le” tre società necessarie “di famiglia, comunità politica e chiesa.
Che la società aperta demolisce incessantemente
“Sono cattolico”, scrive Reno. “Mi piacerebbe vedere un risveglio diffuso del cristianesimo”.
Che dire? C’è da commuoversi per l’ingenuità e il candore del buon americano. RR Reno nasce episcopaliano, è un convertito cattolico: nel momento storico in cui la Chiesa (o neo-chiesa) si è posta dalla parte della “società aperta” e quindi non vuole alcun “risveglio” del cristianesimo.
E non solo da Bergoglio. Bisogna qui lasciare Legutko e Reno, e cercare l’origine – di questo malvagio trionfo degli “io” su qualunque noi, sia matrimonio, patria e comunità sovrannaturale, nel Concilio Vaticano II.
Quando Paolo VI gorgheggiò (7 dicembre 1965) che nel Concilio “La religione del Dio che è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio”, non esprimeva un suo privato delirio. No . Come ricorda don Curzio Nitoglia nel suo ultimo saggio “Non abbiamo fratelli maggiori”, Karol Wojtyla, personalità tutt’altro che delirante e soggetta ad illusioni, ha affermato chiaramente – approvando – che il senso del Concilio è stato “il carattere antropologo, o perfino antropocentrico della Rivelazione offerta agli uomini da Cristo. Questa rivelazione è concentrata sull’uomo [….] il Figlio di Dio, attraverso la sua incarnazione, s’è unito ad ogni uomo […] ecco i punti centrali a cui si potrebbe ridurre l’insegnamento conciliare sull’uomo e il suo mistero”.
Sostanzialmente: ogni uomo adesso è divino, e può far fiorire il suo Io e farsi Dio. Una blasfemia, l’esatto contrario di quel che afferma Agostino: “Il Verbo di Dio si fece uomo, affinché l’uomo non osasse farsi simile a Dio”.
Come era venuta, ai Papi, l’idea di affermare questa blasfemia? Io che sono vecchio, ricordo il clima. Erano i tempi dell’uomo sulla Luna, delle “conquiste della scienza e della medicina” – che impressionarono immensamente i prelati, che di scienze non capiscono nulla, come atti di potenza magica; erano i tempi in cui i preti sentivano che la psicanalisi era più “vera” della confessione; i tempi del maoismo di cui un buon politico cattolico, tornato dalla Cina, disse: “E’ il francescanesimo realizzato, tutti poveri e tutti eguali”.
Le conquiste dell’Uomo che si fa Dio! I padri conciliari, i papi, abbagliati , lo incoraggiarono: vedrete che quest’uomo che si fa Dio realizzerà la società perfetta e senza ingiustizie, la morte senza dolore; anzi, conquisterà i pianeti esterni, colonizzerà le lune di Saturno!
Ed ecco, settant’anni dopo, l’Uomo che si fa dio di se stesso, che fa? Va in discoteca, nelle feste rave, ad ascoltare musica belluina. Nei gay pride. Si fa’ di coca e di hashish. Non studia né lavora. Abbassa la sua intelligenza e la sua cultura oltre i limiti in cui si può mantenere la civiltà. Scade nel neo-primitivismo di selvaggio tatuato.
Insomma, l’uomo che si è fatto Dio scade: dalla condizione di uomo. E la società aperta è l’espressione della sua stupidità,e la sua gabbia. Che errore antropologico ha commesso la Chiesa, abbandonando il suo sano realismo sui limiti dell’uomo. L’ha consegnato a Satana, e non glielo sa dire. La diga che la Chiesa rappresentava fu abbattuta allora, e la “società aperta” di Soros ne è l’ultima conseguenza.
Adesso, vediamo senza stupore la Chiesa bergogliana far sue le ideologie le mode del momento: nozze gay, ecologismo gretino, diritti umani, globalismo, e la sua popolarità fra gli uomini fatti si dio di se stessi, non aumenta, anzi cala……
Come ricordava Chesterton, “il cristianesimo non è mai di moda, perché è mentalmente sano. Ogni moda, è una forma lieve di pazzia”.