Cosa sono “L’ASCENSIONE” e “L’ASSUNZIONE”? Dal Paradiso “Umano” ai cieli divini

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Al pari dell’analoga Ascensione di Gesù ai Cieli, anche il dogma cattolico dell’Assunzione di Maria pone una questione della massima importanza che non sempre la comune “teologia” risolve: per quale ragione Il Cristo e la Vergine – dopo aver conseguito la Resurrezione  – devono anche ascendere? Tale questione può essere compresa solo a partire dalla Metafisica pura: la Resurrezione e il Paradiso che con essa si consegue – ovvero il ritorno ad uno stato edenico di perfezione “umana” – sono infatti solo il punto di partenza di un Viaggio Divino che, a partire dal riconquistato Eden, porta l’essere ad ascendere a stati dell’essere sempre più alti e sublimi fino alla perfetta Divinizzazione.

(I brani dell’articolo sono tratti da: G.Marletta, “L’Eden, la Resurrezione e la Terra dei Viventi”, Ed. Irfàn)

Il termine “Paradiso”, nel linguaggio comune della teologia e della catechesi, è spesso utilizzato per indicare, senza sfumature di sorta, ogni sorta di condizione spirituale superiore. Tuttavia nei Vangeli Gesù utilizza in una sola occasione tale termine, ovvero quando promette il Paradiso al “ladrone pentito”[1]; in tutti gli altri casi, al contrario, le espressioni utilizzate nei dialoghi coi suoi discepoli per indicare la condizione degli eletti sono “Regno di Dio” o “Regno dei Cieli”.

Queste differenze terminologiche non sono casuali: il termine Paradiso utilizzato dal Cristo una sola volta (èn tò paradéisos) rimanda infatti al “giardino”, alla condizione edenica e primordiale che è anche, come abbiamo visto, la perfezione dello stato umano; mentre il “regno dei cieli” sembra indicare qualcosa di più alto e sublime.

Oltre lo stato umano, pur considerato nella sua perfezione, vi sono infatti gli “stati celesti” e, al di là d’ogni altro stato, vi è la perfetta Divinizzazione dell’essere, ovvero quella condizione che in altre tradizioni spirituali è chiama Liberazione o Identità Suprema. La decadenza del linguaggio, ma soprattutto – bisogna riconoscerlo – la progressiva decadenza spirituale dell’umanità stessa – per cui è davvero difficile che un essere umano degli ultimi secoli possa aspirare, di norma, ad una realizzazione spirituale che vada oltre il “paradiso” inteso come stato edenico – ha condotto via via alla perdita di questa distinzione, pure importante, di carattere metafisico. Non esiste, infatti, un solo “paradiso”, ma una serie di stati dell’essere gerarchicamente ordinati in funzione della prossimità a Dio.

STATI INDIVIDUALI E STATI SOVRAINDIVIDUALI

Lo stato del Risorto rappresenta una perfezione. Tale perfezione, tuttavia, è relativa esclusivamente ad uno stato particolare dell’essere che è quello umano. Lo stato umano, d’altronde, non è semplicemente uno dei tanti ma è lo Stato Centrale dell’essere, l’Immagine di Dio nella creazione e, se vogliamo usare quest’espressione, il “trampolino” che permette il grande balzo verso l’Assoluto.

Tuttavia, pur rappresentando la perfezione del suo stato, la condizione del risorto è comunque “relativa” rispetto all’Assoluto, in quanto ancora “individuale”. L’individuo, infatti, foss’anche nella sua modalità più estesa e perfetta, è pur sempre una “limitazione” rispetto alla Realtà universale. Da questo punto di vista sono significative le parole rivolte dal Cristo ai suoi Apostoli durante l’ultima cena:

Il vostro cuore non sia turbato e non si spaventi. Avete udito che vi ho detto: «Io me ne vado e tornerò a voi». Se voi mi amaste, vi rallegrereste perché ho detto: «Io vado al Padre»; poiché il Padre è più grande di me[2].

E ancora, le parole rivolte dal Risorto a Maria Maddalena:

Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre[3]

Ora, è evidente che nessuna “individualità umana” può essere paragonata a quella del Cristo Gesù, manifestazione vivente del Verbo, eppure è Gesù stesso ha denunciare la limitatezza intrinseca d’ogni “individualità”, foss’anche la più perfetta. Dire individuo, infatti, significa indicare una possibilità ma anche un limite: e ogni limite è, in qualche modo, una “separatezza”. Il limite va pertanto superato e alla Resurrezione deve far seguito l’Ascensione. L’individualità, lungi dal “dissolversi”, deve essere reintegrata su un piano universale. Lo stesso Gesù “individuale” deve ascendere ai Cieli affinché la Chiesa possa ricevere lo Spirito Santo, che non è più una realtà individuale ma unisce in Se tutti gli eletti.

ASCENSIONE, ASSUNZIONE, DIVINIZZAZIONE

(…) La Salvezza e il raggiungimento dello Stato Primordiale sono, dunque, solo “l’inizio” del Viaggio Divino: ad esso fa seguito quella che nei Vangeli è chiamata l’Ascensione ai Cieli, dove l’essere è attratto prima attraverso gli stati superiori dell’essere (detti angelici nel linguaggio teologico) fino all’identificazione con il Sé Divino.

Come nell’essere decaduto, infatti, il “centro di gravità” è costituito di fatto degli stati infernali, nel Beato esso coincide con Dio stesso, che attira inevitabilmente l’essere nel suo stesso “seno” fino alla perfetta consumazione e unione. Il Paradiso “individuale” e ancora “umano”, dunque, viene riassorbito dai “Paradisi” celesti finché gli stessi Paradisi sono riassorbiti in Dio.

Tale processo, non di rado, viene simbolicamente indicato – in alcune tradizioni spirituali – con l’immagine dell’estinzione dell’essere nella Divinità o nell’Assoluto; e tuttavia, tale concetto va inteso come un’iperbole. Ciò che “si estingue”, infatti, non è l’essere – perché il più contiene necessariamente il meno e gli stati superiori contengono quelli inferiori – ma solo l’illusione della separatezza. L’Ascensione ai Cieli e la successiva Divinizzazione, infatti, nulla “annienta” di ciò che è – perché nulla può perdersi nel Tutto – ma piuttosto dilata e reintegra il parziale e il limitato nell’illimitato e nell’infinito.

Da questo punto di vista, è significativa l’immagine dell’Assunzione della Vergine Maria in Cielo in anima e corpo: la Vergine – che è anche immagine perfetta di ciò che i fedeli sono chiamati a realizzare – viene reintegrata negli stati superiori financo nelle sue determinazioni individuali (possibilità che l’essere può riacquisire quando vuole come dimostrano, proprio nel caso della Vergine Maria, le Sue numerose “apparizioni” in forma umana)[4].

D’altronde, anche nelle tradizioni orientali “l’estinzione” non sembra avere affatto il senso di “annullamento”:

A dispetto di tutte le false interpretazioni occidentali su nozioni come quelle di Mokṣa e di Nirvana, l’estinzione dell’io non è in alcun modo una annichilazione dell’essere, ma al contrario essa implica una specie di ‘sublimazione’ delle sue possibilità.[5]

È un orientale di tradizione indù, Ananda K. Coomaraswamy, che spiega con chiarezza cosa si debba intendere con il concetto di “realizzazione spirituale” ed “estinzione” dell’ego:

Tale è la pienezza, che, come dicono le Upanisad, “togliendole la Pienezza, Essa resta nondimeno Piena”. Nessun Sufi, nessuno in samadhi, nessun mistico occidentale, si è mai sentito sminuito dal suo “momento d’illuminazione”. Vedere “il mondo in un granello di sabbia e l’eternità in un’ora” – se fosse concesso – per chi non sarebbe abbastanza? La libertà di essere come e dove e quando si vuole, o dappertutto, o in nessun luogo […] come si fa a “sentire” che qualcosa manca in un’”eternità” che, per definizione, di nulla è manchevole? In questo “onni-conseguimento” (sarvapti) non resta alcun desiderio insoddisfatto; né si può immaginare di essere “senza desideri” se non quando tutti i desideri sono soddisfatti, poiché allora il desiderio riposa nel suo oggetto. […] Qui, dato che “il cambiamento è morte” […] ogni incontro è il primo        incontro, e ogni distacco è per sempre. Gli incontri e i distacchi (di cui nascita e morte sono null’altro che casi speciali) sono possibili solo nel tempo, e ci rallegrano o addolorano solo perché “noi” siamo o, meglio, ci identifichiamo erroneamente con i tabernacoli psicofisici e mutevoli che il nostro Sé assume, e riteniamo così di essere creature del tempo. È in quanto creature del tempo che ci addolora l’appassire dei fiori e la morte degli amici. […] Ma coloro che qui sono ancora vivi, e quelli deceduti, e qualunque altra cosa uno desideri senza ottenerla, tutto ciò egli lo trova quando entra lì. [6]

Nell’Eternità e nell’Infinità (che sono sinonimi) nulla può dunque realmente sminuirsi od “estinguersi”, fuorché l’illusione della separatezza che genera divenire e morte. Ed il “dono fatto all’Uomo” è proprio quello – unico fra gli stati dell’essere e le creature – di poter mirare a questo supremo obbiettivo. Il Fine dell’Uomo, dunque, è paradossalmente quello di trascendere l’Uomo stesso pur rimanendo perfettamente Uomo, ovvero “immagine di Dio”. È questo il destino superiore che la dottrina cristiana dell’Uomo-Dio adombra ai fedeli (in sintonia perfetta, peraltro, con le dottrine “profonde” presenti in tutte le tradizioni religiose e spirituali dell’umanità). Tale verità è poeticamente espressa nel Magnificat, dove la Santa Vergine, la “più alta d’ogni creatura”, canta:

L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore.[7]

L’anima della Vergine “magnifica” (megalùnei è psichè mou) perché rappresenta l’espansione orizzontale e piena delle possibilità individuali, mentre il Suo spirito “esulta” (egallìasen to pnèuma mou) perché solo attraverso di esso è possibile realizzare le “altezze” celesti. Ed è in queste poche e apparentemente semplici parole che si compendia il Fine ultimo e la ragion d’essere dello stato umano: quello di essere gloria e identità del Dio invisibile.

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[1] «Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”» (Luca 23, 39-43).

[2] Giovanni 13, 27-28.

[3] Giovanni 20, 17.

[4] In apparizioni mariane come quelle di Fatima, la Santa Vergine si manifesta agli astanti prima come “sfera di luce” e poi sotto sembianze umane trasfigurate e bellissime. È il “ritorno” da uno stato “informale” e trascendente ad uno stato individuale.

[5] R. Guénon, Il regno della quantità e i segni dei tempi, Ed. Adelphi, Milano 1989, p. 67.

[6] A.K. Coomaraswamy, Tempo ed eternità, Ed. Mediterranee, Roma 2013, pp. 98-99

[7] Luca 1, 46-47