Gentile direttore, rispetto alla sua domanda – mi scrive il lettore MO –
“ma valeva la pena, per la superpotenza, “perdere” la Turchia in cambio di un fine strategico in Siria – dal rovesciamento di Assad allo smembramento del Paese – il cui vantaggio per Washington non è per nulla chiaro?”
la risposta è in sintesi: lo Zio Sam vuole solo un corridoio per i rifornimenti via terra ai suoi avamposti, molla la penetrazione via At-Tanf (piano B sventato dagli iraniani) e ci riprova da Afrin (piano A ancora possibile, se i turchi si faranno infinocchiare).
Come già in passato ho scritto, nella regione di Idlib, fin dall’inizio del conflitto siriano, Erdogan aveva infiltrato i suoi uomini (lasciavano le auto al confine per andare di là a turno!) allo scopo di tenere sotto comune controllo Al-Qaida e Jabat al-Nuhsra, intuendo che gli USA stavano preparando qualcosa anche a suo danno, oltre che di Assad. Tieni anche presente che la loggia di Gulen all’epoca era molto più forte in Turchia, per cui Erdogan doveva fare buon viso a cattivo gioco. D’altra parte gli USA avevano promesso l’impossibile, cioè una compensazione dei grossi disagi di confine subiti dalla Turchia con un bottino a suo favore in termini di petrolio iracheno e siriano e di contributi europei, al punto che Erdogan iniziò a far costruire case popolari per i profughi siriani.
Il 10.7.16 Erdogan finalmente capì, su suggerimento cinese, che la manovra statunitense tendeva in realtà ad evacuare per mezzo di Daesh le popolazioni arabe dalla zona di Aleppo, Manbij e Raqqa per poi appoggiare una controffensiva curda (preceduta da pesanti bombardamenti della Coalizione) e creare per meriti di guerra il corridoio del Rojava fino alla curda Afrin su aree prettamente arabe.
Erdogan comprese anche che l’obbiettivo ultimo degli statunitensi era di ritagliare un facile sbocco logistico al mare per i curdi a Samandagi (Antiochia Lido) attraverso l’amena valle del fiume Oronte e del suo affluente Afrin, appunto. Via terra gli USA avrebbero potuto rifornire poi pesantemente la Rojava per costituire il grande Kurdistan. Erdogan quindi subito sventò il colpo di stato NATO (che doveva essere oscurato dall’attentato di Nizza) ed iniziò l’operazione Scudo dell’Eufrate.
In gioco per Ankara non era solo un pezzo della provincia di Antiochia (piuttosto ricca, ma pur sempre poco turca, perché acquisita nel 1933 a danno degli arabi che vi abitavano), ma bensì la successiva secessione del Kurdistan turco e la occlusione permanente alle vie commerciali ed energetiche terrestri con Azerbaijan, Iran, Iraq e la stessa Siria.
Per gli USA era in gioco un accesso al Caspio molto più facile da gestire e remunerativo di risorse rispetto alla popolosa e industrializzata Turchia, ormai declassata ad alleato scomodo.
La distinzione operativa fra ribelli filo turchi e filo americani si è quindi esplicitata nella provincia di Idlib solo dal primo semestre 2017: oggi Ahrar al-Sham non è Hayat Tahrir al-Sham. E’quest’ultima che ha provato a Sud ad attaccare Assad per prendere l’aeroporto di Hama lo scorso Marzo, mentre la prima si è occupata solo di un paio di attacchi fallimentari su un fianco marginale del fronte. Da allora fra le due formazioni si è aperto un conflitto che ha portato alla suddivisione del territorio della provincia di Idlib.
E’ stata Ahrar al-Sham a cedere all’esercito turco il territorio di Dar Ta’izzan per chiudere i rifornimenti da Hayat Tahrir al-Sham ai curdi di Afrin. Oggi infatti i curdi di Afrin si ritrovano l’unico aeroporto disponibile bombardato dall’aviazione turca sotto gli occhi impassibili degli osservatori russi acquartierati nella vicina Tall Rif’at.
Oggi è Hayat Tahrir al-Sham a subire la controffensiva su tre lati dell’esercito di Damasco. E’ stata Hayat Tahrir Al Sham a perdere il controllo del decisivo aeroporto di Abu ad-Duhur da dove gli USA la rifornivano. E non è un caso che in questi giorni Hayat Tahrir Al Sham debba razionare il carburante, poiché i turchi hanno chiuso le sue frontiere, facilitando così la riconquista dell’intera provincia di Idlib da parte di Assad.
Dunque il presunto conflitto tra Assad e Erdogan è finito da tempo, ma è montato dai media d’Occidente per rompere un’alleanza fattuale, tesa ad impedire lo sbocco dal Rojava al Mediterraneo, che nuocerebbe a tutti i Paesi Emergenti d’Asia, Russia compresa.
Il paradosso della guerra tra USA e questi è che i primi riforniscono di armi le loro enclave in Siria e Iraq per via aerea, avendo ancora il comando dei cieli, ma necessitano di corridoi terrestri per sostenerli a lungo ed è qui che trovano gli Emergenti a bloccargli il passo con la diplomazia ed il coinvolgimento delle popolazioni locali all’idea di un libero commercio eurasiatico probabilmente più prospero del mero colonialismo occidentale, ormai sperimentato.
La guerra quindi si potrà trasformare presto in un ultimo tentativo di Washington: un’offensiva terrestre NATO, con truppe regolari al posto di quelle mercenarie. E l’occasione prelibata è data dalla attuale “abuso” turco e dalle truppe USA ancora acquartierate ad Alessandretta.
Ricorda il placet dato a Saddam per invadere il Kuwait? In queste ore mentre Tillerson quasi incoraggia Erdogan, però Tom Bossert a Davos davanti a pochi intimi già minaccia terribili ritorsioni se solo un jet turco attenta ai consiglieri militari americani nell’area. Gli USA erano pronti da anni, con questo piano A, ad interdire all’aviazione turca le zone di Afrin e Hatay, ed aspettavano solo il pretesto. Penso sia arrivato.
Mi chiederà: perché mai tutto questo inferno per il Kurdistan e l’accesso al Caspio?
Lo ribadirò fino alla noia:
Le linee ferroviarie Teheran-Baku (con 2 binari in costruzione), Teheran-Bereket e Teheran-Mary (ciascuna per ora con 1 binario già costruito) per gli USA rappresentano un obbiettivo da distruggere.
La questione non è di lana caprina per russi e cinesi: un missile balistico USA, o uno da crociera, li vedi partire e li intercetti in tempo, viceversa se un bombardiere F-35 decolla dal Kurdistan o dall’Afghanistan, non puoi sapere se ha una B61-12 a bordo, e comunque lo puoi abbattere, se ci riesci, solo se passa il confine del Kurdistan o dell’Afghanistan, ma nel frattempo il bombardiere te l’ha già lanciata sulla ferrovia, rendendo radioattivo e impraticabile il passaggio per i prossimi decenni.
Cordiali Saluti.
MO