Francesca De Ambra il Secolo
La verità – sosteneva Antonio Gramsci – è sempre rivoluzionaria». Per questo non saremmo mai troppo grati a Paola Mastrocola e a Luca Ricolfi per averla gridata in un libro scritto a quattro mani (“Il danno scolastico“ – ed. La nave di Teseo pp.270 € 18), dedicato allo sfascio della scuola italiana. La “rivoluzione” sta soprattutto nel sotto titolo: “La scuola progressista come macchina della disuguaglianza“. Da non credere. La coppia (moglie e marito nella vita) ricorda da vicino il bambino della fiaba di Andersen che grida “il re è nudo” mentre intorno a lui i sudditi fanno a gara a decantare il pregio delle stoffe dell’inesistente vestito del sovrano. Per la Mastrocola, docente di analisi dei dati, non è una novità. Già nel 2017, in un precedente lavoro editoriale, aveva puntato l’indice contro «un’istruzione, abbassata e facilitata oltre ogni dire, che ha messo in difficoltà il 70-80 per cento degli studenti». Era il suo verdetto di condanna della scuola progressista, bollata come «per nulla democratica e classista».
Ricolfi e l’abbaglio di don Milani
Parole e tesi che l’autrice non solo conferma, ma che ora arricchisce di cifre, statistiche e riscontri. La prova, insomma. E qui entra in campo il marito sociologo attraverso una documentata e incontestabile comparazione tra la scuola di ieri, la stessa che il troppo celebrato don Milani nella sua Lettera a una professoressa del 1967 denunciava come «troppo selettiva», e quella di oggi. Classista la prima perché troppo condizionata dal ceto sociale degli studenti? Una fregnaccia che Ricolfi rende evidente in maniera molto più elegante ancorché incontrovertibile: «Su 100 nati nel 1956 la licenza media è stata ottenuta dal 96 per cento dei giovani dei ceti alti e dal 90 per cento dei ceti bassi (…)». Una statistica che rade al suolo la più coriacea panzana del progressismo nostrano, tanto che fa presa ancora oggi.