Il vivacissimo racconto di una giornata sotto il komunismo vaccinale
Milano, 2021. La mia odissea nel tampone
Peregrinazione meneghina alla ricerca di una farmacia che faccia il test rinofaringeo. Ottenutolo negativo, si sale sul Frecciarossa. Ma al controllore palestrato non basta e obbliga a scendere alla stazione di Brescia. Meno male che esistono le Ferrovie austriache
di Claudio Risé, da “La Verità”, 3 settembre 2021
L’idea di farmi un tampone non mi dispiaceva affatto. Non solo perché – assicuravano giornali e comunicati – mi sarebbe servito per prendere il treno, visto che non sono vaccinato. Ma anche per fare, come oggi si dice con eccessiva solennità, il mio dovere. Che non è – per me – quello di vaccinarmi con i vaccini Rna, dei quali le riviste scientifiche internazionali mi raccontano fatti e misfatti, ma quello di mantenermi in buona salute. Raccoglierne una prova “scientifica”, non mi dispiaceva affatto. Mi presento così lunedì alla farmacia vicina a casa, a Milano, per prenotarlo, come consigliato dai media. Vorrei farlo l’indomani, e mi servirà il giorno dopo, per fare il viaggio di ritorno a Bolzano, dove anche vivo e lavoro.
Il farmacista, però, prende l’aria cupa e solenne, caratteristica di questa ormai troppo lunga stagione che si vuole di sventura ad ogni costo. “Mi dispiace ma non è possibile”, mi dice. Abituato a Bolzano (città senza tante storie), chiedo perché, e mi spiega che dopo il tampone dovrei sedermi e riposarmi un po’ e che loro in farmacia non hanno il posto per questo. Il direttore, a suo fianco, assente gravemente. A mia richiesta, mi informano anche che nel quartiere (il centro di Milano), anche le altre farmacie non fanno tamponi. Corro a verificare: ahimè è vero. Controllare se uno sta bene, o no, sembra interessare molto meno che immunizzare tutti alla cieca, senza sapere nulla di loro. Non il massimo della scientificità. Si capisce che i farmacisti siano così cupi e imbarazzati.
Finché una farmacista finalmente allegra e non spaventata all’idea un po’ dark dell’ultraottantenne col tampone, mi informa che un’antica farmacia di corso Venezia, non lontano da lì, li fa senza fiatare. Cammino velocemente al luogo indicato, rimodernato e come rimpicciolito rispetto ai miei ricordi dell’infanzia. Farmacia un po’ piccola, ma con tampone: quello che conta. La giovane farmacista mi invita ad andarci quando voglio, che me lo faranno subito; costa 35 €, e col certificato negativo potrò prendere tutti i treni che voglio. Benissimo, penso; ecco la Milano che funziona. Business is business (a Bolzano costa 15 €), ma almeno si fanno le cose senza piagnucolarci sopra. Torno a lavorare, pensando che domani tra un appuntamento e l’altro andrò a farmi questo tampone e dopodomani ripartirò con il mio certificato della Regione.
Infatti il giorno dopo la fanciulla mi infila con abilità e delicatezza il bastoncino su per il naso. Avrei preferito quello salivare, già usato nei Paesi che ci circondano, Austria, Germania, Francia Svizzera, e anche in Lombardia. Ma in Italia, per lasciarci salire sui treni ad alta velocità e Eurocity, vogliono mettertelo nel naso. Ok, non stiamo a far storie. Come mi aspettavo il risultato è negativo, e un’altra solare fanciulla mi rilascia su carta intestata della Regione Lombardia il certificato con l’esito della prova. Infatti poi arrivare un messaggio della Regione sul cellulare, quando sono già in seduta. Penso: tutto è a posto.
L’indomani però, in stazione c’è un’aria sgradevole, che me ne ricorda altre, politicamente inquietanti. Comincia la settimana, tutti sono lì per partire o perché appena arrivati, ma la stazione è anche piena di polizia, e soldati. Perché? La puzza è quella, per me inconfondibile, della manipolazione. Il giornalaio è (per la prima volta) chiuso; ma non ho voglia di gettarmi su computer o telefonini per saperne di più. Il treno è annunciato su un binario, ma poi arriva su un altro. Tutti a correre avanti, poi all’indietro, anch’io con la mia borsa, libri e computer. Ridolini. All’arrivo al treno sul binario giusto, militari imprecisati chiedono i documenti di viaggio.
Le gente è inquieta, un po’ impaurita. Gli stranieri non capiscono. Sfodero i biglietti (Milano-Verona, e Verona-Bolzano) e il mio certificato della Regione col “NEGATIVO” in stampatello. Mi lasciano passare. Mi inoltro per la seconda volta in cima al binario e raggiungo la vettura 2, smagliante, superigienizzata, e anche “silenziosa”, anti viaggiatori vocianti. Rilassante rifugio per ottantenni in perpetuo, testardo, movimento. Finalmente mi siedo, e dopo un po’ il treno parte. Sono sollevato, finalmente sicuro di poter tener fede ai miei appuntamenti, nel pomeriggio.
Il capotreno, che si affaccia alla vettura poco dopo la partenza, è diverso da tutti i ferrovieri della mia ampia storia ferroviaria. Dal fisico robusto, sembra più un guardiaspalle ministeriale: occhio attento e inespressivo; il viso come una maschera gommosa, immobile. Presento i documenti del treno in cui sono e dell’altra Frecciarossa in cui salirò a Verona, per Bolzano, e la dichiarazione della Regione Lombardia, sul tampone. Mi chiede il green pass e gli dò il certificato della Regione Lombardia della mia negatività al tampone. Dice che non è un green pass e chiede se sono vaccinato. Dico che no, perché me l’ha sconsigliato il medico. Aspetto il vaccino giusto, non Rna, troppo forte per i molto anziani. È approvato anche dall’Europa e dovrebbe arrivare entro un paio di mesi. Comunque anche i principali giornali, che ho consultato in questi giorni, hanno scritto che col tampone negativo si poteva viaggiare, nelle 24 ore successive… Mi dice che non gli risulta; lo invito a informarsi, aggiungendo che le stesse informazioni le avevo avute dal club Frecciarossa, che è la biglietteria ferroviaria dell’alta velocità. Impassibile mi dice che del club, sul cui treno viaggiamo, non gli importa nulla e che lui bada alle regole. Esce dalla carrozza e fa una lunga telefonata al di là della porta, senza mai abbandonarmi con lo sguardo. Poi rientra, per dirmi che ha verificato con i superiori, che non ho diritto di stare lì e anzi devo scendere alla prossima fermata: Brescia. Gli chiedo se si renda conto che sta obbligando un ottanduenne con salute certificata a scendere da un treno sicuro, obbligandolo a raggiungere la sua destinazione (per la quale ha già pagato a Trenitalia un bel po’ di soldi) con dei treni per nulla sicuri, senza distanziamenti e non adeguatamente igienizzati. Risponde, impassibile, che la cosa non lo riguarda.
Scendo dal treno, scarto l’ipotesi treno regionale (arriverei tardi agli appuntamenti), e vado ai taxi. Tratto sul costo fino a Verona e mi imbarco con un simpatico nero con accento bresciano, che mi ci porta abbastanza rapidamente. In stazione anche qui polizia e soldati ingombrano e fanno perdere tempo innervosendo viaggiatori e turisti e creando un’atmosfera di inutile allarme.
So, perché nei decenni mi ha già salvato da altri guai italici, che alle 11.02 parte, impassibile, il treno austriaco OBB, per Monaco, via Bolzano. Scassato ma vecchia gloria asburgica, pannelli di legno scuro, tranquillità e sicurezza. Chiedo il biglietto; la ferroviera mi ricorda gentilmente che facendolo sul treno sono sei euri in più. Affare fatto, ma di qui non mi muovo. Di Covid e green pass nessuno mi chiede, né si parla. Sono fuori dall’ossessione italica dei vaccini Rna, notoriamente assai psicoattivi; arriverò in orario per tutto.