Per chi segue i Mondiali di calcio, non potrà non essersi stupito di una cenerentola in finale. La Croazia ha infatti battuto l’Inghilterra e, per la prima volta, giocherà l’ultima partita, sfidando la Francia. Ancor più curioso è che l’allenatore della selezione croata sia un perfetto sconosciuto, che fino a ieri allenava, con alterne fortune, squadre albanesi, saudite e degli Emirati Arabi.
Il suo nome è Zlatko Dalic, 51 anni, sposato e padre di due figli. Segno caratteristico: umiltà, che non significa “buonismo”. Dopo la prima partita ha mandato a casa l’attaccante Kalinic rifiutatosi di scendere in campo contro la Nigeria. Un’altra caratteristica del tecnico croato è una genuina fede cattolica. Non tanto per il rosario custodito in tasca durante le partite -abitudine che per molti sportivi in realtà somiglia a mera scaramanzia pagana, una sorta di amuleto-, piuttosto per quanto ha raccontato di sé. «Tutto ciò che ho fatto nella mia vita e nella mia carriera professionale», le parole di Dalic, «lo devo alla mia fede e sono grato per questo al buon Dio».
In una lunga intervista per la rivista Glas Koncila, curata dall’arcivescovo di Zagabria, ha anche parlato della sua infanzia a Livno. «La casa dei miei genitori era la più vicina al monastero francescano. Ero un chierichetto da bambino, felice di andare in chiesa. E’ stata mia madre che mi ha insegnato e trasmesso la fede. Sono sempre stato un credente e ho educato i miei figli alla fede. Ogni domenica faccio di tutto per essere presente all’Eucaristia». Anche domenica prossima, giorno della finale.
Ha forgiato la sua fede nella Jugoslavia comunista: «ognuno porta la sua croce», ha detto ancora Dalic. «Ci sono momenti difficili nella vita e, per quanto mi riguarda, è la fede ad aiutarmi e darmi forza per portare la croce e combattere con essa». Essere stato educato dalla Chiesa, ha aggiunto, gli ha permesso di evitare grandi errori, sopratutto in gioventù. L’allenatore della selezione croata non è l’unico membro della squadra ad aver manifestato profonde convinzioni religiose. Anche il centrocampista del Real Madrid, Mateo Kovacic, si è più volte dichiarato cattolico. Come il suo allenatore, è stato un chierichetto in parrocchia, dove Kovacic incontrò la sua attuale moglie, una delle ragazze del coro. Regolarmente Kovacic si reca a Medjugorje ed in chiesa alla domenica.
Gossip religioso? Non lo amiamo, non ne saremmo interessati. E’, invece, una testimonianza. Sappiamo bene quanto gli eroi sportivi siano seguiti, quasi morbosamente, da schiere di adolescenti (e anche da parecchi adulti). Una vera religione di stato, con i suoi miliardi di fedeli, sacerdoti e ministri, da celebrarsi comunitariamente la domenica in ogni paese del mondo.
Così, riteniamo degno di nota che dall’interno di questo sport emergano, seppur raramente, autorevoli testimoni che sappiano indicare che il dio-calcio, a cui milioni di tifosi affidano ogni giorno tempo, energie, speranze e perfino l’attesa di una felicità che non arriva mai, è un idolo poiché non mantiene la promessa di compimento delle attese del cuore umano. «Guardando il mondo», ha infatti commentato l’allenatore della Croazia, «vediamo il grande impegno per profitti e guadagni. I culti degli uomini sono ovunque e la vita viene dedicata ad essi. Ma quando un uomo si calma, riflette e rimane nel silenzio, ecco che allora arriva la luce di Dio».
Fonte : La redazione di https://www.uccronline.it