Fonte: ilprimatonazionale.it
Roma, 19 mar – Ha fatto molto discutere (non moltissimo, in verità, se ne è parlato più che altro con cronache asettiche come per gli incidenti del sabato sera in autostrada) il caso di presunto stupro di gruppo avvenuto nella sede della Rete antifascista di Parma (peraltro una struttura pubblica concessa dal comune).
Ora arriva la notizia che il tribunale del Riesame di Bologna ha disposto che tre dei cinque giovani accusati vengano posti agli arresti domiciliari. Determinante per la decisione dei giudici è stato un video, registrato con il cellulare da uno dei partecipanti alla violenza e ora acquisito agli atti d’indagine.
Nel filmato, scrivono i giudici del Riesame, si vede chiaramente che la vittima era inerme e che il suo “corpo veniva usato come un oggetto inanimato”. La giovane sarebbe stata violentata a turno mentre si trovava in condizioni di incoscienza.
Fa riflettere, tuttavia, come gli stessi giudici sottolineino che lo stupro, anche se consumato in un luogo molto connotato politicamente, sarebbe privo di colorazione ideologica. Una precauzione questa dei giudici, che è in linea con l’estremo, quasi sospetto garantismo con cui magistrati e media stanno affrontando una questione che con altri protagonisti avrebbe sicuramente causato un clamore ben maggiore.
Derubricare il fatto come un mero episodio di cronaca senza connotati politici, tuttavia, sembra un esercizio ermeneutico davvero sbrigativo. Davvero le modalità in cui è avvenuta la violenza non hanno a che fare con una specifica cultura politica?
La ragazza, appena maggiorenne, era in stato di incoscienza, ubriaca o forse drogata. Davvero si ritiene che questo fatto non abbia relazione con un certo modo di concepire lo spazio politico “autogestito” non come avanguardia sociale o culturale ma come riserva dello sbraco, luogo in cui c’è la tana libera tutti, in cui cessa di esistere non solo la legge dello “Stato borghese” ma ogni norma, comprese quelle più elementari che ciascuno dà a se stessi?
Ma si potrebbe anche andare più a fondo con l’approfondimento ideologico. Se la pubblicistica sul “fallocentrismo fascista” è copiosa, lo studio dei complessi rapporti con l’universo femminile da parte della sinistra antifascista resta un grande rimosso. Eppure ci sarebbe di materiale da registrare.
Prendiamo i riferimenti storici: la “Rete antifascista” si rifà esplicitamente all’esperienza partigiana. Ora, se lo stupro dei vinti fa purtroppo parte degli “effetti collaterali” di ogni guerra, con casi registrati in ogni esercito, va detto che nella Seconda guerra mondiale le statistiche sono assolutamente sbilanciate. I casi di ausiliarie della Rsi violentate dalle brigate antifasciste sono decine, mentre la pubblica umiliazione della loro femminilità (capelli rasati, gogna etc) costituì prassi ufficiale e quasi “necessaria” della “Liberazione”.
Fra quei partigiani, in pochi lo hanno sottolineato, si trovava anche un certo Pietro Pacciani, anni dopo assurto agli onori della cronaca per il caso del “Mostro di Firenze” e altri crimini a sfondo sessuale. Il fatto che l’uomo abbia militato in gioventù in formazioni in cui lo stupro era tutto sommato ritenuto un’arma di guerra legittima non sembra aver solleticato la fantasia degli inquirenti.
Per gran parte dei partigiani di ieri e dei loro emuli di oggi, del resto, un vero e proprio mito era quell’Armata rossa che durante l’invasione della Germania violentò un numero di donne tedesche che va dalle decine di migliaia fino ai due milioni (solo recentemente si è cominciato a parlare anche degli stupri commessi dagli americani). Almeno 100 000 donne si pensa siano state stuprate solo a Berlino. Le morti di donne in relazione con gli stupri in Germania sono stimati a circa 240.000.
Le violenze erano peraltro programmate a tavolino come scientifica prassi di profanazione dell’orgoglio razziale tedesco (un altro filone che meriterebbe di essere approfondito: fin dove si può spingere l’odio cosmopolita per i popoli che desiderano restare se stessi, tutt’oggi ampiamente propagandato negli stessi centri sociali?).
Ora quanto c’è di tutto questo nelle gesta di Luca Bianchini, l’ex coordinatore di un circolo romano del Pd condannato a 14 anni e sei mesi per aver violentato tre donne nel 2009, appostandosi nei garage condominiali così da sorprendere e sopraffare le sue vittime?
E quanto conta l’ideologia nel caso delle tre donne tenute in stato di schiavitù per 30 anni in una casa di Londra da una setta maoista?
La superiorità morale mostrata da Bertrand Cantat nelle sue campagne antifasciste ha qualcosa a che fare con la stessa superiorità maschile insegnata a suon di botte dal cantante dei Noir Désir alla sua compagna Marie Trintignan nella notte tra il 26 e 27 luglio 2003, quando la donna fu uccisa con 19 pugni al volto dall’uomo?
Perché dei casi analoghi, a “destra”, fanno sociologia, diventano episodi particolari di una tendenza generale, mentre a sinistra si può sequestrare, violentare, umiliare, picchiare, uccidere senza che la cosa esca mai dall’ambito della mera cronaca, senza che nessuno deicda di unire i pezzi del puzzle? È un’ottima pista per un’indagine che probabilmente nessuno farà mai.
Giorgio Nigra