di Roberto PECCHIOLI
Ci siamo seduti dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati. La frase è attribuita a Bertolt Brecht, il drammaturgo tedesco campione della Germania Est, comunista ma assai attento al portafogli, reso celebre in Italia dal Piccolo Teatro di Giorgio Strehler. Prendiamolo in parola, l’autore dell’Opera da tre soldi, rilevando che la sua osservazione sembra la storia di chi, in Italia ed in Occidente, non condivide idee, luoghi comuni, superstizioni dell’ampia galassia progressista sostenuta dalle oligarchie di potere.
La cronaca è sempre più ricca di esempi sconcertanti: il tentativo di impedire la partecipazione di Marcello Veneziani ad un convegno da parte di un’associazione di psichiatri o psicologi), la denuncia dinanzi all’ordine professionale della stessa categoria di un medico accusato, udite, udite, di aver affermato che i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre. Potremmo continuare con il pubblico ludibrio di chi non è convinto dell’utilità di alcune vaccinazioni obbligatorie, con tanto di sanzioni pesantissime ai genitori “renitenti”, minacciati della privazione della potestà genitoriale, e radiazione dall’Ordine professionale per i medici refrattari. E poiché sia più evidente la manifesta inutilità degli ordini, retaggio postumo, parodia neo borghese delle corporazioni, ci viene adesso la notizia dei sei mesi di sospensione dall’Ordine dei Giornalisti comminata a Padre Livio Fanzaga, il dominus di Radio Maria, la più ascoltata emittente cattolica.
Il prete bergamasco ha pagato per un’accusa surreale: ha infatti affermato di temere per il destino eterno dell’anima della molto onorevole e democratica signora Cirinnà, la madre della legge che ha autorizzato in Italia le cosiddette unioni civili tra persone dello stesso sesso, ovvero le simil nozze omosessuali. La stampa italiana, con il consueto coro sguaiato, superficiale e conformista disinforma i lettori asserendo che Don Livio “ha augurato la morte “alla povera vittima. Falso: nella piena ortodossia della sua fede (quella della chiesa di rito romano, non argentino), il prete ha rammentato alla riccioluta onorevole – madre, tra l’altro, di figli non umani, come afferma orgogliosa sul suo sito personale- che dopo la morte (il più tardi possibile, si affettò a chiarire) affronterà il giudizio di Dio. Nulla di strano per chi crede, e neppure per gli altri, che potrebbero tutt’al più sorridere per le curiose convinzioni del fondatore di Radio Maria. Niente da fare, sei mesi di sospensione dall’Ordine, peraltro già scontati.
Sarebbe facile quanto sciocco o sterile ricordare a Padre Livio che chi di censura ferisce, di censura perisce, giacché nel 2014 un noto intellettuale cattolico, Roberto De Mattei venne sbrigativamente escluso da Radio Maria per un articolo su un’agenzia di stampa, Motus in fine velocior, in cui esprimeva perplessità sull’operato di Jorge Mario Bergoglio. Beghe interne, tutto sommato, di cui merita occuparsi per un unico motivo, quello del nostro titolo: la parte del torto così scomoda, eppure così affollata da chi non si piega al corso del politicamente corretto, e tanto pericolosa nonostante le continue attestazioni di libertà, democrazia, tolleranza della sedicente società aperta.
La libertà, nella società aperta, la tagliano a fettine con le forbici. Vediamo allora di usare nei suoi stessi confronti, rovesciandoli, gli argomenti di cui si ammanta. Karl Popper, suo gran teorico, scriveva che la società aperta deve essere ben chiusa ai suoi nemici, i violenti e gli intolleranti. Magnifico programma, a patto di definire le due categorie. Per i violenti sembra tutto facile, è ovvia la repulsione nei confronti di chi esercita coazione fisica, terrorismo e simili. Ma chi sono gli “intolleranti”? Potremmo ricordare John Locke, l’autore del libello Lettera sulla tolleranza, filosofo inglese della “gloriosa rivoluzione” protestante di fine Seicento, in cui proclama la massima apertura verso tutte le idee e fedi tranne una, la cattolica.
Circa un secolo dopo, ci fu un altro venerato maestro, Voltaire, noto antisemita ed avversario intransigente della Chiesa di Roma, l’infame da schiacciare, a cui viene comunemente attribuita un’affermazione che non fece mai: non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire. Con enfasi crescente, la mano sul cuore ed una furtiva lacrima, liberali, progressisti e democratici autonominati in servizio permanente la ripetono spesso: le parole non costano granché, quando sono approvate dal Gran Consiglio del Politicamente Corretto…
Dunque, cari democratici a tassametro, pensosi, moralisti e riflessivi come possono esserlo solo gli esponenti di una civilizzazione estenuata, perché mai non difendete la libertà di parola, di pensiero e di espressione di cui siete fierissimi sostenitori? O sono liberi solo alcuni, a vostro insindacabile giudizio? Chi sono gli “intolleranti “, forse l’aggettivo è sinonimo di oppositore, dissenziente, eretico, o magari può essere attribuito a chiunque non condivida le linee guida- chiamiamole così- della società contemporanea. Un piccolissimo appunto, per ricordare che il verbo tollerare significa innanzitutto accettare, per convinzione, quieto vivere, opportunità, attitudini o idee che non ci piacciono. Pertanto, intolleranti siete voi, che negate ai non conformisti le libertà fondamentali, e amate, invocate la psicopolizia, quella che George Orwell inventò a sostegno del Grande Fratello.
Un pilastro del pensiero “liberal”, l’americano Noam Chomsky, campione di tutti i progressismi dell’universo, enunciò con grande sagacia un decalogo di comportamenti illiberali del potere, una vera strategia della manipolazione attraverso i mezzi di comunicazione. Ci piace elencarli senza commento. 1-La strategia della distrazione 2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni. 3- La strategia della gradualità. 4- La strategia del differire. 5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini.6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità. 8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità. 9- Rafforzare l’auto-colpevolezza.10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.
Il fatto è che impiegati di concetto e banditori del pensiero dominante si sono convinti, nel tempo, che le loro siano le uniche posizioni “morali”. Chi esprime pensieri difformi è quindi un empio, un soggetto malvagio da colpire con i rigori della legge e non da sconfiggere sul terreno delle idee. Le sue, infatti, sono non-idee. Il primo colpevole è proprio Popper, che ha fornito loro un perfetto arsenale concettuale multiuso. Basta affermare, di un’idea, un gruppo, una persona, che è portatrice di intolleranza o violenza, e scatta l’interdetto. Dario Antiseri, massimo interprete italiano del pensiero di Popper, lo ha scritto a tutte lettere: “la società aperta è aperta ma non spalancata. E siccome sappiamo che la libertà non si perde tutta in una volta, il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza. “Sembrerebbero sante parole, senonché, in un altro passo, egli afferma che “i nemici (della società aperta n.d.r.) credono di avere la Verità”. La lettera maiuscola respinge evidentemente nel campo degli intolleranti tutti coloro che hanno convinzioni nette. Ma l’obiezione più semplice è la seguente: se la nuova forma della verità, sia pure travestita come libertà, è l’insussistenza della Verità, siamo dinanzi ad un forma ben più pervasiva e sofisticata di oppressione, che, ovviamente, in nome del Giusto, del Morale, dell’Aperto, vieta ogni alternativa con il marchio d’infamia, la lettera scarlatta dell’Intolleranza. Le alate parole di Locke, dello pseudo Voltaire, di Brecht, di Popper e di Chomsky sono valide solo entro il recinto del sistema, del politicamente corretto, della polifonia su una nota unica.
Il cerchio magico si chiude inesorabilmente, ed espelle chi non si conforma. Vale la pena di continuare con le citazioni dei Buoni e dei Giusti. Un pastore luterano, Martin Niemoeller, negli anni quaranta, pronunciò un sermone divenuto famoso, ripreso in varie forme dallo stesso Brecht e dalla controcultura radicale, ai due lati dell’Oceano Atlantico. Eccone il brano essenziale: “Prima vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente perché io non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare. “
Mutano i tempi, si invertono gli obiettivi e le scale dei valori, ma l’attitudine del potere, evidentemente, non cambia, esattamente come uguale è l’ipocrisia, il conformismo, l’omertà, la vigliaccheria dei più, soprattutto di chi conta. Un caso recente, a proposito di violenza e società aperta: il grave ferimento di un deputato repubblicano americano da parte di un uomo risultato essere un sostenitore di Bernie Sanders è stato rapidamente rimosso dalla stampa internazionale. Le vittime dei bombardamenti americani o israeliani valgono zero, esattamente come gli iraniani uccisi nell’assalto degli islamisti sunniti al parlamento di Teheran. I bimbi morti di Aleppo hanno onore di pianti, vittime attribuite al bieco Assad, quelli di Gaza ignorati. Al contrario, lacrime obbligatorie a catinelle, melassa, retorica a fiumi, moralismo a tonnellate quando i caduti sono occidentali. Neanche la morte, con buona pace di Totò e della sua “Livella”, è uguale per tutti.
Semplicemente ripugnante, un paio di mesi fa, fu il comportamento della stampa nazionale in occasione della terribile morte di tre zingarelle, carbonizzate in un incendio doloso. Tutti, ventre a terra, a gareggiare in indignazione e cordoglio, nella malcelata speranza che l’efferato delitto avesse risvolti razziali, salvo tacere all’unisono, come ad un segnale convenuto, allorché fu chiaro il movente di squallida vendetta interna da parte di gruppi rivali. Capì tutto con largo anticipo sul presente bastardo Emil Cioran. Reso ipersensibile dal suo stesso pessimismo radicale di esule deraciné, parlò di “bavaglio intriso nel miele.” Siamo, in tanti, dalla parte del torto. Nel 2000, un cantautore politico bolognese, Claudio Lolli, scrisse un brano con quel titolo, ed ebbe successo, come al tempo di Ho conosciuto anche zingari felici. Protetto dall’appartenenza politico- culturale, poté pronunciare senza divieti il termine zingaro, una delle “parole del gatto”, come si dice a Genova, impronunciabili, proibite per scorrettezza politica.
Recentemente, polemiche si sono abbattute su Giuseppe Povia per un bellissimo brano “Io non sono democratico”, che, al contrario, è un inno di libertà.” Con il cuore a sinistra ed il portafogli a destra, anch’io sono comunista” accusa il menestrello milanese, costretto ad autoprodurre i suoi ascoltatissimi album, come lo splendido Nuovo Contrordine Mondiale. Contrario all’ordine, infatti. E chi sostiene l’ordine naturale è il più odiato nemico del sistema, specie se ha il coraggio di fare ciò che Chesterton riteneva inevitabile, sguainare la spada (delle idee, delle idee, signori psicopoliziotti) per affermare che l’erba è verde in primavera. A proposito del caso di Padre Livio, e delle intimidazioni intrise nel codice penale dei negatori LGBT dell’etica naturale, un sito molto attivo ha parlato di “gaystapo”. Parole forti, probabilmente esacerbate o eccessive, che ci limitiamo a registrare senza farle nostre per autotutela, ovvero per schietta autocensura, ma il problema c’è.
Il clima è questo, e chi difende una fede, o l’identità della propria gente, o nega valore a principi che reputa antiumani (aborto, matrimonio gay, utero in affitto, eugenetica mascherata, eutanasia, precarietà esistenziale), chi non è schierato con il Mercato misura di tutte le cose, o ancora chi ha della storia d’Italia un’idea diversa dalla verità ufficiale, anzi dalla Verità, caro professore Antiseri così aperto e liberale, è il nuovo proscritto, simile ai disperati di Von Solomon. Le armi abbondano, giacché i nuovi moralisti impugnano il codice penale stabilendo nuovi divieti in nome della libertà, della tolleranza, del progresso e, ça va sans dire, della democrazia. Inutile citare il sermone di cui sopra: esistono nuovi torti e nuove ragioni, nuovi ebrei e nuovi zingari. In altri tempi, i soprusi erano in nome di principi tramontati o sconfitti, oggi abbiamo il dubbio piacere di essere perseguiti in nome dell’Umanità e dell’Uguaglianza. Sempre paroloni svuotati di significato, pronunciati con finta solennità e trascritti rigorosamente in lettere maiuscole.
Ma il nostro è il tempo del mercante e della ragione calcolante. Come è facile e comodo, allora, trascinare gli avversari (nemici no, quelli li abbiamo noi, loro, i Buoni, hanno solo avversari!) davanti al tribunale civile, dirsi diffamati, chiedere- ed in genere ottenere- cospicui risarcimenti. Che bel modo di distruggere l’Altro, quello di rovinarlo economicamente. Il gioco è semplice: tu hai leso la mia “immagine”, cioè l’idea che io stesso diffondo della mia persona, dunque tutt’altro che la verità. Pagami, versa sul mio conto i tuoi averi; ma sono magnanimo, chiedimi pubblicamente scusa e ci accorderemo sulla somma da trasferire con bonifico.
Ricorda tanto quelle guerre vigliacche combattute con il sistema odioso delle sanzioni. Non ti bombardo, sono contro la violenza, io; però ti affamo, ti impedisco di vendere i tuoi prodotti e ti vieto di acquistare ciò che ti serve. Oh, gran bontà delli cavalieri antiqui, scrisse l’Ariosto nel primo canto dell’Orlando, a proposito di Rinaldo e Ferraù che smisero di duellare per seguire la bella Angelica. Tutto finito, nessun rispetto, non si fanno prigionieri tra chi deve essere abbattuto in quanto indegno di appartenere allo spazio pubblico, piccola o grande incarnazione del male assoluto. Leo Strauss la chiamò “reductio ad Hitlerum” e colpisce ormai indistintamente una vasto ventaglio di idee, personalità, visioni della vita. Sempre, beninteso, in nome della società aperta, che non è spalancata, e dalla quale vanno espulsi o silenziati i dissidenti, con applauso fragoroso ed unanime della folla convenuta, munita di tessera del tifoso.
E l’articolo 21 della nostra Costituzione di incomparabile bellezza, quello che proclama il diritto per tutti “di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”? Vale per tutti, ma, Popper insegna, non per i violenti – ed è sacrosanto- né per gli intolleranti, qualità che può essere facilmente attribuita a chiunque non piaccia al potere, o lo critichi, o si proponga di cambiarlo, sia pure con metodi pacifici. Ultimamente, con la fattiva complicità dei nuovi superpadroni, quelli di Silicon Valley detentori delle tecnoscienze, come Mark Zuckerberg Sire di Facebook, ne hanno inventata un’altra. Notizie e commenti sgraditi dovranno essere rimossi e perseguiti da nuovi tribunali della Santa Inquisizione Globale con l’accusa di essere fake news, in english, oh, yes, notizie false. Chi possiede le parole, è padrone del presente e del futuro. Falso è ciò che lorsignori dichiarano tale, con l’approvazione delle masse riflessive e un tantino decerebrate, quelle che studiano solo ciò che “serve”, gli eterni fellah di ogni tempo sotto qualsiasi cielo di cui parlò Oswald Spengler. E intanto i codici si riempiono di nuovi virtuosi divieti, omofobia, discriminazione, xenofobia, sessismo; l’officina di Vulcano è sempre attiva, e innumerevoli pifferai come quello di Hamelin che annegò per vendetta i bambini di Hamelin, affogano la verità in nome della Verità, affilano le forbici di raffinate censure.
Roberto De Mattei, nell’articolo che provocò l’ira di padre Livio, a sua volta colpito per lesa Cirinnà, scrisse che vengono momenti in cui bisogna schierarsi. E’ così, per quanto costi caro, fino al cartellino rosso dell’espulsione dal consesso civile (civile?). Chi si fa pecora il lupo se la mangia: costringiamolo almeno a fare fatica, il lupo globale, smascheriamolo, non lasciamogli l’esclusiva della parola e dell’azione. Non è nuovo il tempo dei lupi che si fingono vittime. Ci pensò già Fedro, oltre due millenni or sono a descrivere la favola, o la triste realtà. Trascriviamola una volta ancora, a futura memoria, affinché qualcuno si schieri, o almeno rifletta.
“Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, vanno allo stesso ruscello. Il lupo sta più in alto e, un po’ più lontano, in basso, l’agnello. Allora il malvagio, incitato dalla gola insaziabile, cerca una causa di litigio. “Perché dice- mi hai fatto diventare torbida l’acqua che sto bevendo? E l’agnello, tremando: “Come posso – dice- fare ciò che lamenti, lupo? L’acqua scorre da te alle mie sorsate!” Quello, respinto dalla forza della verità: “sei mesi fa- aggiunge- hai parlato male di me!” Risponde l’agnello: Ma veramente… non ero ancora nato! Per Ercole, Tuo padre –dice- ha parlato male di me”. E così lo afferra e lo uccide dandogli una morte ingiusta. Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti.”
Nihil sub sole novi, niente di nuovo sotto il sole. (Qoelet, o l’Ecclesiaste).
ROBERTO PECCHIOLI