E’ una sentenza epocale, quella vinta patrocinata dal NurSind e condotta dall’avv. Domenico De Angelis. Per la prima volta, nella storia giurisprudenziale, ogni infermiere ricorrente , che ha subito demansionamento, riceverà 70 mila euro di risarcimento dalla Asl di Salerno.
La vicenda
Con ricorso depositato in data 20.02.2020, gli infermieri, si rivolgevano al tribunale di Salerno, per accertare e dichiarare che avevano svolto da oltre 10 anni, fino a tutto l’anno solare 2019, e continuano a svolgere le attività di riordino biancheria, rifacimento letti, trasporto dei degenti, assistenza ai pazienti nell’espletamento delle funzioni primarie, sanificazione e pulizia delle apparecchiature, riordino e approvvigionamento dei carrelli per l’igiene, riordino e approvvigionamento dei carrelli per la terapia farmacologica e per le medicazioni.
Chiedevano quindi la cessazione di detto utilizzo improprio dei ricorrenti e condannare la Azienda Sanitaria Locale di Salerno alla liquidazione in favore di ciascuno dei ricorrenti, a titolo di risarcimento danni, di un importo, per ogni anno di utilizzo improprio e di demansionamento.
Il tribunale
Il giudice si esprimeva circa l’attinenza al profilo professionale ricoperto, delle mansioni concretamente e quotidianamente svolte dalle ricorrenti, aventi ad oggetto attività di igiene diretta sui pazienti, di pulizia dei lettini e delle barelle, dei pavimenti delle sale e di detersione manuale degli strumenti comuni di sala ed osserva che tali attività non appartengono ed anzi sono totalmente estranee al profilo Professionale dell’Infermiere, come previsto nella declaratoria contrattuale del C.C.N.L. di riferimento, e sono proprie di figure professionali diverse e di supporto all’Infermiere, che è invece “il responsabile dell’assistenza infermieristica per obbiettivi”.
Dalla prova testimoniale emerge quindi che i ricorrenti, oltre a svolgere le loro caratteristiche funzioni professionali, nonché quelle connesse di natura strumentale previste dal contratto collettivo per i lavoratori inquadrati nella categoria D, e direttamente funzionali alla corretta complessiva gestione del servizio di assistenza, hanno compiuto ordinariamente e stabilmente (per almeno due ore per ciascun turno di servizio) mansioni che sono proprie invece della figura dell’operatore socio sanitario o dell’infermiere generico ascritti alla inferiore categoria B, non essendo disponibile personale ausiliario o essendo presente evidentemente in numero non adeguato a soddisfare le esigenze dei pazienti.
I ricorrenti, quindi, per un apprezzabile periodo di tempo, non hanno potuto esercitare a tempo pieno ed esclusivamente le mansioni proprie della categoria di appartenenza, dovendo sopperire, in ciascun turno di servizio e per qualche ora, direttamente e personalmente alla mancanza o carenza di personale ausiliario.
Aderendo ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, considerato che nella specie si è prodotto un danno non patrimoniale costituito dalla mortificazione dell’immagine e della professionalità dei ricorrenti, la quantificazione del danno medesimo può esser operata rapportandola ad una quota della retribuzione mensile. La retribuzione, infatti, rappresenta il valore della prestazione e può quindi esser utilizzata per individuare, secondo equità, anche il valore della professionalità lesa a causa del demansionamento.
Nel caso, il demansionamento si è protratto per dieci anni ed il danno sofferto da risarcire può, ad avviso dell’ufficio, esser quantificato al 25% della retribuzione annua percetta per ogni anno di illegittima assegnazione a mansioni inferiori a far data dai dieci anni precedenti la lettera di messa in mora del 23.07.2019.