di Roberto PECCHIOLI
Negli ultimi anni il sistema di potere ha imboccato la via della repressione. Sulle orme delle prescrizioni di Karl Popper, la cosiddetta società aperta ha deciso di chiudersi. Non solo ai suoi avversari, come impone il pensatore austriaco, ma anche ad ogni deviazione. Come ai tempi sovietici, è obbligatorio essere “fedeli alla linea”. Di qui la furiosa battaglia contro le cosiddette false notizie, ossia ogni opinione divergente dall’ufficialità, il discredito verso qualunque dissidenza, immediatamente qualificata come populismo, fascismo, comunismo, l’apparato di leggi penali repressive del libero pensiero nei confronti di convincimenti sgraditi in ordine all’immigrazione, alla sessualità, alla famiglia, alla storia, ai sistemi economico sociali diversi dal mercatismo eccetera. Gli interdetti si susseguono, in nome della libertà e della democrazia si restringono gli spazi concreti di discussione, l’agorà viene munita di inferriate e resa accessibile soltanto ai sostenitori della società di mercato in ambito economico, del neoliberismo sul piano politico, dell’individualismo nichilista e relativista in campo filosofico, della monarchia del dollaro in sede geopolitica.
Si fa largo la convinzione di trovarci di fronte ad un sistema sottilmente totalitario, un lupo travestito da agnello. Sheldon Wolin, sociologo e filosofo americano morto ultranovantenne nel 2015, l’ha chiamato totalitarismo invertito. Il suo libro più importante, Democracy Incorporated. Managed Democracy and the spectre of inverted totalitarianism è stato tradotto in italiano con il felice titolo Democrazia s.p.a. La democrazia, è la tesi centrale di Wolin, è totalmente manipolata ed è in mano alle grandi corporazioni (multinazionali, vertici finanziari e bancari, padroni della tecnologia), tanto da essersi convertita nel suo contrario, un totalitarismo invertito e, aggiungiamo noi, in larga misura inavvertito.
Nel tempo, ci siamo convinti della giustezza delle idee di Wolin e condividiamo la definizione di totalitarismo invertito che egli ha reso famosa. Una riflessione al riguardo, tuttavia, necessita di un passo indietro: occorre riesaminare, ridefinire una categoria politica, quella di totalitarismo, peculiare del XX secolo, oggetto di molte controversie, dai caratteri non sempre facili da classificare. Probabilmente fu Giovanni Amendola il primo ad utilizzare il termine, con riferimento al fascismo, considerato totalitario “in quanto manifesta la tendenza verso un dominio assoluto e incontrollato della vita politica e amministrativa”. Fu tuttavia Hannah Arendt a diffondere il termine, attraverso la sua opera Le origini del totalitarismo. La filosofa ebreo tedesca concorda con altri studiosi del suo tempo nell’identificare i tratti fondamentali del totalitarismo nell’imposizione di un’ideologia ufficiale ed obbligatoria, nel terrore poliziesco e nel partito unico di massa.
Tutti questi elementi restano tuttavia legati ad un mondo, quello novecentesco, finito con il comunismo reale. La Arendt ebbe un’intuizione capitale, di natura teleologica, individuando come totalitario ogni sistema finalizzato alla trasformazione della natura umana. Sotto questo profilo, totalitari furono certamente nazismo e comunismo, ma altrettanto si può dire del capitalismo ultimo, globalista ed imperiale. E’ infatti ormai evidente che il sistema neo liberista globale persegue una trasformazione profonda e radicale dell’essere umano, estirpando ogni tendenza comunitaria, spirituale, identitaria per costruire un uomo-massa dedito esclusivamente alla produzione, al consumo, allo scatenamento delle pulsioni, purché compravendibili nello spazio virtuale ed infinito chiamato mercato.
Dunque, nella sedicente società aperta, democrazia, libertà, rappresentanza, lungi dal costituire l’antidoto contro il totalitarismo, ne diventano un aspetto e uno schermo del tutto inedito, sofisticato e singolare. Il dominio “assoluto e incontrollato” di cui parlava Giovanni Amendola si invera non tanto nella sfera politico-amministrativa, addomesticata, neutralizzata dalle procedure e dal potere del denaro, ma in quella economico-finanziaria che tutto pervade, sino a colonizzare l’immaginario (Serge Latouche) scacciandovi ogni alternativa. Come ha compreso Diego Fusaro, la peculiarità, la novità intrinseca del nuovo totalitarismo di matrice neo liberale è che si impadronisce dell’animo umano, si insedia in interiore homine per impedire che il dissenso si costituisca, trasformando la persona in uomo massa, quindi in consumatore ed infine grumo di una plebe di tipo nuovo, votata al desiderio. Smobilitazione politica e civile, mobilitazione dei desideri da appagare attraverso l’atto dell’acquisto e l’efficacia simbolica della forma merce.
Nella fiaba dei fratelli Grimm Il pifferaio di Hamelin rapì i bambini della città attirandoli con il suono invitante della sua musica, tutti eccetto un povero zoppetto che si salvò per non aver potuto tenere il passo dei compagni. Sembra questa la metafora più adeguata al presente: un totalitarismo suadente ed ingannevole che conduce alla dissoluzione “dolce”. Chi non ce la fa, può essere solo un disabile. Democrazia corporativa, ovvero tutto è in mano ai monopoli economici, finanziari e tecnologici. E’ la prima, più evidente inversione: un uomo nuovo manipolato e precario, solitario e prigioniero delle pulsioni, oseremmo dire delle sue brame, che diventa un oggetto plastico in mano a padroni mascherati falsamente benevoli. Il totalitarismo è invertito in quanto pratica il contrario di ciò che predica: si finge bonario, anti autoritario ma controlla tutto con mani ferree. Ha soltanto sostituito il materiale delle sbarre della prigione.
Il controllo tecnologico, le aspirazioni indotte e controllate, il desiderio continuo ed inappagato si sono rivelati più efficaci della costrizione diretta. Nell’ambito politico, il denaro ha sostituito il voto. Il cittadino di ieri è irrilevante. Resta autorizzato a votare, generalmente per scegliere soggetti simili il cui dibattito si svolge su argomenti triviali e secondari, con prevalenza dell’elemento pubblicitario o di immagine, dove vince necessariamente chi, disponendo delle somme più cospicue, può accedere ai media o addirittura comprarseli, per poi offrire al pubblico i messaggi che esso vuole ascoltare, previa indagine di marketing.
Altra inversione è quella di un sistema che enfatizza al massimo grado la libertà e la democrazia di cui sarebbe inventore e custode, ma nei fatti ha organizzato il mondo come un volo con pilota automatico. Non più governi decisori, ma la governance che amministra secondo regole impersonali, protocolli preventivi, procedure definite, tecniche indiscutibili perché se ne è affermata la condizione fattuale, “naturale”. Di qui i trattati internazionali sconosciuti ai popoli e sui quali non è lecito esprimere parere e tantomeno dissenso – Trattato Transatlantico , CETA, TISA- la prevalenza degli organismi transnazionali ( Fondo Monetario, Organizzazione Mondiale del Commercio) , la marginalità reale delle costituzioni che si ostinano ad assegnare ai popoli la sovranità, la manomissione delle stesse, inserendo vincoli vergognosi, insieme antinazionali, antisociali ed antidemocratici, come il pareggio di bilancio o arbitrari tetti di spesa rispetto al gigantesco inganno del debito ( fiscal compact).
Qui l’inversione è totale, con l’unione innaturale, l’identificazione tra capitalismo globalizzato mercatista e democrazia politica, che riproduce il potere del denaro riducendo al silenzio la voce del popolo. Totalitario diventa anche il dominio della sfera soggettiva del desiderio rivolto ai consumi. Si è ormai conclusa una progressiva regressione: la persona passa dalla qualità di cittadino a quella di consumatore, nell’ambito del lavoro è derubricata a risorsa umana, l’essere umano malato viene trattato dapprima come un utente assicurato – finché può pagare per essere sottoposto a terapie – per finire come un peso insopportabile a cui consigliare – meglio ordinare – di disporre preventivamente modalità e tempi della sua propria morte.
Le leggi dette pietosamente testamento biologico non sono altro che una proceduralizzazione della morte per espellerla dallo spazio pubblico e non gravare sui bilanci sanitari, farmaceutici, assicurativi. Fine vita programmata – si deve dire così- per volontà del totalitarismo finanziario mascherato da conquista civile: un’inversione così perfetta da lasciare sbigottiti. Il biopotere ci ha soavemente espropriato del nostro stesso corpo dopo averci sottratto l’anima, e tutto con il nostro consenso!
Si manifesta un totalitarismo invertito nell’ambito del diritto, con la scomparsa del principio di legge naturale. Naturale è solo il mercato e il diritto di proprietà che ne consegue, in mano alla finzione chiamata persona giuridica – le azioni, le obbligazioni, le società di capitali – mentre si confondono, anzi si rovesciano i concetti di legittimità e di legalità. E’ ormai realizzata la sostituzione di senso del significante “giusto”. E’ giusto ciò che è legale in un dato momento in un una certa circostanza, dietro il paravento dei diritti umani e dell’universalità conclamata. Chi si oppone alla legalità vigente è dunque un nemico, da colpire e proscrivere per la gioia del gregge, mela marcia e capro espiatorio che intralcia il cammino trionfale del Giusto e del Bene.
Sin troppo facile rammentare la neolingua che si torce nel suo contrario intuita da Orwell e diventata obbligo sociale, liturgia quotidiana, rito trionfale del politicamente corretto. Manipolazione, manomissione, inversione che ci coglie sino nell’intimo, obbligandoci a ridefinire il rapporto con noi stessi. Serge Latouche, parlando di colonizzazione dell’immaginario si riferisce esattamente a questo, come la lezione di antropologia culturale di Ida Magli. “Si tratta di un lavaggio del cervello radicale imposto a sudditi. La corrispondenza pensiero linguaggio è praticamente automatica. Inserire una distorsione concettuale (…) significa impadronirsi dello strumento naturale di vita cui è affidata la specie umana: l’adeguamento del sistema logico cerebrale alla percezione”.
Il controllo sociale e personale – altra inversione – è spacciato per sicurezza, difesa nei confronti della criminalità, del terrorismo e di tutti gli altri mali che il potere stesso ha creato o alimentato. Altrettanto totalizzante è l’invasione della tecnologia e della tecnica. Noi non utilizziamo più degli strumenti, ma ne siamo pervasi, penetrati. Siamo vissuti dalla tecnica, che si converte in impianto, gestell secondo Heidegger, sovrastruttura se preferiamo il lessico marxista. Molto semplicemente, i mezzi sono diventati fini, e la persona un semplice elemento statistico da processare nei modelli matematici e negli algoritmi del tecno potere.
E’ inversione anche il meccanismo per cui viene impedito uno sguardo generale, organico sui problemi e le cose. Dobbiamo accontentarci di vedere solo un pezzettino di un anello della catena, quello in cui ci hanno situato, senza neppure più sospettare di essere un puntino qualsiasi e senza sapere neppure dell’esistenza della catena. La grande forza del totalitarismo invertito è la sua struttura reticolare, tenuta insieme da nodi saldamente legati dall’alto. Siamo tornati alla caverna di Platone, ma per farcela apprezzare l’hanno riempita di merci, di cose, di schermi su cui proiettare desideri, suscitare appetiti da esaudire subito, in tempo reale. Le nostre risposte agli stimoli sono sempre più prevedibili, scontate, preordinate dal Potere. Possiamo affermare che le risposte dipendono dalle domande, e i padroni di entrambe sono gli stessi che hanno costruito i meccanismi svelati nel brano di Ida Magli.
Ne fu consapevole Lewis Mumford già negli anni 40 del secolo passato, allorché comprese che la mobilitazione della tecnica avrebbe significato la smobilitazione delle masse, la loro depoliticizzazione. Come dicevamo della dimensione giuridica, la procedura, l’automatismo prevale sul principio, anzi non esiste un principio, solo il meccanismo.
Osservatori come Sheldon Wolin hanno il torto di limitare il loro sguardo alla dimensione materiale dell’essere umano, esaminare prevalentemente la dimensione dell’’homo oeconomicus da una prospettiva a in qualche modo post marxista: il rovescio, sì, ma della stessa moneta. Non colgono l’assenza totale di spiritualità, l’amoralità gelida, la superficie scabra del sistema, tanto esteso quanto privo di spessore. Tuttavia Wolin vide giusto allorché comprese che la precarietà della vita personale, a partire dalla condizione lavorativa e dalla solitudine esistenziale, in un sistema altamente tecnologico globalizzato, avrebbe superato quella dei periodi di depressione economica. Ne inferì che l’insicurezza, in un contesto dominato dalla visione competitiva di ogni relazione, avrebbe condotto l’opinione pubblica all’indifferenza politica in cambio della protezione del potere/leviatano.
Sbagliò clamorosamente, a nostro avviso, parlando di sistema tecnofascista. Pur comprendendo che il riferimento riguarda l’identificazione con l’autoritarismo, a noi sembra che all’ inventore della categoria di totalitarismo invertito sfugga un elemento centrale rispetto ad ogni altro regime, che è poi la più assoluta delle inversioni. Il totalitarismo neo liberista infatti, finora, è riuscito a passare inavvertito. Non nelle sue conseguenze, ovviamente, ma nella percezione comune. E’ fortissimo perché non chiede né impone in modo diretto l’adesione a canoni ideologici o comportamentali, come gli altri totalitarismi, né richiede professioni di fede, sventolio di bandiere, tessere ufficiali. Gli basta l’anima, e fornirà allo scopo chip multiuso e carte di credito.
Possedendo tutto, è riuscito da un lato a espellere la dimensione dell’essere a favore dell’avere (e dell’apparire), ma innanzitutto a convincere masse enormi di vivere in libertà ed in democrazia. Di più, il presente non è indicato come il migliore di mondi, il che esporrebbe comunque a critiche, negazioni, dubbi, paragoni, ma come l’unico possibile. Non ci si può opporre all’Unico, tanto più che possiamo declinarlo in forma individuale, ipersoggettiva, fino alla divinizzazione di quell’ Unico che è l’Io. Scriveva nell’Ottocento Max Stirner “il mio potere è la mia proprietà, io stesso sono il mio potere “, sino alla franca ammissione che non “cerchiamo la società umana, ma vediamo negli altri unicamente mezzi e strumenti da adoperare come nostra proprietà”. La lezione è stata messa perfettamente a frutto dall’oligarchia totalitaria, che vi ha aggiunto l’intuizione vincente: convincere i singoli, le ex persone a fare dell’anima individuale un’apparente monarchia assoluta di cui Io è imperatore.
Di qui la predicazione ossessiva dell’uguaglianza come indistinzione ed insieme diritto a fare di se stessi ciò che si vuole, l’insistenza sul tema dei diritti civili, la loro dilatazione alla sfera pulsionale, il diffuso convincimento che esista solo la dimensione individuale armata della ragione strumentale. Per lavare la coscienza, è stata inventato un cosmopolitismo declamatorio, sentimentale quanto innocuo al potere, saldamente unito al nomadismo culturale e personale, uno sradicamento individuale di massa dipinto di opportunità e apertura. Che cosa c’è di più libero, per estensione di più democratico, del pensiero unico declinato in miliardi di modalità, una per ciascun abitatore del pianeta? Del resto, il consumo depoliticizza anche quando il rito si compie collettivamente, nei centri commerciali di grande superficie. Infatti, siamo rassicurati dall’essere in molti, ma nessuno pone in comune un’idea, i desideri sono individuali, per quanto massificati dalla chiamata irresistibile della comunicazione pubblicitaria, della moda, della forma merce, di quello che abbiamo definito impero delle cose.
Democrazia spa diventa dunque, per l’opera di Wolin, un titolo più azzeccato dell’originale. La mega macchina è totalitaria anche nella sua forma giuridica, quella della società anonima. Il nuovo totalitarismo non si fonda su un’ideologia specifica, una demagogia o un capo carismatico, nemmeno in quel soggetto collettivo che fu il Partito (comunista), ma si esprime nell’anonimato di una politica che ostenta ossequio alle regole democratiche, enfatizza il suo rispetto per le procedure stabilite, ma manipola tutte le leve per neutralizzare, se del caso sovvertire le istituzioni e la volontà popolare. Il livello soprastante è costituito dal sistema di comunicazione, tutto in mano ai grandi gruppi, le corporations, struttura apicale onnipotente, azionisti di maggioranza del mondo che determinano tutto ciò che acquistiamo, crediamo, leggiamo, ascoltiamo, vediamo al cinema e sulla rete. Si stabilisce una uniformità di opinioni blanda o liquida, nutrita di pettegolezzi e nuovi pregiudizi: armi di distrazione di massa.
Società anonima a responsabilità limitata, dunque, ma dal potere illimitato, fondato sul principio della rana bollita. La libertà si perde poco alla volta, esattamente come la rana non salta fuori dalla pentola perché la temperatura dell’acqua sale lentamente e si avvede troppo tardi della trappola. Il totalitarismo neo liberale è tanto più pernicioso in quanto inavvertito. Nicolàs Gòmez Dàvila scrisse che Socrate aveva compreso prima di chiunque che in democrazia non è lecito insegnare, né dirigere, e per questo inventò il metodo maieutico, ossia far emergere le idee, ma in realtà infonderle sottilmente all’interlocutore: “Il democratico ha bisogno di credere di stare inventando quello che gli viene suggerito”. Le menti raffinate del totalitarismo hanno manomesso anche la pratica di Socrate. Le masse vengono convinte di scegliere ciò che vogliono/desiderano nel momento preciso in cui il libero pensiero viene piegato al conformismo, alla ripetizione obbligata, al messaggio preconfezionato. Ogni gerarchia di valori viene abolita e sostituita con il capriccio condizionato.
Lo stesso Dàvila ci mette in guardia dal totalitarismo post moderno, invertito ed inavvertito, riconoscendo che quando la preferenze (indotte) regolano il valore, tutto è perduto. Le scemenze sono temibili quando sono proclamate atti di ragione, concluse: un’altra inversione, tragica quanto impalpabile per la massa. Osserviamo il famoso quadro di Delacroix “La libertà che guida il popolo”, togliamo la bandiera francese dalle mani della giovane donna che incede sicura, sostituiamola con l’arcobaleno cosmopolita, meglio ancora con il simbolo del dollaro. Resteranno le rovine; la chiamano società aperta.
ROBERTO PECCHIOLI