La demofobia, l’odio per il popolo, è ormai apertamente la bandiera dei mondialisti e della sinistra che ne ha sposato la causa. In reazione alla globalizzazione e alla sua logica mortifera, i popoli sono tornati a guardare alle patrie, alle identità, alle radici, alla sovranità, alla religione, alla morale tradizionale, elementi di freno della spinta mondialista. Così, con la riscoperta della tradizione si consuma il divorzio del popolo con la sinistra politica.
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Il blog Gli occhi della guerra ha pubblicato il reportage Gli anti-Brexit contro Trump. Ma quando accetteranno la democrazia? sulle proteste durante la visita del Presidente Trump in Gran Bretagna. L’articolo è interessante e si presta ad alcune considerazioni.
Non è questa la sede per valutare la fondatezza delle contestazioni: sessismo, razzismo e l’immancabile fascismo. Al riguardo, si può però osservare che queste critiche sono emerse solo a partire dal 2015, quando Trump ha annunciato di correre per la Casa Bianca e si è candidato alle primarie del Partito Repubblicano, e si sono intensificate dopo la vittoria elettorale dell’8 novembre 2016. In precedenza, soprattutto quando Trump era legato al Partito Democratico se non era considerato un benemerito filantropo poco ci mancava. Evidentemente, essere affiliato al partito dell’asinello assicura certe immunità, a quello dell’elefante no.
Per Diplomaziaitaliana le contestazioni, che in sostanza vertono tutte sul rifiuto del risultato elettorale americano del 2016 e, dunque, sulla presunta illegittimità del mandato presidenziale di Trump, rivestono un interesse particolare anche per l’Italia e l’Europa.
Crolla il mito dell’infallibilità della sinistra
Fino a pochi anni orsono i sostenitori della globalizzazione stavano conducendo una cavalcata trionfale. Oggi il quadro si sta modificando rapidamente. Ieri, quasi ovunque si assisteva all’affermarsi di un nuovo ordine mondiale basato su un unico modello politico, economico e sociale la cui colonna portante erano la triade democrazia rappresentativa-economia di mercato-società liquida.
Oggi i popoli reagiscono. Stanno imparando a difendersi. Stanno ritornando le patrie, le identità, le radici, i confini, la morale tradizionale. È in atto una riscoperta degli usi e dei costumi, della famiglia, delle fedi religiose. Parallelamente, si registrano una crescente ostilità all’immigrazione e all’islamizzazione, che negli ultimi anni sono state imposte a dosi di cavallo ai popoli d’Europa.
Il ritorno dei popoli e delle rivendicazioni identitarie costituisce per i sostenitori della globalizzazione un problema esistenziale.
In linea con la visione del marxismo culturale, i globalisti hanno una concezione lineare della storia, di cui hanno la presunzione di conoscere la direzione. Di conseguenza, la reazione dei popoli li sorprende e incrina la fiducia nella loro capacità di previsione.
La reazione identitaria coincide con il divorzio fra sinistra e popolo. Quest’ultimo ha compreso che con l’avvento del capitalismo finanziario la tradizionale diade destra-sinistra ha perso significato, sostituita dal ritorno della feudale dicotomia servo-signore.
I popoli chiedono di essere padroni a casa loro
Il “signore”, ossia i grandi conglomerati finanziari, bancari e industriali, vuole mercati sempre più globali e deregolamentati: dei beni e dei servizi, ma soprattutto del lavoro, per aumentare la concorrenza fra lavoratori e sottoporli ad un dumping salariale sempre più sregolato. Proprio per il suo effetto di sradicamento dei popoli, questo progetto ha bisogno di forte consenso. Ecco il perché dell’aggressiva narrativa mondialista, imposta con sincronia in tutto l’occidente, favorevole alla delocalizzazione delle aziende, alla flessibilità e alla mobilità della forza lavoro, all’immigrazione, alla decostruzione della morale tradizionale.
Il “servo”, vale a dire le classi popolari e ormai anche il ceto medio impoverito, ha compreso che la logica della globalizzazione è mortifera. Quest’ultima per potersi affermare deve sradicare tutto ciò che la tiene a freno: tradizioni culturali e religiose, usi e costumi, famiglia, identità. Anche questo è stato capito dai popoli, che hanno capito che quella in atto è una lotta per la loro esistenza. Da qui la loro domanda di meno mercato e più Stato. Meno concorrenza e più stabilità, professionale e esistenziale. Meno esperimenti di ingegneria sociale e più rispetto per le identità culturali e religiose. Meno regole imposte da organi sovranazionali e più rispetto per le leggi e i confini degli Stati. Chiedono più sovranità. Chiedono di essere padroni in casa propria.
La sinistra ha divorziato dal popolo
Imploso il comunismo, la sinistra ha scelto di schierarsi dalla parte del “signore”. Col senno di poi, era prevedibile, visto che rischiava di restare sepolta sotto le macerie della Cortina di Ferro. È stato naturale che trovasse un nuovo progetto ideologico da imporre ai popoli, che restano il suo vero nemico giacché ostinatamente ancorati alle loro identità e impermeabili alle sue prediche. Cosa meglio di un astratto progetto di governance globale, naturalmente nell’interesse dell’umanità? Che con i suoi esperimenti la sinistra possa cambiare il mondo è possibile. Che lo cambi in peggio è sicuro, come dimostrano i costi umani e sociali dell’agenda mondialista oggi e la tragedia del comunismo ieri.
I globalisti hanno capito che la loro finestra di opportunità si sta chiudendo. Che il loro progetto politico rischia di andare in fumo alla luce della sempre più rapida coagulazione di forze ostili. Ecco perché portano avanti il loro progetto con sempre più urgenza e aggressività, sostenuti da zelanti tecnocrati senza volto. Con la contestuale imposizione di agende politically correct in simultanea su scala planetaria. Con una narrativa sempre più scollegata dalla realtà. La loro visione del mondo è ideologica: un’infondata ipersemplificazione di fatti e dinamiche, alimentata da un risentimento verso le voci dissenzienti che rasenta la patologia.
Non è quindi casuale che fra gli strumenti che i mondialisti usano per affermare le proprie posizioni vi è quella di screditare le posizioni altrui. E, se necessario, screditare gli avversari dipingendoli come criminali e inumani. Da qui l’uso con toni spregiativi di termini come populismo, nuovo spauracchio della sinistra internazionale, e l’associazione delle posizioni sovraniste al sempiterno fascismo.
Il punto è che mondialisti e sinistra odiano i popoli, perché questi ultimi si ostinano a non fidarsi di loro. Li odiano al punto di anteporre gli interessi degli immigrati a quelli dei popoli che sono chiamati a governare. Al punto di disprezzare il loro sentire comune. Di non tenere in considerazione i loro usi e i loro costumi. Di tentare di spazzarne via le identità e le tradizioni. Di disprezzare il loro voto e le loro opinioni politiche, sistematicamente derise o stigmatizzate quando non in linea con la doxa dominante.
Demofobia, nuova frontiera del mondialismo
In questo senso, la bandiera dei mondialisti e della sinistra è la demofobia. Un vero e proprio filo rosso con il comunismo di ieri. Un oscuro risentimento verso tutto ciò che è autenticamente popolare: identità, morale tradizionale, usi, costumi, religione, famiglia, cultura. E soprattutto la volontà popolare. Una marcata diffidenza per l’opinione pubblica. Un evidente disprezzo per il responso delle elezioni quando non coincide con quello auspicato. Per dirlo con le parole de Gli occhi della guerra una pericolosa incapacità di accettare il voto espresso dal popolo.
Dalla demofobia deriva il crescente allarme dei mondialisti e della sinistra per la crescita incontrollata dei media alternativi alla stampa cosiddetta mainstream. E con la loro voglia di bavaglio alle opinioni dissenzienti. In questo senso, preoccupano i tentativi sempre meno velati di introdurre forme di censura con la scusa dell’allarme fake news. Naturalmente, nell’interesse dei popoli. E poi, attraverso i dogmi del politicamente corretto, zittire i non allineati. E, se serve, minacciarli.
Come tante volte nella sua storia, l’Italia oggi è tornata ad essere un laboratorio politico. Negli ultimi anni, l’Italia ha subito decisioni e dinamiche esterne, che si sono abbattute sul Paese e sul suo popolo con violenza: il devastante impatto della crisi dei subprime; le politiche di austerità e deflazione imposte da Francoforte e Bruxelles e implementate con zelo dal governo Monti; l’emergenza rappresentata da un’immigrazione fuori controllo.
Il laboratorio politico Italia torna sulla scena internazionale
A queste violenze il popolo italiano ha reagito in occasione delle elezioni dello scorso 4 marzo, che hanno portato al governo un’alleanza politica inedita, ma legata dal collante della diffidenza verso il mondialismo e i suoi dogmi.
il governo Conte, proprio in ragione delle istanza politiche che rappresenta, costituisce un fattore di discontinuità rispetto ai precedenti esecutivi, che sono stati incapaci di difendere l’interesse nazionale e pendeva dalla labbra dell’Ue e della Germania.
Ecco, è essenziale che il nuovo esecutivo giallo verde metta l’interesse nazionale al centro dell’azione politica. E lo riaffermi con determinazione e perseveranza, in particolare sul rilancio dell’economia e dell’occupazione e del contrasto all’immigrazione clandestina. Due sfide, queste, per le quali le ricette chieste a gran voce dall’elettorato sono esattamente il contrario di quelle finora imposte dai precedenti governi di sinistra, supini all’ideologia mondialista.
Per questo, con immenso scorno degli antitaliani, tanti paesi e tanti popoli guardano all’Italia con curiosità e speranza.
Se il governo Conte riuscirà a incidere sul problema della crescita economica e sulla lotta all’immigrazione clandestina potrà dire di aver raggiunto gli obiettivi indicatigli dal voto popolare. Ecco perché si assiste oggi ad una isterica campagna politica e mediatica imperniata su ripetuti quanto infondati allarmi: fascismo, razzismo, populismo, e chi più ne ha più ne metta. Questi sono finti problemi. O meglio, sono problemi della sinistra. Gli italiani non sono razzisti e negli ultimi anni hanno dato prova di umanità, generosità e tolleranza. Non hanno lezioni da prendere.
Il vero problema dell’Italia e dell’Occidente in questo avvio del XXI secolo è la sempre più manifesta demofobia delle élites mondialiste. Una demofobia destinata ad accentuarsi se i popoli vorranno continuare a difendere i propri interessi a scapito dell’agenda mondialista. Una demofobia che va dal non accettare i risultati elettorali, alla delegittimazione dell’avversario politico, alle minacce persino. Una demofobia, quella dei mondialisti, che implica il ripudio delle regole della democrazia, che in questo modo rischiano di non essere più condivise. Un giocare col fuoco pericoloso.