Di Roberto PECCHIOLI
Quello che state per leggere darà fastidio a molti “destri”. Sulla speranza di far ragionare i “sinistri” contemporanei abbiamo messo una pietra da tempo. Premessa maggiore: i termini di destra e sinistra, che ricalcano la topografia della Costituente nella Francia nel 1789, generalizzati sulla scala dell’intero universo, sono da tempo in preda a processi di inversione e sovrapposizione che li rendono anacronistici. Premessa minore: poiché occorre farsi capire, li utilizzeremo comunque nel significato corrente, segnalando che dei due, quello a cui è attribuito senso positivo è sinistra, talché insistere a definirsi “di destra” è puro autolesionismo.
Destra del denaro e sinistra dei costumi è un’espressione introdotta nel dibattito culturale da un intellettuale francese che si dichiara orgogliosamente socialista, respingendo con sdegno la retorica di sinistra, Jean Paul Michéa. Per lui imperano una prassi e un pensiero guidati da un’oligarchia – economica, finanziaria e tecnologica- che chiama destra del denaro, la quale ha appaltato alla sinistra dei costumi la cultura in senso lato: scuola, educazione, comunicazione, “narrazione” ufficiale. Alla destra del denaro interessa mantenere il controllo sull’economia e della finanza, attraverso la concentrazione selvaggia della proprietà non solo dei marxiani “mezzi di produzione”, ma dell’intero apparato di comunicazione e informazione. E’ una oligarchia di azionisti alleata, dopo il cruciale 1968 e finito il comunismo novecentesco nel biennio 1989-1991, con la sinistra dei costumi, il ceto intellettuale interessato a rovesciare l’intero sistema di valori, principi e credenze della civiltà europea e occidentale.
L’interesse di questi ultimi è evidente. Quello della destra del denaro riguarda la precisa volontà di dominare i popoli e i singoli individui svuotandoli delle loro identità, al fine di orientarne comportamenti, consumi, idee sino a omologarli, poiché la società-mercato ha bisogno del dominio su consumatori a taglia unica. L’analisi è rozza, ma ha una sua logica. Il filo che unisce i due grandi vincitori dell’ultimo mezzo secolo – la destra del mercato e la sinistra culturale – è la comune adesione a uno strano ircocervo (post) liberale, in cui gli uni rappresentano la spinta liberista – la privatizzazione del mondo concentrando il pacchetto azionario nelle loro mani – e gli altri un singolare libertarismo pronto a diventare inflessibile proibizionismo nei confronti di chi lo contesta. Il diavolo, probabilmente.
L’espressione proviene dal dialogo tra Karamazov padre e uno dei suoi figli, il tormentato Ivan, nel capolavoro di Fedor Dostoevskji I fratelli Karamazov. Nella tesa discussione intorno a quelli che oggi definiremmo “massimi sistemi”, il padre chiede al raffinato intellettuale Ivan: “Dio esiste o no, una volta per tutte? No. E chi si prende gioco degli uomini, Ivan? Il diavolo, probabilmente.” Il regista Robert Bresson intitolò Il diavolo, probabilmente, un film che è un potente affresco sul male e il nichilismo. Ebbene, se la crisi che stiamo vivendo non è solo politica, storica, civile, morale, ma è antropologica, metafisica e spirituale, è per il trionfo dell’alleanza niente affatto innaturale tra destra del denaro e sinistra dei costumi. Sì, probabilmente è Mefistofele che inganna definitivamente Faust, archetipo dell’uomo europeo, e gli ruba anima e corpo.
La sinistra ha tradito il popolo della povera gente alleandosi con i “padroni universali”, assecondandone l’universalismo proprietario, innalzando e istigando ogni minoranza in una sconcertante rincorsa identitaria in nome dell’Identico Cosmopolita, il cui esito è la dissoluzione. Lasciamola al suo destino e concentriamoci sull’altra parte del cielo, la destra. Possibile che non si renda conto della sua sconfitta epocale, del fatto che arretra ogni giorno senza combattere e spesso senza neppure eccepire? Certo, è difficile contrastare un tempo in cui il cambiamento- chiamato progresso- è posto sul trono in nome di principi che negano continuità trasmissione, stabilità. Per farlo, occorre una solida corazza morale, una formazione culturale e una tenuta personale che nessuno ha coltivato.
La destra politica ha tradito il suo popolo con altrettanta forza della sinistra, e lo ha fatto in nome del denaro, del potere e degli interessi di pochissimi. Conta solo il mercato, e non riesce neppure a capire che i nemici più accaniti della proprietà diffusa, della concorrenza e della libera iniziativa oggi non sono a sinistra, ma, appunto, nella destra del denaro, oligarchica, feudale, senza freni, senza vergogna. Hanno ridotto l’uomo alla triste dimensione di Adam Smith: non avremo il pane e la carne dalla generosità del fornaio e del macellaio, ma dalla loro avidità. Una ben povera concezione dell’essere umano, cui non abbiamo più la forza di contrapporre il potente monito di Ulisse nella Commedia di Dante: fatti non foste a viver come bruti, ma a seguir virtute e conoscenza.
Stupisce che non si eccepisca da un punto di vista liberale classico il fatto che il mercato per essere tale deve essere aperto, mentre lo è solo in uscita, con l’espulsione costante non solo dei piccoli e medi operatori, ma anche dei grandi, per lasciare spazio a pochi giganti organizzati in cartelli. Alcune centinaia di colossi possiedono, attraverso incroci azionari, il mondo intero, ma la destra politica non batte ciglio: è il mercato, bellezza, ci dicono con sorrisi di compatimento. No, non ci stavamo ieri, non possiamo starci oggi, nel momento in cui la civiltà intera in cui siamo vissuti è travolta da un vento di distruzione i cui mandanti non sono i “sinistri” intellettuali delle università e delle redazioni, ma i loro padroni oligarchici. La destra spuria ha assunto gaiamente non solo il linguaggio e i toni dell’avversario – del nemico – ma anche le sue ragioni.
In Gran Bretagna, il matrimonio omosessuale è diventato legge sotto un governo conservatore, pur se i gloriosi Tory non sono che un partito liberal liberista che usurpa il nome di conservatore. In Spagna, il Partito Popolare di centrodestra non ha mai neppure tentato di modificare le legislazioni in materia di aborto e di distruzione pianificata della famiglia introdotte dai socialisti (a loro volta usurpatori del rispettabile nome di una grande famiglia politica) e, da ultimo, ha emesso comunicati ufficiali per unirsi ai festeggiamenti delle giornate LGBT, utilizzando un logo arcobaleno al posto del tradizionale simbolo della rondine. In materia di immigrazione, la destra politica è spesso su posizioni sovrapponibili a quelle del cosiddetto avversario. Certo, sospira, allarga le braccia, ma poi quel che fa è allinearsi al desiderio degli iperpadroni di nuove braccia e nuovi schiavi.
In Italia, è Forza Italia il più convinto sostenitore dell’accettazione dei prestiti del MES, che distruggerebbero gli ultimi brandelli di sovranità – economica, prima ancora che popolare e nazionale – unita al partito-sistema sedicente democratico. Quanto alle decisive battaglie di libertà relative alle leggi bavaglio in materia di opinione (legge Mancino, omofobia, agenda LGBT) la destra politica grida alla luna, poi si accuccia e non vi è traccia nei suoi programmi di modifiche significative o di abrogazione. Il problema dei problemi, in Occidente, è la denatalità: se una civiltà non riproduce se stessa a partire dalla nascita di nuovi membri, è destinata alla fine. La risposta della sinistra, della destra del denaro e, ahimè, della Chiesa è l’aumento dell’immigrazione, cioè la sostituzione etnica e culturale. Nessun tentativo di investire denaro nella cultura dell’accoglienza della vita, attraverso politiche che hanno dato buoni risultati in nazioni come la Francia, e, da noi, nelle province autonome di Trento e Bolzano. A un candidato alle elezioni regionali che ci aveva chiesto idee, abbiamo suggerito di presentare un progetto per rivitalizzare le nascite in Liguria, terra sulla via dell’estinzione biologica: siamo stati guardati con commiserazione.
In compenso, i destri diventano leoni al momento di invocare la diminuzione delle tasse. Hanno ragione, è necessaria, ma non è programma, non è cultura, non è progetto. E’ soltanto un elemento – giusto quanto si vuole – all’interno di una visione della vita improntata alla libertà. Quella libertà che non riescono a vedere minacciata dalla progressiva abolizione del denaro contante, tema a cui pure dovrebbero essere assai sensibili, dall’obbligo di una vita online, dalla disgregazione sociale, dal precariato, dai bassi salari che impediscono un progetto di vita, dal tele lavoro che rende asociali e ferocemente competitivi, dalla sorveglianza da remoto in mano agli straricchi e onnipotenti signori della tecnologia, dal divieto di esprimere certe convinzioni o addirittura di usare determinate parole, dal nichilismo incombente. Potremmo proseguire con un elenco divenuto interminabile e intollerabile. Intollerabile? No, la “tolleranza”, ovvero l’accettazione acritica di ciò che non piace per viltà e tornaconto, è diventata un valore anche a destra, senza neppure pretendere la reciprocità.
La destra muore liberale, liberista e libertaria, non diversamente da sua sorella più furba, più svelta, la sinistra. Ma era vissuta attorno a ben altri principi. Dio, Patria, famiglia, lavoro, responsabilità, partecipazione, ordine e Stato di diritto entro la cornice dei valori citati. L’agonia della destra somiglia a quella delle balene che, inspiegabilmente, vanno a morire sulla spiaggia, a nulla valendo il tentativo di risospingerli nel loro elemento naturale. Evidentemente, l’elemento naturale della destra è l’economia liberista, la finanza, il denaro. Buon pro le faccia, ma saranno sempre minoranza che insegue, si difende e alla fine accoglie, per stanchezza o incapacità di definirne di sue, le idee dell’altro. Oppure, è la spiegazione più triste, è tutto un gioco di ruoli, una maschera a uso dei gonzi, numerosissimi di qua e di là.
L’unica libertà che conta è quella d’impresa- la grande impresa, l’altra può morire, come accade da venticinque anni e nel 2020 con moto accelerato. L’unica vera proposta che differenzia la destra dalla sinistra è la politica fiscale. Gioco facile, dall’altro lato, ad accusare di egoismo e mancanza di solidarietà: è la verità, dopo il tramonto di Dio, patria e famiglia. Tutti cianciano di libertà nell’epoca in cui vince l’idea di Benjamin Constant: la sua “libertà dei moderni” è essenzialmente negativa, libertà “da”, l’autorizzazione al disinteresse e al particolare, a differenza della libertà degli antichi, il cui senso era la partecipazione e la responsabilità. Diceva l’esponente della rivoluzione conservatrice Arthur Moeller Van Den Bruck che la democrazia è la partecipazione di un popolo al suo destino. Non c’è popolo, non c’è destino nella fuga, nel riflusso, in un individualismo e in una sfera privata che la nostra epoca non permette. Ma un popolo ha un destino se si considera tale, se possiede il senso di se stesso. Quindi, basta con l’accettazione difensiva della narrazione altrui.
Non esiste un mondo a misura unica, assurdo considerarsi cittadini del mondo. La stagione migliore della destra è stata sempre all’insegna dell’amore della libertà come opportunità e responsabilità. Dunque, bisogna dare battaglia sul terreno delle leggi liberticide. Non ci possono essere parole, convincimenti, giudizi proibiti: solo la violenza va espulsa dal terreno pubblico. La spiritualità, la religione non sono fatti privati, come vuole la liturgia liberale, ma elementi costitutivi della condizione umana. La famiglia naturale è quella aperta alla vita, formata da uomo e donna, secondo il progetto di natura e biologia, fatto salvo il diritto degli adulti consenzienti di comportarsi come credono tra le lenzuola. I sessi sono due, non quattro, sette o ventidue. Gli uomini sono diversi tra loro per capacità, volontà, etnia razza: uguale è la dignità iniziale dell’essere umano. Le comunità che essi formano a partire dall’ appartenenza territoriale, culturale, linguistica, etnica, spirituale meritano di essere conservate e trasmesse alle nuove generazioni. La convivenza tra gli uomini non può essere regolata solo da norme contrattuali, La realtà esiste, è oggettiva e la natura supera la cultura: dunque l’uomo e la sua tecnica non sono padroni della vita, non possono decidere autonomamente al posto della biologia. Esistono alcune invarianze che diventano principi etici naturali, iscritti nel cuore dell’uomo.
Il legato culturale che possiamo attribuire alla destra è immenso: perché sprecarlo, barattarlo con la sola legge del denaro e del mercato? Soprattutto, perché la destra (politica) ha tanto fastidio per la cultura, ovvero per la diffusione della conoscenza, se uno dei suoi principi è (era?) la continuità, la volontà di trasmettere qualcosa? L’eredità non è un elenco di beni materiali da trasferire in proprietà, previo pagamento di un’imposta. Scriveva Tocqueville che il grado di libertà di una nazione può essere giudicato sulla base delle norme in materia di successione. Questo è senza dubbio vero se il criterio discriminante è l’avere, la materia. La destra ha sempre creduto più nell’essere che nell’avere, tenendosi a distanza dal materialismo. Almeno un tempo, prima di chiudersi nella gabbia liberale, che confonde ben-essere con ben-avere, merci, ossia prodotti, con beni, ciò che serve alla vita.
Disfacendosi del suo legato, ha offerto praterie immense della cultura agli avversari, trincerata nei listini di borsa e nella mistica dell’impresa. Ricordate le tre I di Berlusconi, Internet, impresa, inglese? Una penosa confusione tra mezzi e fini, la volontà di sciogliersi nell’indefinito globale a partire dalla lingua, le nuove tecnologie come scopi anziché mezzi con cui vivere meglio, conoscere di più, riflettere con cognizione di causa. Storia vecchia, purtroppo: l’egemonia sulla cultura, compresa da Antonio Gramsci come conquista progressiva delle coscienze, penetrazione nel profondo della comunità, è stata la chiave della sconfitta storica della Dc. Controllava le casse di risparmio e le camere di commercio, ma intanto il senso comune correva altrove, la società civile cambiava inesorabilmente i suoi principi.
La falsa credenza peggiore è il convincimento “destro” di essere i vincitori della storia, per l’implosione del comunismo. E’ falso, terribilmente falso. Il marxismo ha fallito sul terreno economico, ma trionfa ogni giorno – con l’approvazione degli oligarchi – sul piano dei costumi. Liberato dai pessimi francofortesi della palla al piede del collettivismo economico, ha potuto distruggere l’autorità (l’uccisione simbolica del padre celeste e di quello terreno), ha destrutturato la famiglia, ha screditato la libera iniziativa, tacciata di egoismo. Musica per le orecchie delle cupole liberiste, che hanno riprodotto a loro vantaggio la dialettica servo-padrone offrendo diritti soggettivi e ritirando diritti sociali. Il tornante della storia è adesso a un nuovo punto di svolta. Vinta la guerra del linguaggio (il politicamente corretto compreso nella sua portata rivoluzionaria, con vent’anni di ritardo, nonostante gli avvertimenti della destra culturale) la sinistra dei costumi è entrata nella fase proibizionista.
Basta libertà concrete, basta libero pensiero: vige l’Unico, con la copertura onnicomprensiva dell’antirazzismo forzato e forsennato. La destra del denaro si frega le mani: che importa, bianchi, neri o meticci, essenziale è che consumino e non si ribellino alle parole d’ordine da lei autorizzate e appaltate alla sinistra dei costumi. Sostituiscono la storia con l’isteria; tanto meglio, generazioni di ignoranti manipolati rafforzano il tallone di ferro del potere. Il primo grande romanzo distopico del XX secolo fu Il Tallone di Ferro di Jack London. Trattava dell’ascesa di un’oligarchia dittatoriale, i detentori dei mezzi di produzione, della morale dominante e della conoscenza. Vi ricorda qualcosa, amici di destra? Aggiungete il monopolio delle tecnologie legate al controllo sociale e la padronanza delle parole, che convince la gente che quel che vede non è vero, la neve è nera e l’erba non è verde in primavera. Da che parte state, dal lato dell’oligarchia del denaro o dalla parte dei popoli? Se la risposta è quella che crediamo, svegliatevi una buona volta, poiché il nemico non è alle porte, ma è già al potere. Oggi ci costringono a inginocchiarci e abbattono le statue di qualche personaggio storico, ma l’obiettivo siete voi, siamo noi, è la civiltà che fummo e che potremmo ancora essere.
L’obiettivo è abbattere la croce e sostituirla con il simbolo del dollaro, abolire qualunque ordine e promuovere un Caos dal quale uscirà una civilizzazione disumana. Quando Bisanzio veniva espugnata, esangui profeti del nulla discettavano del sesso degli angeli. Anche sul Titanic si ballava mentre il gigante del mare simbolo orgoglioso del progresso dell’uomo occidentale andava a sbattere contro la montagna di ghiaccio. Amici di destra, avete il diritto di tacere, di continuare a fare affari – venderete al nemico la corda a cui vi impiccherà- potete chiudervi ancor più nel vostro minuscolo guscio privato. Potete persino applaudire, molti già lo fanno. Ma non sfuggirete al tallone di ferro: destra del denaro più sinistra dei costumi. Una civiltà asfittica muore suicida. Chiamatelo come preferite: è il diavolo, probabilmente.