IL DIO NASCOSTO E RIVELATO
SULL’IMPOSSIBILE “CANONIZZAZIONE” DI MARTIN LUTERO
RAGIONI STORICHE, SPIRITUALI E TEOLOGICHE
SESTA PARTE
EUCARESTIA: BERENGARIO PRECURSORE DI LUTERO
Gli esegeti cattolici filo-luterani, allo scopo di sminuire le drammatiche conseguenze della negazione luterana della transustanziazione, fanno risalire i dubbi di Lutero sul mistero eucaristico alle difficoltà, in merito, incontrate dallo stesso Aquinate nel tentativo di darne una spiegazione razionale, tanto che alla fine – essi annotano – Tommaso fu costretto ad una spiegazione “miracolista”. Così dicendo essi credono di poter sottrarre Lutero alle sue responsabilità per aver aperto la strada alla negazione della Presenza Reale, che poi i suoi epigoni affermarono con ancor più decisione di lui. Questi esegeti cattolici filo-luterani dimenticano, però che quello di Tommaso d’Aquino non fu affatto un ripiegamento per incapacità a dare una spiegazione razionale del mistero eucaristico, sia perché l’Aquinate, che era ben consapevole come il mistero di Dio oltrepassa qualsiasi schema razionale, pur necessario alla fede affinché essa non scada in mero fideismo, non rifiutava affatto il miracolo, sia perché in effetti quello eucaristico è “IL” miracolo per eccellenza che ancora oggi regge il mondo e senza del quale l’intera creazione sprofonderebbe nel nulla dal quale l’Amore di Dio l’ha vocata.
Secondo Vittorio Messori le posizioni eretiche sono come le posizioni erotiche ossia poche e ripetitive. Lutero non ha inventato di sana pianta la “consustanziazione”, sulla quale torneremo. Secoli prima di lui tale idea fu introdotta da Berengario di Tours (1010 – 1088), per il quale nella consacrazione non ci sarebbe alcun cambiamento di sostanza dal momento che sarebbe impossibile un tale cambiamento nella permanenza degli “accidenti” (sapore, odore, colore, etc.). Se cambia la sostanza devono cambiare anche gli accidenti, sosteneva l’incredulo Berengario. Che, pertanto, riduceva il pane ed il vino eucaristici ad un mero “signum sacrum”, un simbolo della realtà meramente spirituale della Passione del Signore. Il povero Berengario, che evidentemente non conosceva il miracolo eucaristico di Lanciano pur risalente all’VIII secolo, non si poneva il problema che laddove anche le apparenze accidentali del pane e del vino mutassero durante la consacrazione, e non solo la sostanza, i fedeli dovrebbero assumere – con quale difficoltà tutti possono immaginarlo – carne e sangue visibili e percepibili ai loro sensi. Come appunto tali, ossia percepibili e visibili ai sensi, sono la vera carne ed il vero sangue del miracolo lancianese.
Berengario, come più tardi Lutero, dimenticava la gentilezza e la cortesia amorevole del Signore nei nostri confronti. Non solo, egli, Berengario, si poneva la medesima stupida domanda che più tardi si posero molti “riformatori”: se il Corpo del Signore è in Cielo come potrebbe essere presente in tutte le ostie consacrate e come potrebbe rientrare completamente anche in una sola ostia che per dimensioni sarebbe incapace di contenere l’intero corpo di un uomo? Domanda che dimostra soltanto una assoluta chiusura del cuore all’evidenza metafisica e mistica. Perché il povero Berengario neanche sospettava – e sì che in quanto vescovo avrebbe dovuto saperlo se non altro perché questa verità era già presente negli scritti dei Padri e nella venerata Tradizione apostolica – che la sostanza della particola consacrata si trasforma nel Cuore di Cristo. Il cuore, quello fisico, come attestato dalla Tradizione biblica (ma anche presso tutte le tradizioni extrabramitiche), è il Centro Spirituale della persona, è il luogo della Presenza di Dio nell’uomo. Dal cuore, che è sede della coscienza e dell’io, si dipartono tutti i moti non solo psichici ma anche spirituali.
Il Cuore di Cristo è ipostaticamente e sostanzialmente unito al Verbo di Dio e quindi alla Natura Divina della Seconda Persona della Santissima Trinità. Questo Sacro Cuore, all’atto della consacrazione, è “riprodotto realmente” – copia reale dell’Unico Archetipo al quale essa partecipa – in ciascuna particola sicché tra le miriade di particole e l’unico Cuore di Cristo sussiste lo stesso rapporto che sussiste, nei termini della metafisica classica, tra il molteplice e l’Uno. Dove l’autenticità, la realtà e la verità del molteplice, dunque il suo essere vero, si fondano sulla partecipazione ontologica all’Uno, che è l’Autentico, il Reale e la Verità. Berengario dimenticava anche che se è vero che Cristo Risorto ha un corpo glorioso ed incorruttibile, quindi non soggetto di per sé alla sofferenza, tuttavia continua a patire le sofferenze della Croce in nostro favore, come testimoniano molti mistici associati, nella stigmatizzazione, alle Piaghe di Cristo. Sicché nell’Eucarestia il Cuore di Gesù che si fa presente è anche Cuore Sofferente.
Condannato da diversi concili – Roma nel 1050, nel 1059, nel 1078, nel 1079; Vercelli nel 1050; Poitiers nel 1074 – Berengario tentò una parziale marcia indietro parlando di “impanazione”: il pane resterebbe tale ma al tempo stesso “coinciderebbe” con il Corpo del Signore. Ma come si vede anche in tal modo si resta nell’alveo, poi ripreso da Lutero, della mera consustanziazione.
La risposta, in termini metafisici, al problema posto da Berengario venne due secoli dopo da Tommaso d’Aquino il quale obiettò a Berengario – nonostante anch’egli, il vescovo dubbioso, usasse la filosofia aristotelica per quel poco che se ne conosceva ai suoi tempi – di aver trascurato che, proprio su una base aristotelica, i nostri sensi non possono comprendere direttamente l’essenza delle cose ma solo le loro apparenze accidentali. Nella Summa Theologiae III q. 75 a. 5 ad 2, l’Aquinate scrive : «In questo sacramento (l’Eucarestia), non c’è alcun inganno. Infatti gli accidenti che sono percepiti dai sensi ci sono veramente, mentre l’intelletto, che ha per oggetto la sostanza, viene preservato dal cadere in inganno dalla fede». Affermare che i sensi possono arrivare alla sostanza, alla quale invece può giungere soltanto l’intelletto, significa negare ogni differenza tra sostanza ed accidenti. Ed è stato questo, per Tommaso, l’errore di Berengario.
EUCARESTIA:TRANSUSTANZIAZIONE,TRASMUTAZIONE,CONSUSTANZIAZIONE, SIMBOLIZZAZIONE O NEGAZIONE?
Ripetiamo: gli esegeti cattolici filo-luterani dimenticano che la negazione della transustanziazione è, in realtà, negazione della carne che lascia intravvedere sullo sfondo, sottintesa, la negazione della stessa Incarnazione. E’ necessario, per meglio comprendere la drammatica lacerazione luterana nella questione eucaristica, ripercorrere, brevemente, la sua storia teologica.
Per la Chiesa antica, fondata sul credo apostolico, ancora indivisa, le parole di Gesù «Questo è il mio corpo» e «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue» (Lc 22,19-20) hanno sempre indicato la trasformazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. La Chiesa ortodossa non ha mai tentato una spiegazione filosofica della trasformazione. L’Ortodossia non utilizza il termine transustanziazione ma quello di trasmutazione. Il termine “transustanziazione” non è tuttavia rifiutato dalla Chiesa ortodossa per la quale la spiegazione transustanziale del mistero eucaristico è assolutamente legittima, anche se i teologi ortodossi ritengono che essa resti un po’ troppo legata all’accettazione della filosofia aristotelica che ne sta alla base. Pertanto, nell’Ortodossia il termine “transustanziazione”, usato nel corso dei secoli anche nella Chiesa ortodossa (per esempio, nel Concilio di Gerusalemme del 1672 e tuttora in diversi catechismi ed opere teologiche), è ammesso ma sempre subordinatamente al fatto che esso sia soltanto una delle molte modalità di descrizione del mistero eucaristico.
Teologicamente, però, nulla cambia rispetto all’approccio cattolico. Qualche differenza sussiste solo circa il momento liturgico nel quale la trasformazione avviene. Per la liturgia cattolica, infatti, la transustanziazione avviene con la ripetizione da parte del sacerdote, “in persona Christi”, delle parole di Cristo all’Ultima Cena. Per la liturgia ortodossa la trasmutazione interviene nel momento conclusivo del canone eucaristico ovvero con l’epiclesi o invocazione allo Spirito Santo. Ma a ben vedere l’epiclesi non è mai mancata nella liturgia cattolica, sia quella preconciliare sia quella conciliare, e si identifica con la preghiera rivolta al Padre affinché mandi lo Spirito Santo a santificare i doni eucaristici.
La trasformazione eucaristica del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo è dunque un dato di fede sin dall’origine sempre affermato dalla Chiesa apostolica. Nell’ambito della ininterrotta continuazione cattolica della Chiesa apostolica, questo dato di fede ha trovato la sua attuale formulazione teologica e dogmatica nel corso del medioevo. Fu allora che i teologi scolastici, sotto l’influsso di Aristotele, secondo il quale le cose sono costituite di accidenti (colore, sapore, odore) percepibili dai sensi e di sostanza, cioè la loro realtà essenziale, svilupparono la teologia dell’eucaristica nella forma della “transustanziazione” che tuttora è quella accolta dal Cattolicesimo: la sostanza del pane eucaristico viene interamente trasformata nel Corpo di Cristo benché gli accidenti del pane restino immutati. Il Concilio di Trento, nel XVI secolo, contro i protestanti, ha riaffermato il dogma della trasformazione eucaristica, e quindi della Presenza Reale di Cristo, pur senza al contempo dogmatizzare la filosofia usata dalla teologia del tempo. Anche se la spiegazione secondo la forma filosofica della transustanziazione fu confermata come valida e coerente con il dogma. La transustanziazione, ossia la trasformazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, in altri termini, è dogma anche senza necessità di ricorrere alla filosofia scolastico-aristotelica, che tuttavia resta la migliore allo scopo di tentare di darne una spiegazione razionale.
E’ importante sottolineare che è possibile confermare la fede nella transustanziazione anche indipendentemente dalla filosofia che ne è alla base. Dalle attuali conoscenze della fisica subatomica, ad esempio, sappiamo oggi che la materia può trasformarsi in energia, e viceversa, sicché il dogma e la realtà del mistero eucaristico, come formulate nella “transustanziazione”, ne restano più che mai confortati anche senza quella filosofia.
La fede nella transustanziazione, ribadita nel Tridentino, è stata confermata anche dopo il Concilio Vaticano II da Papa Paolo VI, il quale, nel “Credo del popolo di Dio”, una pubblica e solenne professione di fede pronunciata il 30 giugno 1968 per porre un chiaro ed indiscutibile argine all’anarchia teologica post-conciliare, sentenziò con pieno valore magisteriale: «Noi crediamo che la Messa, celebrata dal sacerdote che rappresenta la persona di Cristo in virtù del potere ricevuto nel sacramento dell’Ordine, e da lui offerta nel nome di Cristo e dei membri del suo Corpo mistico, è il Sacrificio del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari. Noi crediamo che, come il pane e il vino consacrati dal Signore nell’Ultima Cena sono stati convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue che di lì a poco sarebbero stati offerti per noi sulla Croce, allo stesso modo il pane e il vino consacrati dal sacerdote sono convertiti nel Corpo e nel Sangue di Cristo gloriosamente regnante nel Cielo; e crediamo che la misteriosa presenza del Signore, sotto quello che continua ad apparire come prima ai nostri sensi, è una presenza vera, reale e sostanziale. Pertanto Cristo non può essere presente in questo Sacramento se non mediante la conversione nel suo Corpo della realtà stessa del pane e mediante la conversione nel suo Sangue della realtà stessa del vino, mentre rimangono immutate soltanto le proprietà del pane e del vino percepite dai nostri sensi. Tale conversione misteriosa è chiamata dalla Chiesa, in maniera assai appropriata, transustanziazione. Ogni spiegazione teologica, che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù a essere realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino, proprio come il Signore ha voluto, per donarsi a noi in nutrimento e per associarci all’unità del suo Corpo mistico. L’unica e indivisibile esistenza del Signore glorioso nel Cielo non è moltiplicata, ma è resa presente dal Sacramento nei numerosi luoghi della terra dove si celebra la Messa. Dopo il Sacrificio, tale esistenza rimane presente nel Santo Sacramento, che è, nel tabernacolo, il cuore vivente di ciascuna delle nostre chiese. Ed è per noi un dovere dolcissimo onorare e adorare nell’Ostia santa, che vedono i nostri occhi, il Verbo Incarnato, che essi non possono vedere e che, senza lasciare il Cielo, si è reso presente dinanzi a noi».
Con il protestantesimo, nel XVI secolo, sopraggiunge una evidente rottura della continuità apostolica che comportò anche il rifiuto della Presenza Reale di Cristo nell’Eucarestia. In Lutero è presente l’idea della “consustanziazione” ma essa è cosa molto diversa dalla transustanziazione. La consustanziazione sostiene che il pane e il vino mantengano la loro natura fisica e ciononostante esprimerebbero, per una sorta di “coincidenza spirituale”, il corpo e del sangue di Cristo, laddove, invece, la transustanziazione afferma la reale conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue. Nell’accezione consustanziale, dunque, la presenza di Cristo non comporta alcuna trasformazione sostanziale del pane e del vino. Cristo sarebbe presente “insieme” al pane ed al vino che restano tali.
Qui è evidente, a chi ha occhi per vedere, che questa posizione sconta tutta la deriva verso l’apofatismo radicale che è alla radice della equivoca teologia luterana. Perché nell’idea consustanziale la “presenza” di Cristo è concepita soltanto come una presenza “spirituale”, e non anche “carnale”, giacché, senza trasmutazione sostanziale del pane e del vino, la corporeità di Cristo non potrebbe mai entrare nel mondo e, pertanto, mai potrebbe toccarci. Zwingli fu ancora più radicale di Lutero nel negare qualsiasi legame reale tra pane e vino e Corpo e Sangue di Cristo. La presenza di Cristo, che già Lutero aveva “spiritualizzato”, in Zwingli diventa addirittura esclusivamente “ideale” e la “cena” ne ricorderebbe solo le parole ed i gesti. Calvino, che insieme a Zwingli fu protagonista della Riforma elvetica, tentò di mediare tra Lutero e Zwingli, ipotizzando una “presenza dinamica” che però viene intesa sempre come presenza soltanto “simbolica” di Cristo legata alla sua forza spirituale che è effusa dal suo Corpo in cielo sulle anime dei partecipanti all’“assemblea eucaristica”. Come si vede, tuttavia, sia in Lutero che in Zwingli e Calvino sussiste, più o meno marcata e lacerante, la negazione della Presenza Reale, concreta, corporea, di Cristo. La Chiesa anglicana, dal canto suo, rompendo scismaticamente con Roma ed al contempo conservando qualcosa del Cattolicesimo, affermò la presenza reale di Cristo, senza però specificarne il modo.
EUCARESTIA: QUEL CHE LUTERO NON HA CAPITO
Lutero, dunque, affermava che nell’Eucarestia il Corpo ed il Sangue di Cristo sarebbero soltanto “consustanziali” ovvero presenti senza alcuna trasformazione della sostanza del pane e del vino che resterebbero tali. In questo egli riprendeva, come si è visto, le posizioni già condannate di Berengario di Tours. Ma, come si è detto, la consustanzialità riduce, giocoforza, la presenza di Cristo ad una mera presenza spirituale dato che Corpo e Sangue del Signore, se fossero soltanto “idealmente o spiritualmente compresenti”, non toccherebbero affatto il mondo materiale, il quale, pertanto, resterebbe del tutto al di fuori dell’azione trasformatrice di Dio. Ripetiamo: qui è evidente la difficoltà “gnostica” di Lutero a guardare alla materia come a bontà ontologica e quindi la sua difficoltà, da Theobald Beer messa in evidenza studiando gli errori della sua cristologia semi-ariana, a pensare alla Divinità che si fa realmente carne. Alla fine la consustanziazione, negando la trasformazione della sostanza del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue del Redentore, non può che portare all’idealizzazione, alla spiritualizzazione, alla “simbolizzazione”, della Presenza di Cristo. In tal senso essa, la consustanziazione, è sintomo evidente di un approccio che nasconde una chiara difficoltà con il dogma cristologico dell’unione ipostatica tra Divinità ed Umanità nonché una teologia fondata sull’affermazione di una scissione tra la due nature della Seconda Persona della Santissima Trinità. Infatti, negare la trasformazione della sostanza comporta, inevitabilmente, la negazione della possibilità stessa che Cristo sia realmente presente nell’Eucarestia e quindi che Lui entri in quotidiano contatto storico, attuale, temporale, con noi, proprio perché, con eco dell’antico orrore gnostico verso la carne, si afferma un rifiuto dell’Umanazione del Verbo, al quale l’umanità sarebbe, come ha sottolineato il Beer, soltanto “aggiunta” per accidente e non ipostaticamente.
Se la particola, mediante la trasformazione, non divenisse sostanzialmente “riproduzione reale” dell’Unico Cuore Misericordioso e Sofferente di Cristo (23) – usando una terminologia platonica si potrebbe perfino dire “copia” ma aggiungendo subito l’aggettivo “reale” onde fugare l’impressione che il molteplice partecipante all’Archetipo sia solo ombra e non abbia, benché per partecipazione, consistenza ontologica reale, non abbia essere – non sarebbe possibile l’unione “ordinaria” del nostro cuore al Suo Cuore Infiammato d’Amore per noi e quindi la nostra incorporazione/trasfigurazione in Lui (l’unione mistica, quella “straordinaria”, non nega ma soltanto va oltre quella “ordinaria” sicché anche i mistici hanno bisogno di comunicarsi eucaristicamente e di essere sottomessi alla disciplina ecclesiale).
L’Eucarestia è la comunione con Dio nella Persona Divino-Umana di Gesù Cristo, morto e risorto, presente e vivo nei Suoi doni e nel Suo Regno, preparato per noi. In senso ontologico e dogmatico l’Eucarestia consente la nostra partecipazione alla Natura Divina (cfr. 2 Pt 1,4) e fonda orizzontalmente la comunione liturgica fra le persone che è l’attualizzazione della Chiesa come Corpo Mistico di Cristo.
«In quanto a noi, il nostro pensiero si accorda con l’Eucarestia – ha scritto San Ireneo di Lione nel suo trattato “Contro le Eresie” – e l’Eucarestia in cambio conferma il nostro pensiero. Noi offriamo a Dio ciò che è Suo, proclamando la comunione e l’unione della carne e dello Spirito poiché come il pane che viene dalla terra, dopo aver ricevuto l’invocazione a Dio, non è più pane ordinario, ma Eucarestia, così i nostri corpi che partecipano dell’Eucarestia non sono più corruttibili, perché hanno la speranza della risurrezione».
La Resurrezione è nel Mistero Eucaristico ed è Vita della Chiesa, anche se questo centro non è sempre visibile. Quel che accade nell’Eucarestia è, infatti, l’unione tra Dio e ciascun uomo, tra Divinità ed umanità, resa possibile dall’unione ipostatica del Cuore di Cristo sostanzialmente unito al Verbo di Dio, come recitano le Litanie al Sacro Cuore di Gesù, sicché, mediante l’assunzione della particola transustanziata, il cuore dell’uomo entra in comunione reale con il Cuore di Dio o, se si vuole, il Cuore di Dio prende reale possesso del cuore dell’uomo, ed in questo modo la nostra umanità si ricongiunge alla Sua Divinità. La particola, poi, “Copia Reale e Viva” dell’Unico Cuore del Verbo di Dio, lungi dall’essere “digerita” per le normali vie naturali, viene assorbita dal nostro corpo mortale preparandolo alla glorificazione futura, immettendo cioè in esso il germe della futura resurrezione trasfigurante. Nell’Oriente cristiano, in proposito, si dice che l’Eucarestia e “farmaco dell’immortalità e dell’incorruttibilità dei corpi”. Ma su questo aspetto torneremo successivamente.
Negare la Presenza Reale di Cristo nell’Eucarestia è un tentativo di colpire alla radice il Cristianesimo e di chiudere all’uomo la Porta del Cielo e quindi la salvezza. Ed è esattamente quel che hanno fatto Lutero, Zwingli e Calvino.
La teologia luterana della consustanziazione, affermando che la particola non è trasformata realmente nel Cuore di Cristo, il quale sarebbe soltanto “spiritualmente compresente”, quindi “lontano”, non può spiegare la Sua Presenza reale dal momento che tra il Cuore di Cristo Risorto, che è nella Gloria, ed il mondo non vi sarebbe alcuna, partecipata, mediazione materiale. Melantone, infatti, come si è già osservato, non ha fatto altro che portare alle sue inevitabili conseguenze l’erronea spiegazione di Lutero fino a idealizzare e spiritualizzare del tutto la “compresenza” riducendo la Messa ad un mero memoriale, una cena “conviviale e fraterna”, spogliandola di ogni mistero e significato sacrificale. Ma le responsabilità di Lutero nell’aprire la strada, poi percorsa da Melantone, sono chiare e non si può, pur ricordando doverosamente i precisi contorni teologici delle tesi eucaristiche luterane, ridurne la responsabilità.
PLATONE? QUALE PLATONE?
Una prima conseguenza della posizione sottilmente “anti-carnale” di Lutero si manifestò subito nella svalutazione di Maria quale Madre Immacolata di Dio. Non è dunque stato un caso se, come annota il Beer, Lutero usa nei confronti di Cristo espressioni (addictus) che evidenziano una concezione non ipostatica della Divino-Umanità ma solo “funzionale”, strumentale. Come già osservato, in Lutero riemergono antiche, conflittuali e contrapposte eresie, come l’arianesimo ed il monofisismo, proprio perché la sua teologia assolutamente apofatica, per la quale la creazione è nulla rispetto al Deus absconditus, spezza l’analogia tra Dio e l’uomo. Nessuna bontà del creato e, quindi, svalutazione completa dell’uomo totalmente corrotto dal peccato e, secondo schemi neoplatonici, necessità della “nientificazione” della creazione e dell’uomo nel “Nulla” originario. Potremmo persino affermare, in una prospettiva di lungo periodo, che Heidegger è, in tal senso, dipendente da Lutero.
Come abbiamo già visto Lutero non si spiega senza l’influsso che su di lui ebbe, mediante l’ermetismo, la rinascente filosofia neoplatonica. Un Platone, però, non più filtrato al modo dei Padri della Chiesa. Non più, pertanto, il “Plato christianus” ma un Platone che, all’alba della modernità, anche grazie ai riscoperti studi di filologia (ma ridurre il contenuto attuale o anche solo potenziale del pensiero di un filosofo alla sola, pur necessaria, filologia significa impedirsene la più ampia comprensione ed impedire qualsiasi successivo sviluppo, o aggiustamento, del suo pensiero), veniva riportato al “Plato anti-christianus” del neoplatonismo antico.
I Padri della Chiesa si erano sforzati di sottolineare quanto di provvidenziale, nella prospettiva della preparazione delle genti al Vangelo, vi fosse nella ricerca della Verità da parte dei filosofi ellenici, Platone in primis (più tardi la riflessione teologica e filosofica medioevale aggiunse anche Aristotile). Per questo i Padri parlavano di “Plato christianus” in polemica con il “Platone anti-christianus” dei neoplatonici, da Plotino a Proclo. Infatti la ricerca della Verità da parte dei filosofi pagani già presupponeva il Logos, la Ratio, ma mancava, senza la Rivelazione, la connessione con la Trascendenza e la Santità di Dio. In altri termini, Atene senza Gerusalemme non poteva andare oltre quanto meritoriamente i filosofi pagani avevano raggiunto mediante la ragione naturale aperta alla metafisica. I cristiani – san Paolo e san Giovanni Evangelista sono in questo esemplari – riconobbero nel Logos ellenistico l’espressione del Verbo Incarnato, del Logos del Dio di Israele fattosi Uomo Perfetto: «En archè en o lògos kài o lògos en pros ton theòn, kài theòs en o lògos» scrive Giovanni nell’incipit del suo Vangelo direttamente chiamando in causa il “Berescit” del Genesi. Ἐν ἀρχῇ (En arché) infatti traduce l’ebraico בראשׁית, (Berescit). Il Logos, per i teologi cristiani, nel loro sforzo di pensare la fede, diventò costante individuazione dell’indispensabile nesso di equilibrio tra Fides et Ratio. Nella lectio magistralis, del 2006, a Ratisbona – senza che nel clamore mediatico, suscitato da quel discorso per via dell’accidentale riferimento ad una marginale citazione dell’imperatore Manuele Paleologo su Maometto, la cosa fosse messa doverosamente in evidenza dai media – Papa Benedetto XVI indicò nella rottura luterana tra fede e ragione il momento di nascita dell’Occidente moderno dissoltosi nella continua dialettica tra fideismo e razionalismo. Lutero, infatti, non era affatto un “moderno razionalista” perché egli, influenzato da Reichlin, proprio in polemica con Agostino e con Tommaso d’Aquino, avversava la ragione, da lui definita “figlia del demonio”. Lutero era dipendente dalla riemergente cultura ermetico-neoplatonica dell’umanesimo rinascimentale e potrebbe definirsi “razionalista” solo nella misura in cui dietro il razionalismo si può scorgere un apofatismo panteistico che assorbe in un indifferenziato ed olistico “spirito/ragione” la realtà fenomenica.
IL PROBLEMA DEL “RESIDUUM STERCORARIUM”
Abbiamo detto che la particola transustanziata, in “Copia Reale e Viva” dell’Unico Cuore del Verbo di Dio, non viene “digerita”, e quindi eietta per le normali vie naturali, ma che essa viene assorbita dal nostro corpo mortale e vi immette il germe della futura resurrezione trasfigurante. E’ importante comprendere questo perché su tale problema si arrovellò il pensiero teologico sin dai primi secoli nella misura in cui esso ancora non aveva compreso in pieno la realtà del mistero eucaristico e perché l’incomprensione, anche teologica, del mistero eucaristico ha portato, nel corso dei secoli, a veri e propri fraintendimenti come quello che generò l’accusa pagana rivolta ai primi cristiani di fare sacrifici umani e di cibarsi di carne umana. Accusa, successivamente, ripresa dalla propaganda giacobina quando descriveva l’Eucarestia come un atto di cannibalismo.
Quello teologico è un work in progress che ha spesso bisogno dell’apporto della mistica per meglio avvicinarsi, nella fedeltà al dogma ed alla Tradizione, alla Realtà Ultima. Il tema del cosiddetto “residuum stercorarium” delle specie eucaristiche, a ben vedere, era stato già implicitamente risolto dalla patristica. Ma proprio perché l’implicito non era stato ancora adeguatamente esplicitato (24), ed era stato lasciato non chiaramente definito, il dibattito, in proposito, riprese, in particolare nel XIII secolo, un secolo molto eucaristico nel quale si riaccese, per influsso della mistica, una forte devozione per l’Eucarestia, per essere poi risolto dogmaticamente con il Tridentino.
Lutero approfittò di questo dibattito per tentare di accreditare la sua teologia della consustanziazione. Perché, egli sosteneva, se la Presenza di Cristo fosse solo spirituale, consustanziale, ed il pane ed il vino rimanessero quali essi sono, non ci sarebbe alcuno problema nell’eiezione di ciò che in fondo è solo residuo di pane e di vino e non certo del Corpo di Cristo. Ma, come è evidente, tale presunta soluzione annienta la Presenza Reale di Cristo e dunque la possibilità stessa che Essa tocchi la materia. Ancora una volta in Lutero scattava l’orrore gnostico per la carne che lo induceva a credere che se si mantiene il Verbo di Dio immune dalla contaminazione con la materia – e cosa c’è di più impuro della “digestione” e conseguente “eiezione” di Dio – se ne esalterebbe la Dignità. Lutero cercò di far leva sul problema del “residuum stercorarium” per tentare lo scardinamento della realtà sacramentale dell’Eucarestia, anziché operare per un approfondimento che, invece, lo avrebbe portato, come è accaduto per via diversa da quella teologica ai mistici, a comprendere l’inesistenza del problema stesso dal momento che, nell’Eucarestia, non siamo noi a trasformare nella nostra carne il Corpo di Cristo ma è invece Lui a trasformarci nel Suo Corpo. In altri termini non noi trasformiamo Lui in noi ma è Lui che ci trasforma in Lui.
Il mistero di quel che accade nell’Eucarestia sta in questo ossia che quando ci “nutriamo” di essa, mediante la particola transustanziata, si realizza l’unione mistica del Sacro Cuore di Cristo con il cuore umano. Unione che ci “incorpora” in Lui e che trasforma la nostra stessa carne nella prospettiva futura della glorificazione del nostro corpo. “Farmaco dell’immortalità ed incorruttibilità futura dei nostri corpi” è stata definita l’Eucarestia sia nell’Oriente cristiano sia da diversi mistici latini. Sicché un problema come quello dell’evacuazione dei residui della digestione è assolutamente inesistente per quanto riguarda l’Eucarestia. Ci sono mistici che si sono nutriti, per decenni, di sola Eucarestia senza mangiare altro, con la conseguenza che essi non svolgevano neanche altre funzioni digestive o eiettive. Teresa Neumann, ad esempio (25).
Il fatto è che c’è un livello del Reale che va oltre le dispute teologiche e le problematiche storiche. Frequentando, ogni tanto, non solo i teologi e gli storici, accreditati o meno, ma anche i mistici che l’esperienza di certe realtà l’hanno fatta e cercano, come possono, di comunicarcene qualcosa, è possibile ricavarne una comprensione, sebbene adattata alla nostra limitata intelligenza, della realtà misteriosa dell’Eucarestia. Ora laddove si pretende, senza cercare il livello superiore di questa realtà, di “catturare” il mistero con mezzi inappropriati, ogni comprensione, anche limitata, resta preclusa. Secondo l’aneddoto, che però rende bene l’idea, l’angelo, in forma di bambino, prese in giro sulla spiaggia sant’Agostino che gli diceva essere impossibile mettere il mare nella buca prendendo l’acqua con il secchiello. L’angelo rispose al santo, in quel periodo impegnato in elaborate spiegazioni filosofiche circa i misteri della fede, che era analogamente impossibile rinchiudere il Mistero nei nostri poveri schemi razionali. Perché il mistero li supera infinitamente mentre la ragione acquista dignità solo laddove umilmente accetta i suoi limiti e si accontenta di quanto essa può comprendere, lasciando allo Spirito, unito alla Trascendenza, ogni successivo passo verso la conoscenza dei livelli ulteriori del Reale.
Apparendo, nel 1973, ad Akita, in Giappone, a suor Agnese Katsuko Sasagawa, scelta evidentemente non a caso perché suora dell’ordine delle “Serve dell’Eucarestia”, la Santissima Vergine Maria ha ispirato alla veggente la seguente preghiera eucaristica che è significativa anche allo scopo di comprendere il senso autentico della transustanziazione quale “trasformazione del pane e del vino nel Sacro Cuore e nel Sangue di Cristo”, nonostante che le apparenze rimangano tali: «Sacratissimo Cuore di Gesù, realmente presente nella Santa Eucarestia, io consacro il mio corpo e la mia anima per essere interamente uniti con il Tuo Cuore che viene sacrificato in ogni istante in tutti gli altari del mondo, dando lode al Padre e invocando la venuta del Suo Regno. Ti prego, ricevi l’umile offerta di me stessa. Usami come desideri per la gloria del Padre e per la salvezza delle anime. Santissima Madre di Dio, non farmi essere separata dal tuo Divino Figlio. Ti prego, difendimi e proteggimi come tua figlia particolare. Amen».
L’Incarnazione, spesso questo non è messo ben in evidenza dai teologi, è avvenuta, per opera dello Spirito Santo, nel Cuore Immacolato di Maria. E’ nel Cuore della Santissima Vergine che il Verbo si è fatto carne, si è fatto uomo, ha assunto la Natura umana. Possiamo affermare questo non solo per alcune rivelazioni private ma soprattutto ponendo attenzione al senso profondo delle parole della preghiera più cara a Maria, che insieme al Padre Nostro è la preghiera più antica, originaria, tra i cristiani, almeno la sua prima parte, ossia l’Ave Maria. Laddove, infatti, si recita « … Benedetto è il Frutto del tuo seno, Gesù» si sta chiaramente indicando il Cuore – il “seno” – di Maria come il luogo immacolato dell’Incarnazione del Verbo di Dio, che la Madonna ha poi portato in grembo per i nove mesi della gestazione.
La preghiera conclusiva della coroncina della Divina Misericordia – rivelata da Cristo in Persona a suor Faustina Kowalska, mistica polacca della prima metà del XX secolo – nel ricordo del Colpo di Lancia sul Golgota, suona significativamente così: «O Sangue ed Acqua che scaturisci dal Cuore trafitto di Gesù, confido in Te». L’Effusione dal Costato, dal Cuore, trafitto di Gesù dell’Acqua e del Sangue è l’effusione, sul mondo, dello Spirito Santo vivificatore e salvatore, che comunica all’umanità la stessa Natura Divina della SS.ma Trinità. Ecco perché, in quell’Effusione, sta la manifestazione più grande della Misericordia di Dio, che supera senza negarla la Sua Giustizia la quale pure resta e deve essere soddisfatta. L’uomo non può soddisfarla perché il debito da pagare va oltre ogni possibilità umana e solo Dio stesso può ripagarlo. Come Gesù stesso ha detto a suor Faustina, chi non vuole passare per la porta della Misericordia, ora aperta dal Suo Sacrificio sulla Croce, deve poi passare per quella, ben più dura, della Sua Giustizia. Il Colpo di Lancia ha reso possibile l’apertura del Cuore di Dio e l’abbondanza della Misericordia Divina ha così potuto riversarsi sull’umanità debitrice per il peccato perché l’Amore ferito, offeso, del Padre è stato “risarcito” – la Sua Giustizia è stata soddisfatta – dalla Passione di Cristo che ha pagato il debito per tutti noi o almeno per quelli che vogliono aderire a Lui congiungendo eucaristicamente il proprio cuore al Sacro Cuore di Gesù e, per Suo tramite, per il tramite del Suo Cuore sostanzialmente unito al Verbo di Dio, alla Natura Divina.
L’Eucarestia è squisitamente kenotica perché, come ha ricordato Papa Benedetto XVI a Colonia nel discorso alla Gmg 2005, Essa esprime l’«Inconcepibile grandezza di un Dio che si è abbassato fino al punto di mostrarsi nella mangiatoia e darsi come cibo sull’altare».
Il Dio cristiano è un Dio vicino all’uomo con l’Incarnazione e l’Eucarestia. Se nella tradizione gnostica il divino è impersonale, il Cristianesimo afferma la “materialità” di Dio. La conversione alla fede cristiana avviene sempre come un incontro con la Persona di Cristo, cioè con una Intelligenza infinita che si è fatta spirito, anima e carne umana. Come, nella sua prima enciclica, scrive ancora Benedetto XVI: «Dio voleva che non lo intuissimo da lontano, solo attraverso la fisica e la matematica. Si voleva mostrare a noi». Non solo come Dio quale Ragione suprema ma anche come Dio Amore Eterno, che ha un Cuore e che rinuncia, kenoticamente, alla sua immensità, pur senza spogliarsi di essa, per farsi carne, per umanarsi. Il Dio cristiano non aspetta che l’uomo compia la sua salita verso di Lui – anche perché l’uomo, con le sue sole forze, potrà salire solo fino ad un certo, modesto, punto, non arrivare alla Vetta – ma anticipa e rende possibile ogni iniziativa dell’uomo ed ogni sua ascesa. Perché prima che l’uomo si volga a Lui, Dio stesso scende verso l’uomo. Dio si china verso l’uomo sia al momento della creazione sia al momento dell’Incarnazione, fino alla “pazzia” della morte per Amore sulla Croce. Ma, Risorto, Egli non abbandona il mondo perché continua a governarlo con la Sua Provvidenza e soprattutto ad esservi presente nell’Eucarestia.
Luigi Copertino
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NOTE
23) Maurizio Blondet è autore di una indagine circa un miracolo eucaristico, avvenuto in Argentina. In realtà si tratta di ben tre miracoli eucaristici avvenuti negli anni ’90 del secolo scorso. Per quello più eclatante si è proceduto ad accurate analisi scientifiche. La particola trasformata anche visibilmente, ossia anche nelle apparenze, negli accidenti, è stata consegnata ad un laboratorio per un esame scientifico senza rivelarne la provenienza né che si trattava di una particola consacrata. L’esame diede come risultato che si trattava di un cuore umano. Un Cuore umano vivo! Ma quel che è stato più sorprendente è che gli scienziati, che hanno effettuato l’analisi istologica, sono rimasti sconvolti perché è risultato che quel cuore non solo era vivo ma presentava tutti i segni biologici dello stress cardiaco – della sofferenza – che caratterizzano il cuore di una persona sottoposta ad indicibile martirio. Si veda in proposito Maurizio Blondet “Un Cuore per la Vita Eterna – quando le parole diventano carne e sangue”, Effedieffe, Viterbo, 2104.
24) Anche la verità di fede dell’Immacolata Concezione di Maria era implicita sin dall’origine e come tale assunta dai Padri, dai teologi e dal popolo cristiano, tuttavia, proprio perché l’implicito non aveva trovato ancora adeguata ed esplicita formulazione, il dibattito teologico sull’Immacolata Concezione ogni tanto si riaccendeva. Gradi santi come Bernardo di Chiaravalle, pur non dubitando dell’eccellenza di Maria, ebbero qualche difficoltà teologica nella comprensione e definizione di un tale altissimo mistero. Fino a quando, Pio IX, nel 1854, definì dogmaticamente quanto era già implicito nella Regola Fidei di sempre. Ed a tanto si poté giungere anche perché, nel corso dei secoli, il Cielo ha confermato, per via mistica, quella verità.
25) «Nel 1939, subito dopo l’inizio della seconda guerra mondiale – scrive il cardinale Angelo Comastri, arcivescovo delegato pontificio del Santuario di Loreto, nella sua opera “Eucarestia. Solo per amore”, Editrice Tau, 2005, pp. 28-29 –, a tutti i tedeschi fu distribuita una tessera annonaria: e il razionamento del cibo durò in Germania fino al 1948! In quei nove anni, un solo cittadino – anzi una cittadina – non ebbe il diritto a quella tessera: le era stata ritirata subito con la motivazione ufficiale che non ne aveva bisogno, visto che non mangiava e non beveva nulla. Così anche la pesante burocrazia del Terzo Reich nazista rendeva testimonianza, suo malgrado, della verità di uno dei casi più clamorosi della storia: il caso di Teresa Neumann di Konnersreuth (Germania), che per trentasei anni ininterrotti si è nutrita soltanto di Eucarestia: e ogni settimana, dalla notte del giovedì sino al mattino della Domenica, riviveva nella sua carne tutto il mistero della Passione-Morte-Risurrezione di Gesù. Teresa Neumann è morta nel 1962, a sessantaquattro anni. Era nata nel 1898 e, all’età di vent’anni, si procurò una lesione alla spina dorsale mentre correva in soccorso dei vicini ai quali si era incendiata la cascina. Ne ricavò prima una paralisi alle gambe e poi, per un’altra rovinosa caduta, anche la cecità totale. Il padre, tornato dal fronte nel 1919, le portò dalla Francia una immaginetta di una giovane carmelitana non ancora conosciuta in Germania: si chiamava suor Teresa di Lisieux! Teresa Neumann cominciò a pregarla e il 29 aprile del 1923, giorno della beatificazione della piccola carmelitana francese, ella riacquistò la vista. Due anni dopo, il 17 maggio 1925, mentre Pio XI a Roma dichiarava Santa la carmelitana di Lisieux, Teresa Neumann ritrovò l’uso perfetto delle gambe. Un anno dopo, nel periodo pasquale, la giovane contadina tedesca scopriva che nelle sue mani, nei piedi, nel costato e anche sul capo le erano apparsi i segni della Passione di Gesù: da allora, per trentasei anni, nella notte di ogni giovedì entrava letteralmente nei racconti evangelici a partire dall’Ultima Cena; e, come in tempo reale, accompagnava Gesù sino alla morte nel primo pomeriggio del venerdì, mentre le ferite si aprivano nel suo corpo e sanguinavano copiosamente; alle ore 15,00 del venerdì cadeva in un sonno profondo dal quale si risvegliava gioiosa, con le ferite richiuse, il mattino della Domenica. Da quando cominciarono questi fenomeni, Teresa Neumann per trentasei anni non mangiò né bevve nulla, assumendo soltanto ogni mattina la Santa Comunione. I medici invitati per controllarla, giorno e notte, partivano dallo scetticismo per approdare a clamorose conversioni di fronte alla stupefacente e inimmaginabile verità: Teresa si nutriva soltanto di Eucarestia! La sua vita è stata un messaggio rivolto a noi cristiani scandalosamente indifferenti di fronte al dono dell’Eucarestia».