Ha ancora una volta ragione Philippe Grasset, di Dedefensa: la mega-implosione della Borsa cinese, la crisi greca (d’Europa), le ore di oscuramento elettronico di Wall Street non sono eventi separati, sfortunate coincidenze. Sono manifestazioni del medesimo Grande Collasso del Sistema; quello iniziato nel 2007-2008, mai cessato da allora – e se c’è una novità, è la sua entrata in fase di accelerazione, per cui occorre una nuova espressione: “turbine di crisi” che tutto trascina con sé. Nell’autodistruzione totalitaria a cui s’è votato il capitalismo terminale.
Dico questo perché vedo, nei blog economico-finanziari, derisioni per per il (del resto patetico) interventismo del governo (“comunista”) cinese sul “mercato di Shanghai”, insieme ad accuse generali contro un preteso “keynesismo delle banche centrali”, che distorcono i medesimi “mercati” con i QE e la repressione dei tassi e la manipolazione di certi prezzi (come l’oro). Con l’asserzione che se solo si lasciasse finalmente mano libera al “mercato” come si deve, la situazione si stabilizzerebbe, ad un certo punto.
Invece proprio il crack cinese è conseguenza diretta di tutto ciò che rende il Sistema capitalista “radicalmente sbagliato”: della mondializzazione, della libera circolazione globale dei capitali, dell’interdipendenza delle economie voluta dalla globalizzazione e dalle sue istituzioni; più ovviamente della deregolamentazione, della liberazione della forza scatenate della speculazione senza controllo pubblico. Abbiamo visto fin troppo bene che manipolazioni, frodi e corruzione, lungi dall’essere estranei, sono integralmente insiti in questo “Mercato-mondo” dove i banchieri d’affari hanno usurpato il diritto pubblico.
Esattamente come il ’29 a Manhattan
L’implosione della titanica bolla cinese ricalca, fino alla parodia, quella di Wall Street dell’ottobre del 1929, esito finale di un liberismo celebrato, allora, senza limiti nè fine. Anche allora le dattilografe e i ragazzi degli ascensori di Manhattan acquistavano azioni con soldi presi a prestito dalle banche, come oggi hanno fatto decine milioni di casalinghe ed altri giocatori di MahJong, facendo salire a livelli stellari “valori” senza rapporto con la realtà . Come allora, le banche prestavano volentieri; come allora, appena i valori delle azioni date in garanzia a questi prestiti calarono, le banche chiedono l’immediato rientro.
La replica o parodia ricalca financo i particolari. Il 24 ottobre 1929 è il giovedì nero a New York. I media: “Il crollo delle quotazioni si è fermato solo dopo una riunione dei principali banchieri newyorkesi negli uffici di J. P. Morgan & Co., presenti Charles E. Mitchell, presidente della National City Bank; Albert H. Wiggin, presidente di Chase National Bank; William Potter, presidente di Guaranty Trust Company; Seward Prosser, presidente di Bankers Trust Company; Thomas W. Lamont, senior partner della Morgan. Forti di risorse stimate in sei miliardi di dollari, la notizia del loro intervento ha rassicurato gli investitori”. L’effetto durò fino al week-end. Poi lunedì il nuovo crollo, panico inarrestabile.
I crack costanti del capitalismo
Pechino, qualche giorno fa: “I 21 principali broker del Paese, riuniti nella Securities Association of China, hanno annunciato la costituzione di un fondo da 120 miliardi di yuan (circa 19,3 miliardi di dollari) per acquistare Etf sulle blue-chip. Il fondo, appoggiato dal governo, inizierà ad operare già lunedì nel tentativo di stabilizzare il mercato”. A questo fondo, la banca centrale ha avuto l’ordine di fornire “liquidità illimitata” per “stabilizzare i mercati”. Il governo interviene anche vietando le vendite…d’accordo, ridicolo autoritarismo. Ma è il governo che più ha approfittato dei meccanismi del liberismo globale, dell’abolizione di dazi e di concentrazione sul “vantaggio competitivo” cinese che sono (erano) le paghe basse.
La Cina ha volatilizzato 3.200 miliardi di dollari, dieci volte il debito greco. Il punto, come ricorda Nick Beams nel sito trotzkista (eh sì) World Socialist Website, ora che la Cina è diventata la seconda potenza economica mondiale e quella che fornisce “almeno il 30 per cento della crescita economica globale”, il suo ’29 avrà conseguenze terribili sul mondo intero. Sarà di nuovo anche il nostro ’29. La Depressione-bis. E per gli stessi motivi.
Non che la Nomenklatura di Pechino non si rendesse conto che la struttura della sua economia, dove il 50% del Pil è dovuto a “Investimenti” alimentati da credito facile (e che ha prodotto pericolose bolle, nell’ immobiliare anzitutto) e meno del 35% ai “Consumi interni”, non poteva durare. Nel 2013, la dirigenza ha deciso un cambio di orientamento. In che modo? L’ha detto nel novembre di quell’anno, in una importante riunione del Partito Comunista, il nuovo presidente Xi Jinping: “Dobbiamo rendere più profonda la riforma del sistema economico concentrandoci sul ruolo decisivo del mercato nell’allocazione delle risorse”. Le famose “riforme” . Che devono scatenare gli spiriti animali “del mercato”: Mario Monti, o Renzi, non avrebbero detto meglio. Sono i consigli che la Merkel dà a tutti noi del Club Med.
Pechino ha effettivamente ridotto l’intervento pubblico (corrotto) nel controllo del sistema finanziario; ha annunciato una “maggior apertura agli investimenti esteri” (dove l’abbiamo già sentito?). Inoltre, è perfettamente cosciente che deve aumentare i consumi interni.
Come aumentare i consumi ma non i salari
“L’ovvia strada per accrescere la spesa interna – commenta Beams – sarebbe l’aumento dei salari delle decine di milioni di operai. Ma questa strada è sbarrata dalla lotta competitiva nel mercati capitalisti globali. Ogni aumento significativo dei salari avrebbe messo fuori mercato le industrie cinesi, che operano su ridotti margini di profitto come subcontrattiste per le mega-corporations transnazionali di Usa ed E uropa, e sarebbero andate in zone di salari ancora più basso, come il Vietnam”. Anzi, aggiunge Beam, “con la repressione salariale operata dall’Amministrazione Obama, le imprese cinesi hanno da affrontare anche la competizione degli Stati Uniti, divenuti una zona di lavoro a basso costo”.
Non potendo – nel capitalismo globale senza dazi – aumentare i salari, la Nomenklatura e i suoi oligarchi hanno adottato un altro metodo. Lo stesso adottato dal liberismo terminale in Usa e in Occidente: aumentare i consumi incoraggiando la gente, che vedeva ridurre i propri emolumenti, ad aumentare il proprio tenore di vita con l’indebitarsi di più. Tipicamente, in Usa, con il credito facile ai debitori “sub-prime”, i cui debiti venivano (e ancora vengono) “cartolarizzati”; ossia spacciati come titoli che rendono interessi. In Cina, è stato ufficialmente incoraggiato l’indebitamento della crescente classe media per giocare in Borsa: “Con l’implicita garanzia che lo Stato, con la sua ferrea presa sul sistema finanziario, avrebbe assicurato quegli investimenti”. Di simili “garanzie implicite” ne abbiamo viste troppe, nel capitalismo occidentale: soprattutto a favore delle banche “troppo grandi per fallire”, che si sono potute permettere ogni azzardo morale con al certezza che gli stati le avrebbero salvate a spese dei contribuenti. La corsa delle banche tedesche e francesi a indebitare la Grecia al difuori di ogni buon senso, sottintendeva la garanzia “implicita” che, essendo i titoli di debito greci in euro, l’Europa, in qualche modo, avrebbe pagato il cattivo investimento dei banchieri ad un debitore cos ì mal messo. Draghi ha garantito con la famosa frase “whatewer it takes”, salverò l’euro con qualunque mezzo…
“Irrazionale euforia” è lo stato d’animo che si accompagna ai trionfi borsistici nel capitalismo finalmente liberato da tutti i lacci e le regole pubbliche. In Cina, lo Stato ha consentito che ciascuna casalinga di Shenzen, ciascun “investitore” individuale, potesse aprire fino a venti conti di trading. Venti conti alimentati dalle banche con credito “a margine”, dove l’indebitato investitore dà come collaterale del prestito che riceve, le azioni che con quel prestito ha comprato. Ciò consente di far salire alle stelle i volumi negoziati – la Borsa è salita del 150% in un anno – e i debiti a margine sono saliti di cinque volte; a giugno quel tipo di prestiti costituiva il 17 per cento della “capitalizzazione del mercato”. Di fronte alla bolla finanziaria astronomica, il governo ha cominciato a restringere il credito a margine: è stato questo a dar inizio alle vendite, sempre più a precipizio. Il governo contava di lasciar sfiatare un poco l’aria dalla bolla. E’ stata l’implosione, perché le milioni di casalinghe di Shenzen si son viste chiedere dalle banche la copertura pari alla perdita di valore delle azioni date in garanzia; hanno così scoperto a loro spese uno dei termini più speifici del capitalismo finanziario: i “margin calls”. Per far fronte, hanno dovuto vendere un po’ delle loro azioni; i milioni di vendite simultanee hanno fatto calare le azioni; altra richiesta di “margin call”, altre vendite, e via così nell’avvitamento già visto tante volte nella storia del capitalismo americano – ed oggi felicemente esteso al mondo.
Ma di quale dirigismo o keynesismo stiamo parlando?
“Le forze del mercato si sono mostrate più forti del regime”, commenta Beams .
Una cosa pare certa: la crescita cinese sarà ben inferiore al classico 7% annuo rispetto al Pil; forse si fermerà al 4%, il che significherà milioni di disoccupati, o la mancanza di nuovi milioni di posti di lavoro. Il rallentamento di un’economia globale che non ha mai conosciuto una vera ripresa sdal 2008, è inevitabile e si ripercuoterà sicuramente anche sulle nostre economie.
L’intero sistema cinese, stra-indebitato, è in pericolo di implosione; solo le autorità locali (del regime) hanno prestiti in essere per 4 mila miliardi di dollari. Conclude il trotzkista Beams: “I capitalisti rossi del Partito Comunista Cinese, avendo perso ogni pretesa di legittimarsi promuovendo l’uguaglianza, e men che meno di rappresentare il socialismo, vivono nella paura mortale di una eruzione delle classi lavoratrici”.
Anche i BRICS nel ciclone
Soffietto ideologico a parte, bisogna essere giusti con la Nomenklatura cinese. Sentendo il pericolo, aveva messo a punto grandiosi piani per investire i trilioni di dollari accumulati con l’export nei vasti piani di sviluppo che chiamiamo, genericamente, “nuova via della Seta”, ferrovie veloci transcontinentali, apertura di porti in paesi amici d’Asia (la Collana di Perle) un nuovo canale di Panama (lo stanno effettivamente scavando in Nicaragua), una grande banca di sviluppo con i BRICS, e con essi la recente creazione di una specie di Fondo Monetario alternativo, dotato di 100 miliardi di dollari (di cui la Cina ne mette 41). Un progetto di sviluppo globale, che contrastava per visione e generosità con l’Impero del Caos, ormai volto alla pura e semplice distruzione. Ma ora tutto è in pericolo.
Non solo. Come nota Dedefensa, i paesi BRICS sono tutti in difficoltà; tutti soffrono di vulnerabilità e fragilità multiple. E non perché siano particolarmente mal governati (rispetto alla UE o agli Usa, poi…), o che i loro dirigenti siano peggiori; “ma per la ragione essenziale che anch’essi fanno necessariamente parte del Sistema almeno tanto quanto ne possono essere ritenuti gli avversari”. Nel gorgo del capitalismo terminale siamo tutti, ed esso è entrato nella fase del ciclone di crisi.
Secondo Grasset, non siamo “ancora” al punto in cui il Sistema si dissolve in un buco nero, “anche se necessariamente ci avviciniamo alla fase di pura autodistruzione”, propria del furioso “scatenamento della materia” che il Sistema capitalista finale presenta, perché è un sistema radicalmente sbagliato” che rende impossibile la vita umana.
Ma attenzione. Gli Usa, dopo la crisi del ’29, non uscirono dalla Depressione che nel ’39, entrando in guerra, grande consumatrice industriale. La Nomenklatura cinese può essere tentata di sviare la rivolta del suo popolo accendendone il nazionalismo, fortissimo, e trovare conveniente provocare il conflitto finale usando il vantaggi competitivo di una demografia miliardario. Anche in questo, i cinesi non farebbero che ricalcare l’esito del capitalismo selvaggio Usa allora, e forse di ogni capitalismo bancario che deve finire in guerra, distruzione di uomini e di risorse, spreco di sangue, iper-inflazione, insomma rivelare fino in fondo la valenza omicida della sua dogmatica.
NOTA
“Cigno Nero” (Black Swan), nel gergo finanziario americano, significa un evento avverso per le Borse che gli analisti e gli speculatori non sono riusciti a prevedere, o che non era stato anticipato dai modelli matematici degli economisti d’oggi. Naturalmente il Drago Nero cinese in corso era visibilissimo in anticipo.