MAURO bOTTARELLI
Questo grafico (…)
ci mostra come la richiesta di premio di rischio degli investitori per detenere debito emergente rispetto ai Treasuries Usa sia a 481 punti base. Insomma, se il dollaro e la Fed vanno avanti sulla loro strada, prepariamoci al più grande margin call sul biglietto verde mai vista nella storia.
Eppure, tutti sembrano unicamente concentrati sul petrolio, la Cina e le conseguenze che questi hanno sulle Borse. Gli emergenti restano un po’ in disparte, qui come a New York come a Davos. Come mai? Forse c’è una strategia al riguardo? C’è un mercato emergente che dovrebbe far preoccupare più degli altri ed è quello russo, visto che come ci mostra questo grafico
da quando il rublo ha rotto quota 80 sul dollaro, le vendite sulla divisa russa sono accelerate e di molto. Cosa farà la Banca centrale russa? Interverrà, se il panico forex passerà attraverso i flussi retail dei consumatori? Difficile dirlo. Il vice-governatore della Banca centrale russa, Vasily Pozdyshev, ha mostrato ottimismo, dicendo ce “non c’è alcun rischio sistemico” ma in molti non la pensano così.
La sede di Societe Generale a Londra parla di “investitori che stanno vendendo a qualsiasi prezzo” e molti analisti ricordano come se il rublo resterà nell’area mediana degli 80, l’inflazione arriverà all’8% o più entro fine anno, ricordando che il deficit di budget della Russia al 3% si base sull’assunto del petrolio a 50 dollari al barile. Se rimane a questi livelli, l’economia russa potrebbe contrarsi del 5% entro fine 2016 e il deficit salire di un altro 1,4% almeno. Detto fatto, nel tardo pomeriggio la Banca centrale russa ha convocato un meeting, definito “non d’emergenza”, con i rappresentanti della principali banche del Paese.
Non è che nel bailamme generale creato da Borse che crollano, petrolio che continua a scendere, Banche centrali che promettono ricette miracolose, qualcuno stia tentando il secondo affondo contro la Russia, dopo l’attacco speculativo sul rublo dello scorso anno? Vi spiego perché ho qualche dubbio, partendo da una notizia del 12 gennaio scorso, in base alla quale l’aeronautica militare Usa ha distrutto un deposito di denaro contante, milioni a disposizione dell’Isis per pagare stipendi e spese di guerra.
L’operazione sarebbe arrivata dopo un lavoro dell’intelligence che ha identificato l’obiettivo, la banca al Rashid in un’area abitata, dove il movimento jihadista aveva accumulato importanti somme di denaro. Prima di intervenire, il comando alleato ha valutato i rischi per la popolazione, in quanto vicino al target c’erano diverse palazzine. Alla fine, l’Us Air Force ha deciso di agire comunque vista la rilevanza. Strano, è la stessa Air Force che per mesi e mesi non ha bombardato i convogli di petrolio rubato dall’Isis e portato in Turchia per il rischio di coinvolgere civili.
E l’altro giorno cosa è successo? Quale novità? Stando a un documento tradotto e postato dall’analista Aymenn Jawad Al-Tamimi del Middle East Forum, l’Isis avrebbe dimezzato lo stipendio ai miliziani a causa di “circostanze eccezionali”. Guarda le coincidenze, che forti questi americani. Ora, al netto che dubito l’Isis tenesse tutti i soldi in un’unica banca – magari su un unico conto – come una casalinga qualsiasi, questa narrativa garantisce agli Usa di non dover dare risposta ad altre domande. Prima delle quali, sicuri che quegli stipendi siano stati dimezzati per il raid aereo e non perché da tre mesi a questa parte la Russia sta facendo sul serio e, quindi, anche chi aveva mantenuto un ruolo un po’ ambiguo non può più farlo e quindi le finanze di Daesh scarseggiano? Non è che i soldi andavano fatti sparire, polverizzati, perché se confiscati da russi o siriani avrebbero portato a sgradevoli scoperte?
D’altronde che quelli dell’Isis siano terroristi integralisti un po’ sui generis lo sappiamo da tempo ma il Financial Times, a inizio mese, ci ha offerto un’ennesima riprova, quando ha raccontato il fatto che nelle varie wilaya, province, sotto il controllo dell’Isis sia nato una sorta di franchising commerciale di beni non militari per acquistare i quali i miliziani hanno lo sconto del 50%. Non ci credete? Ecco l’infografica
del Financial Times, non della Pravda. Come vedete sono tutti beni tipici del musulmano salafita estremista: motociclette, tv LCD, un’automobile Kia e tavoli e sedie stile Ikea. Ora, l’anello al naso lo lascio volentieri ad altri: certo, quei beni – chissà da dove arrivano? – portano introiti all’Isis ma di che entità rispetto al traffico del petrolio stroncato dai raid russi? Quante auto o LCD si può comprare uno che non vede l’ora di farsi esplodere per godersi le sue 72 vergini in santa pace? Ma poi, ve lo vedete un tagliagole intento a comprare un tavolo che si intoni alla cintura esplosiva, tra un’esecuzione e l’altra?
Io la butto in ironia ma da ridere, in realtà, non c’è davvero nulla. Anzi no, qualcosa c’è: ovvero, il fatto che grazie anche al supporto aereo russo, ieri l’esercito siriano ha comunicato di aver tagliato la linea di comunicazione tra le aree di al-Mansur al-Miass e al- Karyateyn, uccidendo un alto numero di appartenenti a Daesh. Di più, insieme alla milizia nazionale, l’esercito di Damasco ha preso il controllo di due montagne, Mhin Al-Kabir and Mhin Al Sagyr, distretti usati come magazzini, insediamenti a Mhin, i villaggi di Hauvarin e Al Hadas e i comandi lungo la strada tra Al Mhassa-Al Karyateyn, inibendo in questo modo la via di comunicazione vitale tra Al-Mankura, Al Mhassa e Al Karyateyn. Fatta breve, i miliziani dell’Isis non sanno dove scappare, sono topi in trappola. Di più, grazie ai raid russi sono state bloccate le linee di rifornimento di armi, cibo, medicinali e munizioni di tra Aleppo e Raqqa. Insomma, i russi e l’esercito siriano stanno vincendo.
L’ISIS SI SPOSTA IN LIBIA (O USIS)
La conferma arriva anche dal fatto che, casualmente, il nuovo fronte di Daesh sia quello libico. E, guarda tu la coincidenza, proprio ieri, a 48 ore dalla formazione del governo libico di unità nazionale, la scena è stata rubata proprio da Daesh, i cui miliziani hanno nuovamente attaccato la zona dei terminal petroliferi libici di Ras Lanuf. Stando fonti locali, i jihadisti hanno preso d’assalto le installazioni di Amal Field e appiccato il fuoco ad almeno due serbatoi di stoccaggio del greggio vicino al porto, prima di essere respinti dalle guardie delle installazioni petrolifere.
Era già accaduto tra il 4 e il 6 gennaio scorsi, con medesimo esito ma questo fa capire che la minaccia di Daesh verso la porta sul Mediterraneo è crescente, tanto più che approfittando del vuoto politico che paralizza la Libia dall’estate 2014, i miliziani hanno esteso il loro dominio su oltre 300 chilometri di costa libica, da Sirte a Ben Giauad (Ben Jawad) nel centro del Paese, da Derna e Bengasi in piena Cirenaica.
Strategia perfetta. Silenziamo il successo russo e siriano contro Isis, prima che il mondo comici davvero a farsi qualche domandina scomoda al riguardo e spostiamo il fronte in Libia, in modo che Francois Hollande possa finire il lavoro iniziato da Nicolas Sarkozy e garantirsi lauti contratti petroliferi, casualmente a spese dell’Eni come nel 2011. Sempre per pura coincidenza, infatti, da settimane e senza alcun coordinamento con i membri della coalizione, i jet francesi stanno picchiando sulle postazioni jihadiste in Libia. D’altronde, il lavoro pesante lo hanno fatto russi e siriani, l’importante è che la gente non lo sappia e, soprattutto, non lasciare sulla scena prove compromettenti e ora si può puntare al bersaglio grosso, ovvero la Libia, dato che difficilmente qualcuno sarà così stupido da volere ancora la testa di Assad nel breve termine e rischiare un conflitto totale nell’area.
-…E ORA, LITVINENKO
Sempre ieri, poi, il coup de theatre. Con timing da “Carramba che sorpresa”, la Commissione d’inchiesta britannica sull’omicidio dell’ex spia russa Alexander Litvinenko, avvelenato con il polonio a Londra nel novembre 2006, ha sentenziato che si trattò di omicidio di Stato e che con ogni probabilità Vladimir Putin ne fu il mandante. Immediatamente è scoppiata una crisi diplomatica in piena regola tra Mosca e Londra ma è altro che conta: l’inchiesta accusa di fatto Putin con la formula del “fu probabilmente”, ovvero un dubitativo. Ora, si può accusare il presidente di uno Stato sovrano di essere il mandante di un omicidio simile in base a un dubbio, se la finalità non è altra da quella di voler scoprire la verità? A mia memoria, non esiste un precedente di tale gravità.
Davvero se Putin avesse voluto morto Litvinenko avrebbe ingaggiato due Tom e Jerry come l’inchiesta inglese dipinge le spie Andrei Lugovoi e Dmitry Kovtun, i quali non solo avrebbero lasciato tracce di polonio ovunque tra Mayfair Amburgo e la Piazza Rossa in nome della discrezione tipica delle spie ma, soprattutto, avrebbero agito en plein air dentro l’Hotel Millennium senza preoccuparsi delle telecamere. Le quali, infatti, hanno ripreso ogni singola mossa. Tranne, stranamente, l’atto di mettere il polonio nella teiera. Dove sono stati addestrati, a Gardaland? Ma si sa, l’importante non è cosa dici ma come lo dici, anche a rischio di una crisi diplomatica gravissima, Capite da soli che in palio, a questo punto, deve esserci qualcosa che vale molto più che una rottura delle relazioni tra due Stati. Ma, magari, mi sbaglio.
P.S. Ultime tre rapide cose. Primo, la versione della sentenza resa nota ieri è quella pubblica ma ne esiste una segreta che verrà classificata e mai resa nota. Secondo, gli inglesi dovrebbero saperne qualcosa di operazioni sotto copertura all’estero, vedi il tunnel dell’Alma e di commissioni di inchiesta allegre, vedi quella sul Bloody Sunday. Terzo, se qualcuno fosse oltraggiato dal mio cinismo, mi dispiace ma preferisco cinico che ipocrita. Non sarebbe la prima esecuzione di una spia che tradisce e minaccia di passare informazioni al nemico, mi pare.
E poi, scusate: lo spietato Putin di questo caso è lo stesso a cui nessuno dice nulla se fa il lavoro sporco contro Daesh ma che tutti sono pronti ad attaccare per la Cecenia, il caso Litvinenko o quella di Anna Politkoskaya. Non sarà che la Cecenia era lontana dai nostri culetti occidentali, mentre dopo le schioppettate a Charlie Hedbo e Bataclan, la difesa dei diritti civili contro i despoti alla Putin ha perso un po’ smalto nelle illuminate coscienze occidentali, salvo tornare fuori oggi con perfetto tempismo? Citando Jack Nicholson in “Codice d’onore”, non possiamo reggere la realtà.
Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli