di Roberto PECCHIOLI- I parte
Riordinando vecchie carte, abbiamo ritrovato un nostro intervento, datato 2001. Un brano riguarda il tema ambientale e, purtroppo, sembra scritto oggi, segno che i problemi si trascinano, non vengono risolti e neppure affrontati. Questo è ancora più vero “a destra”, dove un riflesso condizionato inestirpabile fa chiudere gli occhi davanti a troppe verità. La più bruciante riguarda l’ambiente e la parola che lo definisce, l’ecologia. Così ci esprimevamo quasi vent’anni fa: migliaia di specie vegetali ed animali stanno scomparendo in nome del dogma dello sviluppo, colture ed allevamenti vecchi di secoli vengono abbandonati per il perseguimento del profitto delle multinazionali, la prossima guerra verrà probabilmente combattuta per il controllo delle risorse idriche, l’aria è irrespirabile per i miasmi delle scorie, l’effetto serra produce effetti sconvolgenti sull’intero ecosistema.
Oggi nessuno nega apertamente la veridicità di queste asserzioni, ma, come allora e come negli anni 70 e 80 del secolo passato, allorché i temi ecologici entrarono di prepotenza nel dibattito politico e culturale, silenzio di tomba a destra. Destra politica non pervenuta, nonostante l’idea ambientalista sia radicalmente, naturalmente collegata ai principi fondanti di quell’area politica. Non per caso li affrontarono per primi intellettuali tedeschi del calibro di Oswald Spengler e Friedrich Georg Juenger, fratello di Ernst. Difendere la terra, le sue risorse, le specie, le diverse specie animali e vegetali e le razze degli uomini dalla più formidabile pialla mai apparsa sulla scena del mondo, l’economia dell’accumulazione globale, mercatista e mondialista, era ed è impresa alla quale avrebbero dovuto attendere soprattutto le visioni del mondo che, a torto o ragione, vengono identificate con la destra.
Dovrebbe essere assai semplice: io difendo la natura, l’ambiente, la terra di tutti perché l’ho ricevuta in dono alla nascita, mi è stata trasmessa e la devo lasciare intatta, se possibile più sana e migliore, a chi mi succederà. E’ in questa natura che si è radicata la mia gente, che merita di vivere e perpetuarsi tra le altre nella sua originale identità e nel suo orizzonte territoriale.
Invece no. A destra, diciamola tutta senza mezze parole, se ne fregano. Non certo tra gli uomini di cultura: basti ricordare l’opera di Alain De Benoist, le scoperte di Konrad Lorenz, fondatore dell’etologia, la scienza che studia abitudini e costumi dei viventi e l’adattamento all’ambiente. Sul versante politico, tuttavia, silenzio imbarazzante, un ritardo che spaventa ma spiega i ritardi accumulati da almeno mezzo secolo nella comprensione dei problemi, non diciamo nell’individuazione di un’agenda culturale e politica. Diversi i motivi: uno è l’accigliato immobilismo dei più, arroccati in una visione del mondo falsa e comunque tramontata. Un altro motivo è il ridicolo partito preso anti-sinistra. Se “a sinistra” (termine di cui non ci chiede neppure il significato!) affermano che oggi è una giornata nuvolosa, dall’altro lato si deve rispondere no, è una bella giornata di sole. La triste conseguenza di definirsi in negativo: destra come non sinistra, non comunismo, non collettivismo.
Abbiamo vissuto personalmente l’indifferenza ostentata sino alla ridicolizzazione e al sarcasmo da osteria nei confronti di chi esprimesse idee, tentasse di andare oltre parole d’ordine e slogan ammuffiti già quarant’anni fa. Infine, ed è il lato secondo noi più oscuro, persiste in alcuni una fiducia programmatica di stampo progressista e quasi superstiziosa nella scienza; un lampo, per così dire, “faustiano”: se l’uomo, attraverso le scoperte e la padronanza tecnica delle leggi della natura ha fatto dei disastri, saranno la stessa scienza e la stessa tecnica a trovare il rimedio. E’ il paradigma scientista corrente, accettato senza pensare e soprattutto posto al servizio del mercatismo liberal liberista, orizzonte dal quale la destra non riesce a liberarsi, la maledizione che impedisce di vedere la realtà e di affermare nei comportamenti i suoi principi fondanti.
Intendiamo sottrarci al dibattito sulle fonti di energia ed anche alla polemica sui cambiamenti climatici. Non sappiamo se abbiano origine antropica o se facciano parte dei tempi lunghi della natura. Ciò di cui siamo certi, poiché lo vediamo con i nostri occhi, è l’inquinamento, la rovina dell’ambiente, l’enorme quantità di scorie, rifiuti, residui di anidride carbonica che infettano l’aria, rendono invivibile la Terra e minacciano di farla diventare un deserto. Basta e avanza per prendere posizione e, innanzitutto, contestare alla radice il dogma liberal liberista produttivista (condiviso anche dalle culture collettiviste). No, il destino dell’uomo non è produrre sempre più cose, scambiarle sul mercato e consumarle in una gara senza traguardo.
Il PIL, prodotto interno lordo, non misura né la cultura né la felicità; ben-avere anziché benessere. Si limita a definire in numeri collegati all’unita di misura unica ed universale, il denaro, le attività economiche remunerate svolte dagli uomini. La cura, il lavoro casalingo, l’affetto, la solidarietà, la gratuità, tutto ciò che è fatto senza l’intervento del denaro, che Ivan Illich chiamava “conviviale”, è escluso, pur essendo ciò che rende la vita degna di essere vissuta. A differenza di una serena vita comunitaria, un terremoto migliora sensibilmente il PIL. Bisogna seppellire i morti, curare i feriti, rimuovere le macerie, ricostruire ciò che è crollato. L’economia galoppa, il denaro gira: non è per nulla che Joseph Schumpeter chiamò “distruzione creatrice” il modo di produzione capitalista.
Diciamola tutta: Greta, nella sostanza, ha ragione. Certo, è un burattino inconsapevole nelle mani del sistema, il Gatto e la Volpe oligarchico che conoscono più di ogni altro le condizioni del pianeta, hanno sottomano i dati veritieri sulle fonti energetiche e sui rischi terribili che corrono l’umanità e l’intero creato. Greta rappresenta l’astuto meccanismo di autotutela del potere. I colpevoli dei danni fingono di riceverla in pompa magna, qualcuno, come l’etilico Juncker addirittura si inchina, ma il senso generale è di creare un allarme nell’opinione pubblica per riorganizzare il sistema mantenendo tutte le leve del potere, addossando le spese a tutti noi. Dobbiamo cambiare vita, ma temono le reazioni popolari: occorre che siamo noi stessi a reclamare il cambio di rotta e pagarne di buon grado il costo, economico ed esistenziale. Ciò non toglie che la ragazzina svedese ponga quesiti ineludibili.
Noi continuiamo a credere che la tutela del creato, la difesa dell’ambiente dalla stolta dismisura umana sia non solo un tema centrale del nostro tempo, ma che le culture legate all’identità, alla tradizione, al primato dello spirito e alla conservazione abbiano le idee migliori e i più validi strumenti di giudizio per affrontare quei problemi, uniti con tutti coloro che perseguono il medesimo fine. Alla vecchia destra gridiamo ancora una volta che i principi che dice di professare si basano sul rispetto delle leggi naturali, sulla conservazione dell’esistente – che in biologia si chiama omeostasi – e nel desiderio di trasmettere, “tradere”, valori, principi, cultura, e quindi anche l’ambiente, alle generazioni successive.
La trasmissione, la consegna, è il gesto concreto, materiale, della tradizione. Non abbiamo un pianeta di riserva: primum vivere, deinde philosophari, dicevano i pragmatici romani, prima vivere, poi discutere, fare filosofia. Cerchiamo allora di ragionare, a partire dall’asserzione di cui sopra. There is no plan(et) B, è lo slogan – gioco di parole del movimento di Greta. Non c’è un pianeta B, dunque occorre lo sforzo di tutti. Fin qui, nessuna obiezione. Ma se non usciamo dal “paradigma”, ovvero delle idee obbligate e correnti, l’esito sarà un altro disastro: qualche risultato di facciata nella guerra ambientalista, ma un’avanzata ulteriore ed irresistibile del mondialismo. Applaudiremo un governo mondiale oligarchico mascherato da ecosostenibile e ambientalmente corretto. Einstein, un tantino più in gamba di Greta, di Juncker e dei parrucconi a fattura dell’ONU disse chiaramente che non si può risolvere un problema con le stesse idee e metodi – noi aggiungiamo, le stesse persone- che hanno creato il problema.
Se il pianeta è uno solo ed è in pericolo, questo è il messaggio che sta passando, solo un nuovo ordine mondiale, ovvero un governo planetario, può salvarci. Ecco il sottinteso, la sintesi della tesi (il pianeta è in pericolo) e dell’ipotesi (bisogna vivere diversamente). Di qui la necessità, per le culture identitarie e per le visioni del mondo non produttiviste, estranee al modello “unico” neo liberista, liberale e libertario, di riunirsi e di trovare punti di convergenza. Uno di essi è la salvaguardia del pianeta. La cosiddetta destra diventa complice se si accuccia, una volta di più, ai piedi dell’ipercapitalismo mercatista e prosegue nella sua grottesca funzione di cane da guardia usa e getta, regolarmente zittito e bastonato da lorsignori quando il gioco si fa duro. E il gioco, riconosciamolo, è davvero durissimo nel campo dell’ecologia e della difesa ambientale.
Un’idea forza – l’ecologia della terra unita a quella della politica e dei principi- che ha molteplici ragioni per non essere lasciata ai falsi amici del neo-liberismo “light”, il lupo travestito da agnello : motivi di ordine pratico, ma anche serissime ragioni antropologiche, filosofiche e morali, che attengono al primato della dimensione pubblica – politica- sulla ragione economica e che costituiscono il patrimonio indisponibile delle visioni del mondo estranee al materialismo liberale e al tramontato collettivismo di Stato. Ci siamo lasciati espropriare della nozione di bene comune, non abbiamo prestato attenzione a idee di grande spessore, come la bioeconomia di Nicholas Georgescu-Roegen, tanto meno abbiamo affrontato il tema di fondo, ossia la definizione del rapporto tra l’uomo e la natura.
Avanziamo senza riflettere proclamando il dogma della “crescita”, misurata in denaro e declinata nella forma merce, il cui rovescio sono l’esaurimento delle risorse naturali, l’invivibilità di aree urbane sempre più grandi, l’incapacità di risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti – a cominciare dall’oceano di schifezze galleggianti esteso per milioni di chilometri quadrati nel Pacifico. Soprattutto, dobbiamo interrogarci sul senso profondo della corsa in cui ci hanno costretto: è questo il destino dell’uomo? Non lo è, evidentemente, ma abbiamo il dovere di fornire risposte e strappare il velo del finto progresso, dello “sviluppo”, del consumo. Non si scappa: o cambia il paradigma, cioè il senso comune, specie di noi europei e occidentali, o la catastrofe è certa. Ambientale, naturale, umana, morale e materiale; su scala planetaria poiché, ci piaccia o meno, diverse sono le civiltà, diverse le specie, ma la terra che calpestiamo è una.
La cultura alla quale dobbiamo richiamare l’umanità è quella della misura, della prudenza, la phrònesis aristotelica. Siamo al contrario immersi nel trionfo dell’hybris, l’arroganza e la dismisura dell’uomo che si erge a Dio, a giudice unico della vita e della natura. Rimaniamo nel mito greco, fondazione della nostra civiltà. La vittoria del titanismo e del prometeismo è una rovesciamento della natura, dell’ordine cosmico. I Titani si ribellarono agli dei e furono infine sconfitti e confinati nel Tartaro, un luogo circondato da alte mura e chiuso da pesanti porte di bronzo. La loro sconfitta simboleggia l’impossibilità, per l’uomo, di trascendere se stesso, se non attraverso l’ammissione della propria condizione di creatura. Prometeo è il titano “amico” del progresso: ruba il fuoco agli Dei, ma subisce la vendetta di Zeus che colpisce l’intera specie umana: si rompe il vaso di Pandora, contenente tutti i mali del mondo.
I Titani e Prometeo hanno fatto male all’umanità, nella cosmogonia greca. I loro emuli odierni, arroganti signori della Tecnologia, del Progresso e della conoscenza senza limiti ci stanno conducendo al medesimo abisso. Lo comprese un fondatore della modernità occidentale, Francesco Bacone, che iniziò il suo monumentale Novum Organum con un’ammissione presto dimenticata: alla natura si comanda solo ubbidendole. La volontà di potenza dell’homo sapiens è diventata una minaccia drammatica. Forse se ne accorse lo stesso Wittgenstein, uno dei maestri del pensiero moderno, ispiratore dell’iper razionalista, scientista Circolo di Vienna, allorché concluse con una certa amarezza: “Tutta la concezione del mondo si fonda sull’illusione che le cosiddette leggi naturali siano la spiegazione dei fenomeni naturali” C’è sempre un “oltre”, un “quid pluris” che l’uomo vuole attingere, scambiando la custodia della natura per puro dominio, in una lettura estensiva del comando divino ricevuto nella Bibbia.
Eppure, l’uomo occidentale dovrebbe ricordare la narrazione veterotestamentaria, così simile, nella sostanza, al mito ellenico. Adamo ed Eva vengono scacciati dall’Eden per la stessa hybris di Prometeo. Vogliono assaporare il frutto dell’albero del bene e del male, proibito da Dio. Ma Dio, limite, giudice e creatore, è morto, scacciato dal Titano occidentale, un Faust sovreccitato che non si accontenta della conoscenza, ma pretende l’onnipotenza, il controllo e il dominio delle forze naturali. Conta conoscere per sfruttare, utilizzare, consumare, scambiare. Non vi è limite, l’alfa è privato del suo omologo, l’omega, il termine. La Natura non è più lo specchio del creato, il luogo in cui incontrare il Bene, il Bello, il Vero, ma un semplice terreno da cui prendere senza misura e senza posa ciò che “serve” al delirio di onnipotenza. Adamo è homo faber, non un distruttore.
Risulta quindi evidente che la conservazione dell’ambiente, il suo rispetto quasi religioso, fanno parte del bagaglio culturale e morale dell’umanità più elevata, quella che non confonde l’avere con l’essere, l’accumulazione con la vita, la scienza con la sapienza. Una volta di più, per ritornare al linguaggio contemporaneo, dobbiamo respingere per incompatibilità spirituale, etica e per estraneità al Bene, le concezioni strumentali dei materialismi “economici” contemporanei. Dovrebbe essere un’impresa assai adatta a chi si ritiene di destra, come per ogni uomo di buona volontà e retta coscienza.
Nella seconda parte dell’elaborato, cercheremo di tratteggiare un ideario, un piccolo breviario pratico di ecologia politica, nel solco di una riflessione di un pensatore contemporaneo di matrice cattolica, filosofo della scienza di grande spessore, Vittorio Mathieu, critico del nichilismo e della società tecnologica di massa: “Ciò che ci unisce all’ambiente è un’identità. Un’identità non originaria, è vero, e neppure esclusiva, tuttavia un’identità che non possiamo lasciar cadere senza che cadiamo nel nulla a nostra volta. Per questo, il problema di salvare l’ambiente fa tutt’uno col problema di salvare noi. “