da Libero
Quello che Enrico Letta non aveva detto l’altro giorno, ospite alla kermesse romana di Giorgia Meloni, l’ha declamato ieri a Firenze, in un convegno sul futuro della Ue organizzato dai Socialisti europei: occorre cancellare ciò che resta della sovranità nazionale. Un’idea non nuova e nemmeno solo sua, giacché appartiene ai progressisti europei e pure ad esponenti di altri gruppi, oltre che all’intera nomenclatura burocratica di Bruxelles. Il che la rende ancora più insidiosa. Nel mirino del segretario del Pd c’è innanzitutto il Consiglio europeo, l’organismo che raggruppa i 27 capi di Stato odi governo, cui spetta il compito di definire l’indirizzo politico della Ue. In parole povere, il tavolo al quale Mario Draghi si siede col francese Emmanuel Macron, col tedesco Olaf Scholz e gli altri, e ognuno mette sulla bilancia i propri interessi nazionali.
Secondo Letta «è un errore considerare il Consiglio europeo il cuore dell’Europa». Questo, dice, deve essere rappresentato «dai cittadini», parola con cui intende in realtà il parlamento europeo, perché «non possiamo continuare con l’idea dell’Europa dei governi». Chi è stato scelto dai singoli popoli per governare dovrebbe quindi cedere il potere d’indirizzo alla grande assemblea di Bruxelles, nella quale una maggioranza di tutti gli eletti di alcuni gruppi politici può mettere in minoranza gli altri, anche se questi sono maggioritari in certi Paesi. Va nella stessa direzione la riforma più importante caldeggiata da Letta e dai socialisti, quella di abbandonare il criterio dell’unanimità.
Esso è in vigore nel Consiglio dell’Unione, che condivide con il parlamento europeo il potere legislativo e raggruppa, a seconda della materia trattata (Affari esteri, Giustizia, Economia…) i ministri competenti dei 27 Paesi membri. Un altro organismo di espressione della volontà dei singoli Stati, dunque. Nel quale il voto all’unanimità è necessario per tutte le decisioni sugli argomenti “strategici”, come l’imposizione fiscale, la protezione sociale, l’adesione di nuovi Stati e la politica estera e di sicurezza comune. Un sistema che Letta vuole cambiare. «Sui grandi temi, che si tratti di immigrazione, di sociale, di lavoro odi politica estera», dice, «l’Europa deve decidere a maggioranza».
Facile capire la conseguenza: i singoli Stati, o anche un gruppetto di essi, potrebbero essere messi in minoranza e costretti dagli altri ad accettare decisioni sgradite sulle materie fondamentali, indipendentemente dalla volontà del loro governo e dei loro elettori. Se è vero che l’unanimità è spesso un freno all’adozione di decisioni importanti, perché assegna ad ognuno il potere di veto, l’alternativa è cancellare, nelle scelte cruciali, la volontà dei rappresentanti dei popoli nazionali. Peraltro, se ne avvantaggerebbero gli Stati più abili nel tessere alleanze e che hanno più contropartite da offrire. Non a caso, il proposito di cancellare l’unanimità nelle scelte Ue piaceva alla cancelliera Angela Merkel ed appartiene ora al socialista Olaf Scholz, che ha preso il suo posto a Berlino.
Il cerchio si chiude con la proposta di Letta di eleggere un capo dello Stato allineato su simili posizioni. «Non riesco ad immaginare l’Italia con un presidente della repubblica antieuropeo», avverte il capo del Pd, mentre rassicura gli alleati del M5S che «le prossime elezioni politiche ci saranno nel 2023, non prima». E siccome, secondo il suo metro, gli unici veri europeisti sono quelli col marchio progressista, è da vedere che fine farà il suo impegno a cercare per il Quirinale un’intesa «a larga maggioranza»: vale solo se il prescelto è uno del Pd o anche se è espressione dell’area di centrodestra?