Nell’isola di Manhattan, a New York, c’è un filo sottile che parte dall’Upper West Side, scende verso Midtown, poi arriva al Greenwich Village, passa per l’East Village, risale passando vicino all’East River, arriva fino alla fine di Central Park, poi ancora fino a Harlem e infine torna al punto di partenza. Se siete stati a New York una volta nella vita, sapete che è molta strada, 28 chilometri circa, e il filo la percorre in modo ininterrotto. Camminando per le strade della città probabilmente in pochi lo notano, eppure è un filo importantissimo per molti cittadini newyorkesi: gli ebrei ortodossi. Quel filo è infatti quello che in ebraico si chiama eruv, una recinzione rituale che permette agli ebrei osservanti di svolgere alcune attività anche durante lo Shabbat.
Lo Shabbat, il giorno sacro per le persone di religione ebraica, che si celebra ogni sabato, è la festa del riposo: il sabato gli ebrei dovrebbero evitare qualsiasi tipo di lavoro e dedicarsi solo alla preghiera di Dio che, come dicono le Sacre Scritture, in sei giorni creò il mondo e il settimo si riposò (nella religione cattolica il settimo giorno è invece la domenica). Gli ebrei ortodossi applicano questi dettami con grande rigidità, soprattutto rispetto al divieto di compiere 39 tipi di azioni chiamate melachot: gesti fisici specifici come cucinare, cucire, accendere o spegnere un fuoco, seminare o arare la terra, e anche trasportare qualsiasi oggetto fuori dalla propria abitazione.
A differenza di altri divieti, per cui un giorno di riposo può essere tollerabile, proprio quest’ultimo può causare notevoli disagi: non si possono spingere i passeggini, per esempio, non si può fare la spesa, non si possono usare bastoni e non si possono acquistare medicinali. Per evitare questi inconvenienti, nel corso del tempo gli ebrei ortodossi hanno utilizzato quello che in ebraico si chiama eruv (o eruvin, al plurale): una recinzione reale o simbolica che serve a estendere il proprio domicilio privato anche agli spazi pubblici, permettendo di eludere il divieto. La parola eruv significa “mescolanza” ed è un’abbreviazione di eruv chatzerot, cioè “mescolanza di domini”: l’unione di più domicili privati in un unico domicilio comune. L’area coperta dal filo vale domicilio privato, insomma: e se l’area coperta dal filo copre mezza Manhattan, gli ebrei possono spostarsi e fare cose in mezza Manhattan anche di sabato.
Gli eruv si trovano in molte città di tutto il mondo, e sono presenti soprattutto dove ci sono consistenti comunità ebraiche: in alcuni casi gli eruvin sono delimitati da vere e proprie recinzioni, mentre in altri si utilizzano come punti di riferimento i cavi dell’elettricità o le mura cittadine. A volte sono puramente simbolici, come a Venezia, l’unica città italiana con un eruv, o meglio: l’unica città italiana a essere un eruv. Nel 2016, infatti, il rabbino capo della comunità ebraica di Venezia, Scialom Bahbout, ha firmato un’intesa con il sindaco, Luigi Brugnaro, per dichiarare la città un’unica grande “casa” per gli ebrei.
L’eruv di Manhattan non si nota facilmente in mezzo ai tanti cavi dell’elettricità che corrono tra le strade, ma gli ebrei ortodossi della città sanno bene dove si trova. Se ne occupa la comunità ebraica locale, che ogni giovedì invia due rabbini a ispezionare lo stato del filo lungo tutto il percorso: se ci sono cedimenti o rotture, provvedono immediatamente a ripararlo, in modo che sia pronto per il sabato. Il regolamento cittadino impone che il filo sia spesso al massimo 6 millimetri e che sia appeso ad almeno 4,5 metri da terra, quindi è per lo più attaccato ai pali della luce. Fu inaugurato per la prima volta nel 1999, e all’inizio era limitato all’Upper West Side, ma negli anni si è ampliato finendo per includere quasi tutta l’isola, estendendosi per quasi 30 km, come ha raccontato a Business Insider il rabbino Mintz, che gestisce l’eruv della città.