“E’ tornata la NATO!”, esclamano gli oligarchi e i loro media, tutti contenti. Primo effetto, illustrato ai giornalisti americani per la difesa dal generale James McConville, capo di stato maggiore interarma degli Stati Uniti: la US Army si prepara a piazzare in Europa nuove batterie di missili, contro al Russia. Missili, va precisato, ipersonici – che non lasciano a Mosca alcuna possibilità nell’ipotesi che gli Usa decidano di sferrare il primo colpo. Cioè: il caro, grande alleato ci rimette come europei nella situazione ad alto rischio delle fasi più pericolose della guerra fredda, al tempo degli euromissili; la guerra sul suolo europeo. Contro un avversario che non lo è più. Ma siamo arruolati contro la Russia dall “America che è tornata”: tornata per provocare l’entrata dell’Ucraina nella NATO e provocare. Come piccola appendice della guerra alla Cina a cui dobbiamo prepararci, perché l’America, sapendosi incapace ormai di contrastare il predominio globale di Pechino con i mezzi dell’economia e della politica, ha gettato sul piatto la spada di Brenno.
L’ha detto il loro servo eurocratico Stoltenberg. Accusata la Russia di “comportamento destabilizzante” (sic), ha proclamato che “l’ascesa della Cina è un problema determinante per la comunità transatlantica”, ragion per cui si rende necessario “un aggiornamento strategico della NATO – “abbiamo bisogno di rinforzarci militarmente”unendoci a “partner prossimi come Australia e Giappone” che stano notoriamente nel Pacifico.
Immantinente, l’ammiraglio Phil Davidson, che è il capo del Comando Indo-Pacifico degli USA (che si occupa della Cina e 35 altri paesi) ha richiesto al Congresso lo stanziamento straordinario di 27 miliardi di dollari per costruire attorno al Nemico dall’immane corpaccione “una cortina di basi missilistiche e basi militari”, compresa una costellazione di radar su piattaforme spaziali. “Dobbiamo affrontare la Cina da posizioni di forza”, come ha detto al Senato il segretario di Stato Anthony Blinken. Che sia nel loro interesse, si può comprendere; ma non si vede come possano sentire la stessa necessità gli europei, se non in un accesso di servilismo storico da cui l’euro-oligarchia sembra effettivamente colta.
Fanno finta di credere che Biden inaugurerà una Via della Seta Americana che farà concorrenza a quella cinese sul piano di investimenti globali in infrastrutture miliardarie. Certo. Come no: basta dimenticare che le importazioni americane dalla Cina – i gran parte prodotto da multinazionali Usa là dove il lavoro costa meno – hanno aperto nella bilancia commerciale USA un deficit di 300 miliardi di dollari. A cui va aggiunto un calo importante degli investimenti cinesi in USA, passati -grazie all’aggressività di Washington – da 46,5 miliardi a 4,8, mentre gli investimenti americani in Cina restano a invariati. Più grave, Pechino ha ridotto le sue riserve monetarie in dollari del 20%; l’immensa compra,che dorava da decenni, di buoni del Tesoro americani , con cui di fatto la Cina prestava al suo cliente maggiore i soldi per acquistare i suoi prodotti, non è più il centro della politica di Pechino; è facile capire che Pechino sta lavorando a sostituire il dollaro come valuta internazionale unica.
Quanto agli interessi europei, non è certo la Cina che li minaccia. Xi ha promesso di importare dall’Europa più di 140 miliardi di dollari di merci nostre; “Dobbiamo approfondire la cooperazione agricola ed aumentare del 50% il commercio agricolo nel prossimi cinque anni”, hanno detto i cinesi. Lo hanno detto ai paesi dell’ Europa Centrale e ed Orientale (PECO) che siedono sulle fertilissime terre nere ucraino-magiare (puzsta) e polacche e russe, fertilità che manca crudelmente alla Cina che ha bisogno di importare cibo, carne e grani: è un grande progetto di co-prosperità. Se poi esportiamo granaglie e maiale mentre loro ci vendono semiconduttori e computer, ringraziate di questo l’austerità impostaci da Berlino, che ci ha fatto risparmiare in ricerca e sviluppo e innovazione scientifica.
Ché poi bisogna precisare: i vantaggi del cooperare con la Cina non lo sono affatto – per l’euro-oligarchia. Con il forum 17+1 dei paesi PECO, Pechino amplia la sua influenza economica e politica in Europa (centrale) al di fuori del quadro istituzionale e formale della UE; l’oligarchia anglo sassone sente minacciata la sua facile presa egemonica sui paesi dell’Est.
In questa nuova NATO 2030 che mira a mantenere la pressione su di noi, obbligandoci a vedere la Russia come una minaccia costante e davvero pericolosa, pronta a distruggere le nostre città, la politica di Berlino peggiora tutto. La Germania infatti, non solo è entrata nella crisi di successione alla MErkel durante la quale la sua egemonia di fatto sopra la UE diventa erratica e caotica. Peggio, dice un analista francese, “la visione della Germania è la totale sottomissione [militare] agli Stati Uniti. Opera in permanenza per restare sotto la tutela americana a detrimento degli altri paesi europei. “Provare il suo ruolo centrale” nella NATO è considerato da Berlino suo interesse radicale”. Quindi non si opporrà certo all’installazione dei missili ipersonici a ridosso della Russia, come non c’è opposta – anzi, ha collaborato – al colpo di Stato di Kiev, alle sanzioni immotivate contro Putin, ad falso attentato a Navalny.
Una qualche speranza viene dalle considerazioni di Giuseppe Germinario:
“In Italia si ha una percezione del tutto falsata riguardo alla condizione di degrado e di incertezza nelle quali annaspano le classi dirigenti dominanti statunitensi, grazie soprattutto al conformismo e alla cialtroneria della quasi totalità del sistema mediatico e degli analisti di supporto.
“Come pure si rimuove l’esistenza della marea montante di protesta, sempre più consapevole e determinata che sta attraversando l’intera America. Il nostro ceto politico, ancora una volta, si farà trovare completamente spiazzato dagli eventi e farà precipitare il paese in balìa dei flutti.
“Solo Draghi sembra perseguire in qualche modo una rotta; riuscirà forse a preservare in qualche maniera l’esistenza dell’Italia e del suo stato, ma non la sua autonomia operativa e strategica.