F-35 non vola (causa pioggia). Ma Trump lo cancellerà davvero?

“Il programma F-35 e  il suo costo sono fuori controllo –  ha twittato The Donald il 12 dicembre. – “Si potranno risparmiare miliardi di dollari in  acquisti militari (ed altri) dopo il 20 gennaio”. Pochi giorni prima aveva criticato il costo del nuovo Air Force One, ossia la Boeing; adesso la Lockheed Martin. Non manca di coraggio, a sfidare le vacche sacre del sistema militare-industriale, che danno lavoro a migliaia di dipendenti e al Pentagono.  La Lockehed  ha risposto  con un comunicato ammantato di virtù  offesa, dove sostanzialmente si diceva: l’F-35 costa  (ma la Casa proverà a ridurne il prezzo dai 100 agli  85 milioni a pezzo) per le sue “amazing technologies”, le sue meravigliose tecnologie; è “invisibile”, è un aereo della Quinta Generazione; è eccezionale, come l’America stessa è un paese eccezionale.

Poi è avvenuto un piccolo  fatto, che mostra come la fortuna aiuti gli audaci.  Alla base aerea israeliana di Nevatim, è in corso una cerimonia importante: stanno per essere consegnati i due primi F-35 al solo e vero alleato. Sono presenti le massime autorità, ammiragli, generali e gallonati dei due paesi, piloti con le famiglie. Il rinfresco  per il brindisi è già apparecchiato.  Ashton Carter, l’ancora per poco ministro della Difesa,  nel suo discorso si commuove liricamente per  il fatto che Israele è il primo Stato fuori dagli Usa a ricevere quelle meraviglie . “Non c’è miglior simbolo dell’impegno  americano alla sicurezza di Israele  che l’F35, il migliore aereo nei cieli”.  Jeff Bibione, che della Lockheed è il capo-progetto del  meraviglioso F-35 (un  progetto in ritardo di soli 16 anni)  è raggiante. Netanyahu  è estasiato. Il presidente israeliano Reuvlen Rivlin, alato: “L’aereo che atterrerà qui cambierà le regole del gioco. Nella nostra regione non possiamo essere secondi”.

Sei ore di ritardo

Applausi. Poi tutti col naso in aria in attesa di  vedere  avvicinarsi dal cielo  la coppia di meravigliosi caccia che stanno per cambiare le regole del gioco.  Ma passano 20 minuti, e i  meravigliosi non si vedono. Bibione   diventa nervoso e s’attacca allo smartphone. Scambi di ansiose telefonate con la base del Sud Italia (forse Sigonella) da  cui i due letali gioielli devono decollare.  Ma in Italia c’è nebbia, dice ai presenti. Altre telefonate, poi: in Italia piove. Si aspetta che spiova.

I due F-35  arrivano con 6 ore di ritardo. “Ma si sa che appena entra in servizio”,  commenta sarcastico Dedefensa, “una risoluzione del Congresso vieta alla pioggia di manifestarsi su una base dove  l’F-35  è dispiegato, la macchina avendo reso chiaro che  la sua eccezionalità gli  vieta di rischiare la minima macchiolina sul suo rivestimento assolutamente stealth decollando e facendo evoluzioni col tempo cattivo. E’ così che si vincono le guerre,  dettando le condizioni in cui si svolgerà il conflitto –  tempo sereno e accordo del nemico di lasciare l’F-35 di  sparare per  primo (…) dopo  che la cosa  avrà decollato,  abbronzata dal sole israeliano”.

http://edition.cnn.com/2016/12/12/politics/f-35-jets-delayed-israel-ceremony/index.html

Sempreché non abbia a che fare con un S-400. Perché, come ha valutato  la forza aerea australiana,   il cacciabombardiere “invisibile” può arrivare al punto di lancio delle armi, “ma non può sfuggire date le limitazioni di velocità. Un F-22 può”.  Sicchè anche l’Australia ha imitato  il Canada,  acquistando invece  24 Super Hornet della Boeing ; seguendo l’esempio di Danimarca, Norvegia, Olanda che ha ridotto lo stanziamento per l’acquisto. Finisce che a mantenersi fedele all’impegno di acquistare 90 di queste meraviglie che non volano quando piove sarà – indovinate? L’Italia. Gentiloni è la persona più adatta. Deve  anche farsi perdonare il fatto che  è andato in Usa a fare il tifo per Hillary: da ministro degli esteri in carica, per giunta,  si apprezzi il senso di responsabilità, la prudenza unita  alla lungimiranza del grande statista:  è l’F-35 della diplomazia.

Le “riforme” vanno fatte al Pentagono

Torniamo al coraggio di Trump;  non pochi ritengono che esso si manifesti a parole, ma aspettano di vedere gli atti. Parti e pezzetti  da fabbricare  di F-35   sono  stati oculatamente sparsi dalla Casa  costruttrice  in numerosi  distretti del Congresso; ogni sforzo di tagliare le spese della Meraviglia avrà la sicura opposizione di decine di senatori e deputati, il cui elettorato li aizzerà a resistere ai licenziamenti.

Gli Stati che fabbricano parti di F 35
Gli Stati che fabbricano parti di F 35

Perché, in fondo, il complesso militar-industriale insieme al Pentagono sono  l’equivalente, in misura titanica, del nostri sistema di pubblico parassitismo  e di appalti pubblici:  a modo suo Lockheed Martin “dà posti di lavoro” e il Pentagono, pagando cifre spropositate un aereo che non affronterà mai una battaglia, fa’ –  in certo modo –  spesa “sociale”.   Naturalmente, come da noi, questa attività “sociale” comporta  mazzette e collusioni  incestuose pubblico-privato.  Qualche giorno  fa, in un discorso a Baton Rouge (Louisiana)  Trump ha espresso il progetto di vietare per legge alle Case produttrici di armamenti e altri contractors per la Difesa, di assumere ex dirigenti del Pentagono, specie i  responsabili degli acquisti. “Alla gente che fa  questi contratti per il governo non deve mai essere consentito di andare a lavorare  per quelle ditte…devono aver una restrizione per tutta la vita”.  Quando ha parlato così, la Northrop Grumman aveva appena assunto nel suo board il generale capo di stato maggiore  dell’aviazione Mark Welsh, per sviluppare il nuovo bombardiere B-21 Raider (anche  quello “invisibile”) di cui la Northrop s’è aggiudicata il succoso  contratto da 100 miliardi, strappandolo alla Boeing e alla Lockheed. Responsabile del contratto per il Pentagono, è stato – indovinate? – il generale Welsh.

Sono i generali che Trump ha scelto  per il suo governo,  Mattis alla Difesa, Kelly alla Homeland Security, Flynn  come consigliere speciale – a suggerirgli questi propositi;  sono esperti di dove si celano le pozze della “palude da prosciugare” al Pentagono.

Stato profondo contro  stato profondo

La forza e la pericolosità delle potenze che sfidano all’interno degli Usa non va sottovalutata. La Cia  (o sua frazione)  che ambiguamente lo accusa di essersi fatto  aiutare a rubare i voti da Putin,   innescando l’attacco dei media ostili,   agisce su indicazione di Obama.. Al punto che John Bolton, il neocon che Donald Trump ha messo nel governo (però “sotto” Tillerson, l’amico di Putin segretario di Stato)  ha ipotizzato che   possa venire fuori una prova “fabbricata” – un false flag, e lui se ne   intende – per   invalidare la vittoria di Trump.

Anche l’attacco a sorpresa a  Palmira, cui hanno partecipato 4-5 mila combattenti dell’IS   armati di cingolati e Jeep con mitragliatrici,  perfettamente comandati, porta la segnatura del CENTCOM, il quartier generale Usa per il Medio Oriente (che  nell’area comanda 58 mila regolari Usa più  42 mila contractors): l’IS è sotto attacco a Mossul  dagli iracheni;  sotto attacco a Raqqa  dai  curdi YPG (protetti da Usa), sotto attacco dai turchi e loro turco foni tra Raqqa e Aleppo; la zona è sorvolata continuamente da droni e aerei Usa, e non sorvolata dai russi proprio per evitare  incidenti;  e improvvisamente,  l’IS  dispone di 4-5 mila uomini e carri armati per puntare  su  Palmira? Lavrov e i servizi siriani hanno accusato, l’uno velatamente e  gli altri esplicitamente, l’intelligence americana che avrebbe teleguidato  i tagliagole; è un colpo di coda di Ashton Carter  prima di lasciare la scrivania?  Una vendetta   per la caduta di Aleppo? Logorare la  povera armata siriana? Far pagare un prezzo ai russi?

Il tutto è condito di fake news, notizie false,  per travolgere Trump. Un vero turbine.

Un ultimo esempio, aeronautico, per chiudere.

“La Cina ha fatto decollare bombardieri capaci di portare bombe atomiche  prima della telefonata fra Trump e il presidente di Taiwan”: così titolava  Fox News, il 5 dicembre.

http://www.foxnews.com/world/2016/12/05/china-flew-nuclear-capable-bombers-over-taiwan-before-trump-call-with-taiwanese-president.html

Il 6, la notizia è  sparata dalla NBC News

http://www.nbcnews.com/news/world/china-flew-nuclear-capable-bombers-near-taiwan-trump-call-n692421

L’11, è la volta dell’Independent britannico : il bombardiere nucleare è un “messaggio a Trump”.

http://www.independent.co.uk/news/world/asia/china-bomber-flight-send-message-donald-trump-taiwan-a7468021.html

Il 12, è Star & Stripes, la rivista delle forze armate:

https://www.stripes.com/news/china-reportedly-responds-to-trump-s-taiwan-call-by-flying-nuclear-capable-bomber-1.443999

 

Infine, la notizia viene ripresa anche da Zero Hedge, con la giunta:  il bombardiere nucleare sul mar cinese meridionale è la risposta al “bambini ignorante” Trump.

http://www.zerohedge.com/news/2016-12-12/china-flies-nuclear-bomber-above-south-china-sea-response-ignorant-child-trump

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Peccato che Pechino non disponga di nessuna  bomba atomica da aerotrasportare.   Il suo deterrente strategico consiste in  260 testate nucleari montate su missili  (Usa e Russia ne hanno ciascuno 7 mila),  come risulta dallo studio del Bulletin of  Nuclear Scientists, a firma di H.M. Kristensen e Robert S. Norris, che si basano anche su dati del Pentagono, intitolato Chinese Nuclear Forces 2016, e pubblicato online il giugno di quest’anno.

http://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/00963402.2016.1194054

Tutta la “fake news” allarmistica di Pechino che fa’ decollare bombardieri strategici in risposta alla telefonata fra  Trump e la presidente di Taiwan, non ha altro scopo che far credere  che il presidente-eletto, con la sua “ignoranza”,  ha dato prova di mancanza di diplomazia e mette  in pericolo la sicurezza  del popolo americano.  In realtà, Donald Trump ha nominato ambasciatore a Pechino Terry Branstad,  per sei volte governatore dello Iowa, “vecchio amico della Cina” e personalmente del presidente Xi Jinpin  – che è stato nello Iowa un paio di volte. Questo stato agricolo è grande fornitore ai cinesi di soya e maiale. Sembra essere lo stile (commerciale) di The Donald: parole  grosse e, poi, gesti piacevoli. E’ un modo di contrattare, di fare “un buon deal”.