Famiglia, demografia e sviluppo: il miracolo ungherese
30 maggio 2015 277
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di Antonio Brandi –
Le politiche pro vita, pro famiglia e per l’incremento demografico non riscuotono certo il consenso politicamente corretto dei grandi media e delle Istituzioni internazionali.
Frequentemente, per esempio, leggiamo sulla stampa attacchi contro Viktor Orban, il capo di Stato Ungherese, spesso presentato come un dittatore.
Vediamo ora cosa ci dicono i fatti, dai quali si potranno dedurre le ragioni della propaganda internazionale contro l’Ungheria ed il suo Presidente.
Il parlamento Ungherese ha inserito nella Costituzione la protezione della Vita dal concepimento.
Il Governo fa uscire il paese dalla crisi, manda a casa il Fondo Monetario Internazionale e rende la Banca Centrale indipendente dalle pressioni finanziarie internazionali.
Più bambini sono nati nel 2014 che negli ultimi cinque anni. Il tasso di fecondità totale è 1,41, il valore più alto dal 1997, anche se ancora non è abbastanza alto. Il numero dei matrimoni è aumentato costantemente dal 2010, del 9% nel solo 2014. Ricordiamo che tra il 2002 e il 2010 il numero dei matrimoni in Ungheria era sceso del 23%. Il numero dei divorzi è diminuito del 15% tra il 2010 e il 2013. Il numero di aborti è in continuo declino, ed è diminuito del 20% dal 2010. Grazie ai sussidi alle famiglie 236 miliardi di HUF (fiorini ungheresi) sono rimasti alle famiglie nel 2014. Le pensioni sono aumentate del 19% dal 2011 al 2014.
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NIENTE FIGLI, SIAMO TEDESCHI – LA GERMANIA È DIVENTATA IL PAESE AL MONDO DOVE NASCONO MENO BAMBINI, SORPASSATO PERFINO IL GIAPPONE – PROBLEMI PER L’ECONOMIA, DALLA FORZA LAVORO ALLE PENSIONI. E NEL BREVE L’UNICO RIMEDIO È PIÙ IMMIGRAZIONE
La media di nati ogni anno per mille abitanti in Germania è scesa stabilmente a 8,2, contro l’8,4 del Giappone. In Europa sono in un trend preoccupante il Portogallo, con 9 nati per mille abitanti ogni anno, e l’Italia con 9,3. Lontani dalla Gran Bretagna e dalla Francia, attorno a 12,7…
Danilo Taino per “Il Corriere della Sera”
Per la Germania la scelta è netta: «Più figli oppure più immigrazione». Stephan Sievert, un economista dell’Istituto per la popolazione e lo sviluppo di Berlino, ritiene che, di fronte al crollo delle nascite che è ormai diventato cronico nel Paese, l’alternativa sia questa. E che, nel breve periodo, anche la risposta sia chiara: più immigrazione, dal momento che, anche se la fertilità, bassissima, facesse un balzo improvviso, servirebbero almeno due decenni prima che i nuovi nati raggiungessero l’età da lavoro.
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La questione demografica è tra le più discusse dai tedeschi ed è una delle ossessioni di Angela Merkel, che vede nei pochi nati il declino tedesco. Ora, è destinata a fare un ulteriore balzo nel dibattito. Uno studio appena pubblicato ha stabilito che la Germania è il Paese che in assoluto fa meno figli al mondo: fino adesso si sapeva che il record negativo valeva per l’Europa, che il Giappone faceva peggio; ora il sorpasso tedesco è avvenuto.
Secondo la società di consulenza Bdo e l’Istituto di economia internazionale di Amburgo (Hwwi), la media di nati ogni anno per mille abitanti è scesa stabilmente a 8,2, contro l’8,4 del Giappone.
Fattualmente non cambia molto rispetto ai dati conosciuti: psicologicamente, però, sapere di essere il Paese che più invecchia, che vedrà la maggiore riduzione della popolazione nei prossimi decenni, che avrà grandi problemi di mercato del lavoro è destinato ad avere un effetto rilevante sulla psicologia dei tedeschi.
Sarà ancora più difficile che rinuncino a due cardini — criticati da molti, all’estero — della politica dei loro governi: avere un bilancio pubblico solido oggi, in vista di tempi difficili di basse entrate (meno lavoratori) e più spese (aumentano gli anziani); garantire ai risparmiatori tassi d’interesse non troppo bassi e in un ambiente finanziario stabile affinché risparmino per la vecchiaia. È che la demografia conta.
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Lo studio congiunto segnala che altri Paesi, in Europa, sono in un trend preoccupante: il Portogallo, con 9 nati per mille abitanti ogni anno, e l’Italia con 9,3. Lontani dalla Gran Bretagna e la Francia, attorno a 12,7. Sievert nota che il tasso di fertilità — cioè il numero di figli per ogni donna — in Germania è di 1,4: per mantenere costante il numero degli abitanti (al netto dei flussi migratori), dovrebbe essere un po’ superiore a due. Sulla base di questa tendenza, la Germania (come tutti i Paesi che fanno pochi figli) è destinata a vedere ridotta drasticamente la popolazione.
Di recente, l’immigrazione netta — l’anno scorso 1,2 milioni in entrata, 800 mila in uscita — ha reso la situazione meno drammatica, ma non si può contare sul fatto che i flussi migratori siano sempre elevati e siano accettati da un elettorato tedesco che si restringe e teme di perdere le sue peculiarità.
Il ministero degli Interni di Berlino prevede che la popolazione, oggi di 81 milioni, scenderò a 65-70 milioni nel 2060, «un declino tra il 15 e il 21% in 60 anni». Ciò significherà, per dire, che la Gran Bretagna la supererà, non solo per numero di abitanti ma anche come economia: lo studio di Bdo e Hwwi nota che, se le cose vanno avanti così, la Germania perderà la sua capacità di attrarre e cesserà di essere l’economia più potente del Vecchio Continente.
E aggiunge che la popolazione in età da lavoro, cioè tra i 20 e i 65 anni, nel 2030 scenderà al 54% dal 61% di oggi. Il ministero degli Interni calcola che i circa 50 milioni in età da lavoro si ridurranno di 6,3 milioni entro il 2030 anche ipotizzando una crescita dell’immigrazione netta di 200 mila persone l’anno.
Le soluzioni, se ci sono, sono di lungo periodo: soprattutto, fare in modo che più donne possano al tempo stesso lavorare e fare figli. Nel breve, l’immigrazione in entrata: spesso più qualificata della media dei lavoratori tedeschi.
1)Sarebbe interessante porsi domande sul motivo profondo di questa auto-estinzione degli europei. Il rifiuto della fertilità è propria delle belve in gabbia; la scelta del suicidio per estinzione fu propria dei popoli ridotti in schiavitù o, più recentemente, di tribù tradizionali, e tecnologicamente (ma
non spiritualmente) arretrate dopo l’incontro con l’uomo moderno, il “civilizzato” tecnologico, ma barbaro spirituale. A sommesso parere di chi scrive, la denatalità d’Europa coincide con la disfatta nella seconda guerra mondiale. Esausta di ideologie totalitarie in cui aveva creduto (da Napoleone
fino ad Hitler e a Stalin) l’Europa vinta ha dovuto vietarsi persino la coscienza di avervi creduto; si è troncata così ogni esame profondo del suo io collettivo, e – senza saperlo – ogni volontà di vivere nel futuro. Si sopravvive come subalterni della cultura anglo-americana, suoi schiavi ideologici; ma
non si cessa di sentire l’ideologia dei vincitori come estranea alla propria storia
e identità più vera, ancorchè censurata. Quella storia è dichiarata delitto e genocidio, anche se non fu solo quello. Che altro resta allo schiavo se non sottrarre ai padroni almeno i figli? Ma naturalmente anche questo accenno di pensiero qui esposto è vietato, politicamente scorretto, magari
“antisemita”.