di Robert Faurisson, 28 aprile 1993.
Ogni anno, attorno al 19 Aprile, i media commemorano ciò che essi chiamano “_la rivolta_” , “_il sollevamento_” o “_l’insurrezione_” del ghetto di > Varsavia. Nei racconti dei giornalisti, l’avvenimento tende ad assumere > proporzioni sempre più epiche e simboliche.
“_Non c’è mai stata alcuna insurrezione_” (1). Quest’affermazione, risalente al 1988, è di Marek Edelman, che fu > uno dei principali responsabili dei gruppi armati ebraici del ghetto.
>> Edelman aggiunse: “_non__ abbiamo nemmeno scelto il giorno; i > tedeschi lo imposero penetrando nel ghetto per cercare gli ultimi > ebrei_”.
> Egli precisò che il numero degli ebrei che combatterono con le armi in pugno non superò mai le 220 unità. > Non ci fu l’insurrezione di un popolo intero per ottenere la propria libertà o difendersi contro la deportazione; ci fu soltanto la reazione di un gruppo di giovani ebrei i quali, vedendo le truppe > tedesche penetrare nel loro santuario, tentarono prima di opporvisi, poi tentarono di fuggire il terzo giorno e, infine, accerchiati, si difesero con le armi.
>
> In 20 giorni di scaramucce i tedeschi e i loro ausiliari persero 15 uomini (2). Il tutto si avvicinò ad un’operazione di polizia in piena guerra piuttosto che di una vera insurrezione – come quella che sarebbe stata scatenata nell’Agosto del 1944, a Varsavia, dai resistenti polacchi dell’Armata dell’Interno sotto il comando del Gen. “Bor” Komorowski.
I media stentano a commemorare questa eroica insurrezione polacca che i sovietici lasciarono che i tedeschi schiacciassero con comodo. I resistenti polacchi dell’Agosto 1944 si batterono con un coraggio tale che le truppe tedesche resero loro gli onori militari.
>> E’ tuttavia interessante conoscere per quale motivo, nell’Aprile 1943, i tedeschi presero la decisione di lanciare un’operazione di polizia in seno al ghetto di Varsavia. Gli ebrei raggruppati in questo “ghetto” o questo “quartiere ebraico”, costituivano una popolazione di circa 36.000 persone ufficialmente registrate, alle quali si aggiungevano, con ogni probabilità, più di 20.000 clandestini.
> > Il ghetto era, in un qualche modo, una città nella città, amministrato da uno “ Judenrat “ (consiglio ebraico) ed una polizia ebraica che collaboravano con le autorità occupanti, anche contro i “terroristi” ebrei. Dei rifugi antiaerei furono costruiti su disposizione dei tedeschi in seguito ad un primo bombardamento su Varsavia da parte dell’aviazione sovietica nel 1942. Per realizzare ciò i tedeschi > fornirono agli ebrei il cemento ed i materiali necessari.
> Sono questi rifugi anti-aerei che la leggenda avrebbe trasformato in “Blockhaus” (casamatta) e in “Bunkers” paragonabili, in parte, alle casematte della Linea Maginot francese. Laboratori e fabbriche funzionavano ed operai ebrei vi lavoravano per conto dei tedeschi di cui erano i fornitori. All’interno del ghetto avveniva un intenso commercio.
Piccoli gruppi armati che non rappresentavano più di 220 persone, il cui programma comportava l’uso del terrore e del sabotaggio, si diedero ad estorsioni contro la polizia ebraica, contro i consigli ebraici e contro le guardie delle fabbriche e dei laboratori (3).
Questi “terroristi” traevano profitto dall’attività industriale e commerciale del ghetto, ricattavano i commercianti e gli abitanti, esercitando minacce su di essi che arrivavano, per esempio, ad imprigionarli nelle loro case per ottenere le somme di danaro richieste.
Riuscivano perfino ad acquistare delle armi dai soldati che, a Varsavia come spesso nelle retrovie del fronte, costituivano una truppa disparata, male addestrata, poco motivata; arrivavano perfino a commettere attentati contro i militari tedeschi o “collaboratori” ebrei.
L’insicurezza aumentava. Per questo motivo la popolazione polacca, nel suo insieme, era sempre più ostile all’esistenza di questo ghetto e i tedeschi, dal canto loro, temevano che questo diventasse una minaccia per il nodo ferroviario che la città di Varsavia rappresentava nella loro economia di guerra e nel trasporto delle truppe in direzione del fronte russo.
Himmler prese allora la decisione di trasferire la popolazione ebraica, assieme ai laboratori e alle fabbriche, verso la zona di Lublino (nel Sud della Polonia), di radere al suolo il ghetto ed, al suo posto, di costruirci un parco.
In un primo tempo i tedeschi tentarono di convincere gli ebrei ad accettare questo trasferimento.
Ma i “terroristi” da questo orecchio non ci sentivano poiché avrebbe significato per essi la perdita sia delle loro fonti finanziarie, sia della loro libertà di movimento.
Spesero dunque tutte le loro energie ad opporvisi, fino al 19 Aprile 1943, quando, su ordine di Himmler, fu lanciata un’operazione di polizia al fine di evacuare con la forza gli ultimi ebrei. In quel giorno le truppe del Colonnello Von Sammern-Frankenegg, responsabile dell’operazione, penetrarono nel ghetto, appoggiate da un solo carro armato, preda bellica della campagna di Francia e da due autoblindo.
I “terroristi”, o franchi tiratori, opposero una prima vivace resistenza che fece 12 feriti (sei tedeschi e sei suppletivi, chiamati “ascari”). Himmler si indignò e la sera stessa sollevò Von Sammern-Frankenegg dal comando per sostituirlo con Gen. Juergen Stroop.
Questi, incaricato di portare avanti l’operazione di polizia con lentezza per avere una maggiore sicurezza, la effettuò nel seguente modo: ogni mattina le truppe penetravano nel ghetto, vuotavano gli immobili e utilizzavano dei fumogeni (e non dei gas tossici!) per fare uscire dai rifugi anti-aerei gli ebrei che vi si nascondevano; si distruggevano poi questi immobili man mano che venivano evacuati. Ogni sera le truppe si ritiravano e circondavano il ghetto di notte in modo che nessuno potesse fuggire. Per arrivare ad una totale evacuazione ci vollero 20 giorni.
A partire dal 3° giorno, i gruppi armati di ebrei tentarono di fuggire ma erano stati catturati dal dispositivo di sorveglianza. Contrariamente a ciò che fu detto, il comando tedesco non si rivolse all’aviazione per distruggere il ghetto e l’operazione non comportò alcun bombardamento aereo. Il numero delle vittime ebraiche non è conosciuto.
Il numero di 56.065 è generalmente quello degli ebrei “arrestati” per essere diretti verso il campo di transito di Treblinka e, da lì, verso Lublino (4).
Il numero dei morti tedeschi fu di 15 vittime. Un poliziotto polacco fu ucciso il 19 Maggio, ossia undici giorni dopo l’ultimo scontro. Nessuno vuole mettere in dubbio ne il coraggio degli ebrei resistenti del ghetto, ne l’aspetto tragico di questa storia, con una popolazione civile presa in mezzo ad uno scontro fra qualche formazione disparata dell’esercito tedesco e piccoli gruppi di franchi tiratori sparsi fra la popolazione. Ma, contrariamente ad una certa propaganda mistificante, tutta questa storia fu ben lontana dal costituire una rivolta “apocalittica” come fu recentemente considerata (5), soprattutto se si pensa alle decine di migliaia di morti, civili e militari, che avvennero durante questi 20 giorni su tutti i campi di battaglia nel mondo e nelle città europee sottoposte ai bombardamenti dell’aviazione anglo-americana (6).
NOTE
> 1) quotidiano LIBERATION del 18 Aprile 1988 (pag. 27)
2) Documento di Norimberga PS-1061, rapporto del 16 Maggio 1943 intitolato “_non c’è più un quartiere ebraico a Varsavia”, _Tribunale Militare Internazionale, XXVI, > pag. 628-694, seguito da una scelta di 18 foto su 54. Nel 1979 fu pubblicata negli USA un’opera che si presentava come una riproduzione in facsimile del rapporto e dei comunicati del Gen. Stroop in tedesco con una traduzione in inglese: _The __ Jewish Quarter of Warsaw is no more_ / Il Rapporto Stroop, tradotto dal Tedesco e annotato da Sybil > Milton, introduzione di Andrzej Wirth, New York, Pantheon Books, 1979.
Traduzione Gian Franco Spotti