«In democrazia, il popolo non ha né torto né ragione, ma decide»: fondamento della legittimità democratica. Ecco perché la questione di sapere chi è cittadino e chi non lo è, è fondativa di ogni prassi democratica. Per questo le frontiere sono essenziali.
Alain de Benoist è saggista, filosofo, autore di un centinaio di opere relative alla filosofia politica e alla storia delle idee. Ha appena pubblicato Contro il liberalismo. La società non è un mercato, per le Edizioni di Rocher. Interveniva al sesto colloquio dell’Istituto ILIADE, «Europa, l’epoca delle frontiere», il 6 aprile 2019:
Signore e signori, cari amici,
Vorrei parlarvi di un fenomeno relativamente nuovo e non privo di legami con il tema di questa giornata. Si tratta dell’illiberalismo. La parola è un po’ barbara, ma il senso è abbastanza chiaro: essa designa l’avvento di nuove forme politiche che si richiamano alla democrazia, ma vogliono allo stesso tempo rompere con la democrazia liberale che si trova oggi in crisi in pressoché tutti i paesi del mondo.
Il termine è apparso alla fine degli anni ’90 negli scritti di un certo numero di insigni politologi, ma solo in tempi molto recenti, nel 2014, si è imposto fra il grande pubblico quando il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, ha pubblicamente dichiarato a un’università estiva del suo partito: «La nazione ungherese non è un aggregato di individui, ma una comunità che dobbiamo organizzare, fortificare e dunque elevare. In questo senso, il nuovo Stato che stiamo edificando non è uno Stato liberale ma illiberale». Aggiungeva che è giunto il momento di «comprendere sistemi che non sono occidentali, che non sono liberali, e che però fanno il successo di alcune nazioni».
Che cosa voleva dire con questo? E qual è in fondo la differenza fondamentale tra la democrazia liberale e la democrazia illiberale?
La differenza è che il liberalismo si organizza intorno al concetto di individuo e intorno al concetto di umanità, eliminando tutte le strutture intermedie, mentre la democrazia illiberale, che poi è la democrazia in genere, si organizza fondamentalmente intorno al concetto di cittadino. Si può a questo riguardo definirla come una dottrina che separa l’esercizio classico della democrazia dai princìpi dello Stato di diritto. Si tratta di una forma di democrazia in cui la sovranità popolare e l’elezione continuano a svolgere un ruolo essenziale, ma dove non si esita a derogare a certi princìpi liberali quando le circostanze lo esigono.
Le cause dell’ascesa dell’«illiberalismo» sono evidenti, e per molti versi coincidono con quelle che spiegano oggi il successo dei partiti populisti. Esse attengono prima di tutto alla constatazione che le democrazie liberali si sono un po’ ovunque trasformate in oligarchie finanziarie staccate dal popolo: inefficacia, impotenza, corruzione, partiti trasformati in semplici macchine per farsi eleggere, regno degli esperti, ristrettezza di vedute, ecc. A questa osservazione se ne aggiunge un’altra, più grave: nelle democrazie liberali, ormai le nazioni e i popoli non hanno più i mezzi per difendere i loro interessi.
Quale senso in effetti può mai avere la sovranità del popolo se i governanti non hanno più l’indipendenza necessaria a fissare da soli i propri indirizzi di massima in campo economico, finanziario, militare, oppure in materia di politica estera? Si può continuare ad imporre dei princìpi giuridici che, invece di favorire la coesione dei popoli e la perpetuazione dei loro valori comuni, finiscono per dissolverli?
Soffermiamoci sui dettagli della questione. La democrazia tutta poggia sul principio della sovranità popolare in quanto potere costituente. La democrazia è la forma di governo che risponde al principio dell’identità di vedute dei governanti e dei governati, giacché la prima identità è quella di un popolo concretamente esistente con se stesso in quanto unità politica. Tutti i cittadini che appartengono a questa unità politica sono formalmente uguali.
Precisiamo tuttavia che il principio della democrazia non è quello dell’uguaglianza naturale degli uomini fra loro, ma quello dell’uguaglianza politica di tutti i cittadini: il suffragio obbedisce alla regola «un cittadino, un voto», e non alla regola «un uomo, un voto». Il popolo, in democrazia, non esprime con il voto proposte che siano più «vere» di altre. Fa semplicemente sapere dove vanno le sue preferenze e indica se sostiene o ripudia i suoi dirigenti.
Come scrive molto giustamente Antoine Chollet, «in una democrazia, il popolo non ha né torto né ragione, ma decide». È il fondamento stesso della legittimità democratica. Ecco perché la questione di sapere chi è cittadino – e chi non lo è – è la questione fondativa di ogni prassi democratica. Anche per questo le frontiere territoriali dell’unità politica sono essenziali. Del pari, la definizione democratica della libertà non è l’assenza di costrizione, come nella dottrina liberale o secondo Hobbes, ma si identifica con la possibilità per ciascuno di partecipare alla definizione collettiva degli indirizzi politici e dei vincoli sociali. Le libertà, sempre concrete, si applicano a campi specifici e a situazioni particolari.
Il liberalismo è tutto diverso. Sebbene la politica non sia né una «sfera» né un campo separato dagli altri, ma una dimensione elementare di tutta la società o comunità umana, il liberalismo è una dottrina che, sul piano politico, divide la società in un certo numero di «sfere» e sostiene che la «sfera economica» dev’essere resa autonoma nei confronti del potere politico, sia per ragioni di efficienza (il mercato funziona in maniera ottimale solo se nulla va ad interferire con il suo funzionamento «naturale»), sia per ragioni «antropologiche» (la libertà di commercio, dice Benjamin Constant, affranca l’individuo dal potere sociale, giacché per definizione è lo scambio economico che meglio permette agli individui di massimizzare liberamente i propri interessi). L’economia, percepita in origine come il regno della necessità, diviene così quello della libertà per eccellenza.
Ridefinita in senso liberale, la democrazia non è più il regime che consacra la sovranità del popolo, ma quello che «garantisce i diritti dell’uomo», intendendo con ciò i diritti soggettivi, inerenti alla persona umana e dichiarati per questo motivo al contempo «naturali e imprescrittibili». Per i liberali, questi diritti prevalgono sulla sovranità del popolo al punto che essa viene rispettata solo più finché non li contraddice: l’esercizio della democrazia è così sottoposto a condizioni, a partire dal rispetto dei «diritti inalienabili» posseduti da ogni individuo in ragione stessa della sua sola esistenza.