di Roberto PECCHIOLI
I genovesi sono taccagni; i napoletani cantano e mangiano pizza; gli inglesi sono flemmatici e non ci sono più le mezze stagioni. Gli italiani sono feroci razzisti impegnati da mane a sera nella caccia al negro. L’ ultima ridotta del progressismo italico è il luogocomunismo antirazzista, declinato secondo modalità e forme fobiche. Superata la fase umoristica e poi pavloviana del riflesso condizionato, le orfanelle sinistrorse hanno decisamente imboccato una deriva prossima alla paranoia. Come i complottisti in servizio permanente effettivo, simili ai rettiliani o agli adepti di una setta di illuminati, interpretano tutto in termini binari: bene / male, razzismo/ antirazzismo.
La sorpresa per le reazioni positive della gente “normale”, l’ex popolo da essi non più rappresentato dinanzi alla stretta sull’invasione dei barconi, li sconcerta al punto da far smarrire loro la residua lucidità. L’episodio torinese della “vile aggressione razzista” all’atleta nigeriana, cittadina italiana, è il segnale che qualcosa si è definitivamente spezzato nella mente contorta dei maitre à penser democratici, accoglienti, riflessivi, progressisti. Come gli alcolisti all’ultimo stadio ubriachi dopo un solo bicchiere, o i pugili suonati al suono di un gong, scattano come un sol uomo e menano fendenti. Giornate intere di intemerate giornalistiche, virtuose e “coraggiose” prese di posizione, tweet indignati a ditino alzato, sopracciglia inarcate e indignazione a fiumi si sono arenate tristemente, una misera implosione, un “plof” grottesco.
Non solo gli autori dell’aggressione a base di uova non erano animati da alcun intento razzista – si trastullavano da giorni con il dubbio passatempo del lancio di uova – ma addirittura uno dei colpevoli è il rampollo di una famiglia di fieri sentimenti democratici. Il padre è consigliere municipale del PD, la mamma, sconcertata, aveva manifestato via social media indignazione per l’episodio di intolleranza, teppismo, criminalità e chi più ne ha più ne metta. Giusto per calmare le acque, il Giornalista Collettivo Democratico, Antifascista, Antirazzista eccetera eccetera, aveva montato un ulteriore campagna su un altro episodio accaduto a Napoli. In quel caso, un senegalese è stato ferito a colpi di arma da fuoco in un quartiere ad alta incidenza criminale. Razzismo dei quartieri spagnoli, o regolamento di conti tra gentiluomini di malavita?
Ma tant’è, la lingua batte dove il dente duole. La prima considerazione è che il tema dell’immigrazione è quello centrale, il più importante, decisivo, dirompente di questi anni. Esattamente come non può essere affrontato con anatemi nei confronti degli stranieri, odio o violenza fai da te, non può essere negato o interpretato con le categorie fobiche, i riflessi condizionati, le urla scomposte, la demonizzazione, i luoghi comuni della sinistra e della sua mosca cocchiera, la neo Chiesa “di papa Francesco”.
L’episodio torinese è molto istruttivo. Dopo giorni di veleno sparso a piene mani, moralismo d’accatto proveniente da ogni sentina e dai pulpiti più improbabili, la triste verità (per loro) ha partorito un topolino indigeribile. Il vecchio “contrordine, compagni” di guareschiana memoria, si è tradotto in una scrollata di capo e nell’emissione della nuova, inappellabile sentenza della Suprema Corte progressista e luogocomunista. Si è trattato di un episodio di goliardia. Nessun interesse per i cittadini colpiti dai lanciatori “democratici”. Focus unicamente sull’atleta di origine africana, prontamente istruita alla parte di vittima, pianti altissimi sul rischio che non potesse partecipare a una competizione internazionale, pistolotti, sdegno e omelie delle più disparate – e autonominate – autorità morali dello Stivale, a partire dal senatore del Valdarno Renzi Matteo, reduce dall’avere ottenuto un cospicuo mutuo per l’acquisto di una modesta casupola panoramica sui colli fiorentini.
Appresa la triste verità, superata la doccia gelata, non si sono persi d’animo: cambio di versione, virata di 180 gradi, è stata solo una goliardata, uno scherzo da ragazzi. In spagnolo, c’è un gioco di parole, uno scilinguagnolo il cui senso non si perde, tradotto nella nostra lingua: Donde dije digo, digo Diego. Dove ho detto dico, dico Diego. Un attimo prima era in azione un pericoloso movimento estremista, xenofobo e violento che chiameremo Forza Uova, prodotto criminale dei populisti assurti al governo, come il bieco Salvini nemico del popolo. Dopo, dicono che è tutto uno scherzo, dolcetto e scherzetto come ad Halloween, sono ragazzi, lasciateli divertire, che volete che sia qualche uovo in faccia ai passanti, la ferita all’occhio della giovane che, guarda un po’, non è la signorina Rebaudengo di Moncalieri, ma ha la pelle scura. Non ci interessa speculare sui precedenti penali di suo padre, le colpe dei genitori non ricadono sui figli, buona guarigione a Daisy (neanche il nome, margherita in inglese, è italiano…) e auguri per i successi sportivi. Come nel mondo pop di Andy Warhol, ha avuto, suo malgrado, il suo quarto d’ora di popolarità.
Adesso, chi se ne frega di lei, l’uovo non era razzista, Daisy non conta più nulla. Il lanciatore? Un goliarda, uno studente buontempone in vena di scherzi pesanti, tipo il “fagiolo” del secondo anno che martirizzava le matricole. Ma non era bullismo o nonnismo? No, una ragazzata, favorita dalla noia di provincia nell’insolita calura subalpina. E’ una fortuna che uno dei goliardi provenga da una famiglia progre, almeno ci siamo risparmiati la retorica sugli insegnamenti sbagliati, sul vuoto di valori (parlano loro, di valori, capite?), la mancanza di solidarietà. Manca che proponessero, come pena accessoria, l’obbligo di assistenza alle conferenze dell’ANPI o lavoro gratuito presso qualche associazione di cattolici impegnati. Se sono impegnati, sono “de sinistra”. Il resto non conta, anzi non esiste.
Negli stessi giorni, oltre alla divertente mascherata delle magliette rosse (un colore, una garanzia) antirazziste, l’ammiraglia della flotta democratica italiana, Repubblica, il timoniere che detta il ritmo ai vogatori, si era esibita in uno dei suoi numeri più riusciti, una pensosa inchiesta a Macerata, la città in cui è avvenuto l’omicidio e lo scempio della povera Pamela a opera di alcuni nostri turbolenti fratelli nigeriani, con il successivo raid dello sventurato Traini. Il senso delle sofferte pagine del vangelo dei benpensanti è la stigmatizzazione, previa ridicolizzazione, della paura, movente omnibus, sbagliato, stupido e incomprensibile, dell’atteggiamento di molti cattivi italiani nei confronti degli stranieri.
Questa è l’unica chiave di lettura ammessa, meritevole di approfondimento oltre la cronaca e la polemica. Per i sapientoni progressisti, l’unico sentimento che animerebbe gli avversari dell’immigrazione di massa è la paura. Paura del diverso, dello straniero, dell’altro, dell’uomo nero. Una fobia patologica da affrontare con le categorizzazioni, i protocolli e le terapie della psicologia o, nei casi più ostinati, della psichiatria. Xenofobo, in effetti, è colui che ha paura della straniero. Sbagliano, i cultori delle magnifiche sorti e progressive: innanzitutto perché confondono la parte con il tutto. Esiste indubbiamente un timore diffuso, un sospetto istintivo nei confronti di chi non corrisponde ai canoni conosciuti. Vale per il colore della pelle o i tratti somatici, ma anche per i costumi, gli usi, le credenze, i comportamenti, perfino l’abbigliamento. Ma, appunto, è solo una parte di un problema più complesso.
Il secondo errore è quello, tipico della superficialità e dell’approccio ideologico, di non distinguere causa e effetto. La paura è sempre l’effetto di qualcosa. Non si ha paura se non si è in pericolo, se non si paventa, prevede o intuisce un rischio, un ostacolo, un male. E’ il perché della paura che non interessa i signori della sinistra, che si limitano ad affermare, senza dimostrazione e senza addurre alcuna motivazione seria, che manca una qualsiasi ragione al timore dello straniero. Si tratta, ovviamente, di una posizione insensata, giacché nega un fatto a favore di un’opinione.
Il giornalista Corrado Augias, elegante, ineccepibile nella qualità professionale, pacato e apparentemente equilibrato, è uno dei più insigni rappresentanti di tale forma mentis. Dal pulpito- pagato da tutti noi- di una trasmissione televisiva imperniata sulla storia, circondato da giovani ascoltatori, affronta spesso il tema, officiando il Verbo con l’ispirata eloquenza di un arciprete del passato alle prese con l’anima immortale, battendo su quell’unico tasto, la paura. Irrazionale, insensata, infondata. Il razzista (evitiamo per brevità di contestare il termine, tanto è inutile dinanzi ai padroni della verità e dei significati) sarebbe in sostanza un cattivo soggetto impregnato di odio in quanto prigioniero di timori assurdi. Un argomento risibile, giacché l’intera storia umana ci parla della diffidenza verso lo straniero, del desiderio di ogni uomo di vivere all’interno della propria comunità secondo regole, ritmi, meccanismi conosciuti.
Il razzista immaginario di Augias, preti e compagni, è un malato, uno spostato che materializza le sue paure, proiettandole nella figura dello straniero. Davvero una spiegazione debole; il rimedio a tale condotta irrazionale e patologica sarebbe quindi la repressione per via legale o la rieducazione, a cui si dedicano dai più svariati pulpiti, dai quali assicurano che le differenze etniche non esistono (L’invenzione delle razze è il titolo del libro di un professorone) e teorizzano l’accoglienza generalizzata con il ricatto morale e la riduzione del dissidente a malato fobico.
Possiamo agevolmente rovesciare la teoria, affermando che l’antirazzismo esagitato di costoro è altrettanto patologico, fobico, dell’atteggiamento opposto, con l’aggravante di negare dignità alle intenzioni altrui, i cui moventi, non più celati, sarebbero da rinvenire nell’odio irrazionale generato dal sentimento difensivo della paura, la quale, al contrario è l’effetto di qualcosa che ha turbato profondamente l‘animo di molti. Se gli stranieri fossero in numero compatibile con la realtà demografica, economica e sociale del paese, non sussisterebbe né paura né rigetto. Se l’accoglienza fosse una scelta ponderata e non un obbligo imposto come ricatto morale o con il non-argomento dell’ineluttabilità, la cui falsità è dimostrata dalle misure di queste settimane, se non ci sentissimo invasi, oppressi, messi in pericolo da masse umane tanto imponenti, indifesi dalle istituzioni e traditi dalle agenzie di senso in cui avevamo fiducia, non avremmo paura, non manifesteremmo dissenso e qualcuno non compirebbe pessimi gesti di rancore o rifiuto.
La psicopolizia ossessionata dal razzismo non passerebbe il tempo sulla torretta di guardia lanciando allarmi, gridando quotidianamente al lupo. Jean Marie Le Pen, che di demonizzazione subita se ne intende, una volta chiamò “fobofobia” alcuni tic progressisti. Paura delle paure, aggravata dal tenace autoconvincimento di detenere una superiorità morale e antropologica, attitudine che è una forma singolare di discriminazione, un complesso di superiorità da curare con un bagno di umiltà e di senso comune, Marcello Veneziani lo definì razzismo etico, per il quale, se fossimo come loro, dovremmo invocare la legge Mancino. Ma le idee, i sentimenti, anche i peggiori, non si reprimono con il codice penale.
Possiamo solo chiedere loro di trarre una lezione dalla vicenda delle uova razziste, l’ennesimo infondato allarme dei buoni, giusti e puri. Contate fino a dieci, fino a cento, la prossima volta, prima di scatenarvi e cadere nel ridicolo. Siete ormai diventati come lo sfortunato cane di Pavlov, che sbavava non alla vista del cibo, ma al suono del campanello che, nella prima fase dell’esperimento, anticipava l’arrivo del boccone. L’ossessione antirazzista è una fobia assai simile a quella che i vostri intellettuali attribuiscono agli avversari. La miglior terapia è l’impatto con la realtà, unito con il ridicolo che provocate, l’ilarità amara che suscitate in tanta gente. Forza uova, nel senso che è venuta fuori la frittata e avete fatto indigestione.
Da goliardi a goliardi, due consigli. Uno proviene direttamente da Avvenire, il quotidiano di lotta ed accoglienza, il quale ha titolato, sulla vicenda di Daisy, un profetico vergogniamoci! accompagnato dalla foto della giovane con l’occhio tumefatto. Esatto, si vergognino una buona volta le anime belle per la bassa speculazione montata sulle basi che sappiamo. L’altro consiglio, a beneficio di chi ha mangiato l’indigesta frittata: un po’di dieta, due cucchiai di bicarbonato, una pezza bagnata sulla fronte surriscaldata, e di corsa all’Azienda Sanitaria per l’ esame del colesterolo, a rischio per l’abuso di uova.
Roberto PECCHIOLI
(MB. Intanto i pd e gli oligarchi mediatici hanno identificato un nuovo nemico da abbattere: la capotreno della Trenord. Un delatore l’ha segnalata alle autorità per aver invitato “zingari e molestatori” a scendere dal treno “perché avete rotto i coglioni”. Che è la pura verità e la realtà subita quotidianamente dal personale viaggiante. Adesso la lavoratrice rischia il licenziamento per una frase.
Serra Dei Conti (ANCONA) 06/08/18 pic.twitter.com/QAn6wv5904
— Fabio Porcarelli (@FabioMixtodonte) August 8, 2018
il rischio è reale: un anno fa l’azienda ha
licenziato il capotreno di Trenord che era stato aggredito e rapinato da un passeggero senegalese senza biglietto per gli insulti razzisti che gli aveva rivolto
http://www.ilgiornale.it/news/trenord-licenziato-capotreno-aggredito-senegalese-1476123.html
Orwell è abbondantemente superato.