FRAGILITA’ DELLA LIBERTA’
“La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio.
Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle”
Sant’Agostino
Questa estate è stata per lo scrivente un periodo molto importante. Gli eventi succedutisi lo hanno confermato in antiche convinzioni ed al tempo stesso gli hanno aperto nuovi scenari per approfondirne la fondatezza.
Le tensioni sociali e le manifestazioni di piazza registratesi in tutto il mondo occidentale, intorno alla questione delle restrizioni terapeutiche alle libertà personali introdotte con la presunzione di sconfiggere la pandemia, hanno rappresentato un tentativo di fermare l’attuazione in corso del progetto di riorganizzazione del mondo secondo le linee stabilite da organizzazioni globaliste come il World Economic Forum di Davos.
L’impressione che molti hanno è quella di assistere ad una accelerazione del superamento della democrazia liberale e dell’imporsi di un neo-totalitarismo dalle suadenti forme postmoderne. Questo neo-totalitarismo non abbisogna di violenza fisica perché si sta dimostrando capace di adoperare molto meglio, e con più sofisticata capacità, delle vecchie dittature novecentesche gli strumenti della manipolazione di massa amplificati dalla nuova tecnologia digitale.
Lo scrivente non è di cultura politica liberale perché ritiene che la libertà in sé non sia al primo posto della gerarchia dei piani nei quali si articola la struttura ontologica dell’essere umano. La libertà è in posizione non prioritaria perché il primo posto lo occupa la Verità trascendente che, pertanto, è anche la radice prima e la base più sicura della libertà stessa. Quest’ultima rimane inevitabilmente esposta alle proprie contraddizioni quando manca di quella radice o la rinnega, scadendo nell’arbitrio individualistico ed esponendosi di conseguenza, per via della parcellizzazione atomistica che ne consegue, alla manipolazione in tutte le sue forme, politiche, finanziarie, tecnologiche.
La libertà, per sua natura, è fragile ma senza un ancoraggio superiore lo è ancora di più.
VOCATI AD UNA SCELTA
L’uomo è comparso sulla scena del mondo chiamato ad un fondamentale esercizio di libertà che è quello della scelta, agostiniamente parlando, tra “Amor Dei” ed “amor sui”. Questa scelta, che ogni uomo attua quotidianamente negli stessi atti della vita ordinaria, è quella che svela il rapporto intrinseco tra Verità e libertà. L’amore è sempre un atto gratuito e libero, non esiste amore coatto perché se coatto non sarebbe amore. L’amore, soprattutto nel suo senso metafisico più alto, richiede libertà. Ma le conseguenze della scelta, cui l’uomo è chiamato, non sono mai neutrali o indifferentemente equivalenti. Se l’Amore, che ci porta verso la comunione spirituale, mistica, con l’Uni-trino, ci libera, trasformandoci nella nostra stessa carne, l’amore egoistico, quello che si impone come affermazione dell’arbitrio soggettivistico, ci rinchiude in gabbia perché altera il dono della vita, ossia l’esistenza personale, in una prigione dell’io.
Se è vero che anche la Verità/Amore può essere strumentalizzata, e sovente lo è stata, per scopi di dominio, resta verissimo che qualsiasi strumentalizzazione non l’ha mai toccata nella sua essenza trascendente laddove, invece, le forme coercitive, anche all’interno delle compagini istituzionali della Tradizione, hanno finito immancabilmente per scomparire cedendo il passo alla sua immacolata essenza che è sempre rimasta immune da contaminazioni umane perché non soggetta alle contingenti dinamiche storiche.
La questione sta nell’adesione, o meno, del cuore umano alla Verità/Amore e questo vale in ogni dimensione dell’esistenza dell’uomo. Anche e principalmente in quella politico-sociale. Se la democrazia liberale sta cedendo il passo, sotto i nostri occhi, a nuove forme di potere totalitario, “eleganti” nella loro apparente propensione all’umanità, questo accade proprio perché essa è nata con il peccato originale della chiusura alla Verità/Amore, quantomeno nella forma della sua relativizzazione.
STRATEGIE DEL NUOVO TOTALITARISMO
Questa estate, dunque, – per tornare all’incipit di queste considerazioni – abbiamo potuto registrare una forte accelerazione nello svilupparsi di un neo-totalitarismo e comprendere con quale facilità le masse siano disposte passivamente ad accettare la totalizzazione del potere, soprattutto se artatamente impaurite da una accorta propaganda. E’ stato possibile capire in presa diretta come nascono, senza forti opposizioni, le dittature.
Abbiamo visto i media instillare l’odio contro i presunti “nuovi untori” e sollecitare le masse all’esclusione ed alla punizione dei nuovi “nemici dell’umanità”: un noto scienziato li ha definiti “sorci”; un noto giornalista ha chiesto ai rider di sputare nel loro cibo; un’altra giornalista, tanto avvenente quanto mentalmente chiusa, li vorrebbe tutti reclusi e privati dei più elementari diritti.
Abbiamo assistito a tv di Stato o private snocciolare dati statistici artefatti o mal interpretati e nascondere invece i dati in controtendenza, provenienti da Israele, dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra e dall’Islanda, perché dissonanti con la narrazione che impone il nuovo potere, così come nascondere i dubbi sollevati da scienziati qualificati e perfino da premi nobel per la medicina.
Abbiamo visto l’esaltazione propagandistica dell’efficacia di sieri presuntamente risolutivi – benché poi, a fronte della loro inefficacia sul campo, la narrazione si è dovuta riassestare sul “ma comunque aiutano” – mentre al contempo venivano nascosti i racconti dolorosi di centinaia di vittime, testimonianze che circolano solo sul web, se non censurate, o nelle cronache locali (saranno queste probabilmente la sola fonte per lo storico che tra cinquant’anni vorrà ricostruire i contorni della follia della nostra generazione).
Abbiamo visto noti filosofi, acclamati fino a ieri come il meglio della cultura nazionale, messi alla berlina, denigrati, derisi, insultati per aver ammonito sui rischi di derive totalitarie verso le quali il potere emergente ci sta dirottando.
Abbiamo visto la propaganda mediatica utilizzare un linguaggio discriminatore squalificando con epiteti odiosi quei cittadini che non credono, motivatamente, alla narrazione ufficiale del nuovo potere, tutti annoverati nella stessa “pericolosa” categoria dei negatori, senza alcuna distinzione sulle diverse ragioni della loro “incredulità”, e tutti messi nello stesso sacco: sia i complottisti fanatici ed idioti sia chi invece, ed è la maggior parte dei refrattari, non è per principio contro laddove le metodiche terapeutiche sono certificate ed ampiamente sperimentate ma soltanto nel caso di specie nel quale esse sono ancora sperimentali e non certificate.
Persino Papa Bergoglio si è accodato al coro propagandistico lasciando sbigottiti molti fedeli perché le sue pubbliche dichiarazioni sono in controtendenza rispetto al magistero cattolico in tema di condizioni per la liceità morale di certe terapie ed agli stessi atti di tale magistero da lui in persona approvati e firmati in linea con il tradizionale insegnamento. Se il cattolico ben informato è consapevole che negli atti del magistero parla il Papa, mentre nelle esternazioni estemporanee parla invece soltanto il signor Jorge Mario Bergoglio, la cui personale opinione per quanto rispettabile ed autorevole non obbliga, la maggior parte dei fedeli, purtroppo, non coglie tale distinzione e questo rende poco stimabile uno stile papale troppo estemporaneo come quello al quale ci ha abituati il pontefice attuale.
Ma dove il superamento della democrazia liberale, verso l’esito neo-totalitario, si è rivelato con ogni evidenza è nell’introduzione, con il decreto legge n. 111 del 6 agosto scorso, della “tessera color dell’erba” – usiamo un linguaggio allusivo, ma perfettamente comprensibile ai lettori, per sfuggire alle censure algoritmiche del potere digitale che ormai colpiscono chiunque esprima dubbi sulle politiche governative – la cui imposizione ha sottoposto, come si dirà, molti cittadini al ricatto della sospensione non retribuita dal lavoro che può anche trasformarsi in una surrettizia perdita definitiva. Infatti la sospensione benché teoricamente momentanea si configura come a tempo indeterminato, salvo cedimento all’obbligo terapeutico imposto, dato che nel decreto legge – contro tutti i criteri che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha indicato quali inderogabili parametri e presupposti per la decretazione d’urgenza – non viene indicato alcun termine “ad quem” della sospensione lavorativa non retribuita.
Uno tra gli scienziati ormai noti per le loro comparsate televisive, profumatamente pagate con i soldi dei contribuenti, quindi anche delle vittime di certe terapie, lo ha detto chiaramente: la tessera color dell’erba non ha alcuna funzione di prevenzione sanitaria – anzi coloro che la posseggono perché sierizzati non possono ritenersi affatto tranquilli sotto il profilo della possibilità di contrarre egualmente l’infezione – ma serve soltanto per costringere, con il ricatto della sospensione dal lavoro senza retribuzione, coloro, tra chi svolge ruoli scolastici, che ancora non sottostanno alla terapia ufficiale ma magari preferiscono, all’occorrenza, terapie diverse e più efficaci.
Il decreto legge in questione, anche a detta di noti e qualificati costituzionalisti, è un vulnus tremendo alla nostra Legge Fondamentale – Carl Schmitt, come volevasi dimostrare, sta trionfando su Hans Kelsen – perché aggirando surrettiziamente l’articolo 32 della Costituzione consente il ricatto e la coercizione psicologica del renitente laddove, invece, detto articolo, delineando i paletti entro i quali lo Stato può imporre prescrizioni sanitarie generali, stabilisce chiaramente la prevalenza, nell’ambito della tutela della salute, del diritto della personale sull’interesse collettivo che, stando all’articolato in questione, è soltanto sussidiario. La prevalente giurisprudenza della Corte Costituzionale, poi, ha finora sempre interpretato tale articolo nel senso che lo Stato può, in caso di emergenza, imporre prescrizioni sanitarie obbligatorie ma soltanto se si tratta di strumenti terapeutici debitamente sperimentati e certificati, come non sono invece le terapie attualmente sdoganate, in via provvisoria e senza autorizzazione definitiva, dai competenti organi di vigilanza nazionali ed europei (la FDA americana, nonostante la fake new ufficiale, non ha ancora definitivamente certificato nulla ma solo confermato l’autorizzazione alla commercializzazione).
C’è chi, speranzoso, ha aspettato che si alzasse, autorevole, la voce del Custode della Costituzione ad ammonire e richiamare il legislatore d’urgenza al rispetto degli invalicabili limiti imposti dalla Carta Costituzionale. Inutilmente! Ogni speranza è, poi, venuta meno quando, dal meeting di Rimini, abbiamo sentito la massima carica dello Stato optare per la tesi del supposto “dovere morale” in ordine all’assoggettamento alla terapia ossessivamente propagandata.
LA DERIVA TOTALITARIA DELL’ANTIFASCISMO
La nostra è una Repubblica parlamentare. L’attuale governo tuttavia pur avendo formalmente i numeri parlamentari per la fiducia non ha una vera legittimità sostanziale dal momento che il popolo italiano nel 2018 aveva votato forze le quali all’epoca esprimevano una volontà di cambiamento in senso “sovranista” senza poter immaginare che quelle stesse forze avrebbero poi tradito quella volontà fino a snaturarsi. Costantino Mortati, uno dei più grandi costituzionalisti del dopoguerra, sosteneva che esiste una “costituzione sostanziale” la quale impone il rinvio alle urne, nonostante la formale presenza in parlamento di numeri sufficienti a sostenere un governo, quando l’assemblea non esprime più l’orientamento sostanziale del popolo.
Il rovesciamento della volontà popolare, pur dietro il mero rispetto formale della Costituzione, ha portato al ruolo di capo del governo un ex Banchiere Centrale chiamato per gestire i 209 miliardi del Recovery Fund. Essendo questa la sua funzione, è evidente che l’attuale Presidente del Consiglio non può essere disturbato qualunque cosa decreti il suo governo, anche in caso di dubbia legittimità costituzionale delle decisioni intraprese. Di fronte all’imperativo economico non c’è Stato di diritto che tenga, a dimostrazione di quanto sia fragile la libertà priva di istanze trascendenti.
L’abuso anticostituzionale, la strumentalità del decreto legge agostano e, cosa ben più preoccupante, il sonno della ragione, generatore di mostri, nel caso di specie, giuridici, che ha obnubilato i responsabili della decisione intrapresa – d’altro canto un vero e proprio vento di follia sembra essersi impadronito di gran parte dell’umanità – emerge quando si va a comparare il citato decreto legge n. 111 del 6 agosto con il precedente decreto legge n. 44 del 1 aprile 2021, relativo all’obbligo per i sanitari, convertito in legge 28 maggio 2021 n. 76. Infatti – si rifletta! – con questa serie di atti normativi il Governo attuale mentre da un lato, con il decreto di aprile poi convertito a maggio, dichiara implicitamente pericolosa la terapia inoculatoria anti-covid, tanto è vero che ha previsto l’esenzione da responsabilità penale per omicidio colposo (cosiddetto “scudo penale”) per gli addetti alla somministrazione, con il decreto di agosto impone ad una categoria di cittadini di sottoporsi alla medesima terapia già, sommessamente, riconosciuta come rischiosa per la salute. Possiamo, dunque, parlare, per le vittime tra coloro che cederanno all’imposizione governativa, di “omicidi di Stato”? Rivolgiamo la domanda ai costituzionalisti ed ai tutori della legalità costituzionale.
A quanto pare siamo all’eterogenesi dei fini della Repubblica antifascista. La quale, nata in nome della riconquistata libertà, non ha esitato ad usare gli stessi strumenti ricattatori della dittatura. Nonostante ogni considerazione sulle diverse circostanze storiche – ma nella storia le situazioni anche quando sono analoghe non si presentano mai come identiche – è innegabile che la tessera color dell’erba ha surrettiziamente introdotto un obbligo analogo alla “tessera del partito” imposta ai dipendenti pubblici, pena il licenziamento, sotto il regime fascista. All’epoca ci fu chi ironizzò sul tale obbligo traducendo l’acronimo P. N. F. come “Per Necessità Familiari”.
La mancanza del possesso della tessera color erba comporta – in violazione dell’articolo 4 della Costituzione – la privazione del diritto al lavoro. I docenti sospesi non saranno adibiti, come i sanitari, ad altre mansioni ma saranno direttamente privati della retribuzione per tutta la durata della sospensione che, lo abbiamo già detto, ha carattere di temporaneità soltanto apparente. Dopo sanitari ed insegnanti, probabilmente, seguirà la successiva e probabile estensione di tale abuso a tutta la categoria del pubblico impiego, come molti già vanno blaterando.
L’analogia storica è evidente anche nel confronto con l’obbligo del giuramento di fedeltà al regime che fu imposto ai docenti universitari. Quando una dittatura si impone la storia registra pochi esempi di dignità e di eroismo. Anche negli anni ’30 se ne riscontrarono pochissimi e tra quei pochissimi non troviamo certi presunti “padri nobili” della democrazia come Norberto Bobbio il quale invece non solo giurò fedeltà al regime ma scrisse persino una lettera a Mussolini per raccomandarsi.
Va detto, ad onor del vero, che sono stati segnalati molti mal di pancia nelle stesse componenti parlamentari che sostengono il governo dell’ex Banchiere. Ed anche sotto tale profilo possiamo registrare un’altra analogia storica. Infatti anche durante il ventennio ci fu un forte dissenso interno al regime, quindi una critica di segno autenticamente fascista, che, come quello ad esempio di un Giuseppe Bottai, era il dissenso dei migliori fascisti del tempo i quali non avevano affatto gradito, se non come fatto temporaneo, l’esito dittatoriale di un movimento nato dal socialismo rivoluzionario e dalla sinistra democratica risorgimentale, ed auspicavano il superamento della dittatura e la liberalizzazione del regime. Ma quest’ultimo poteva contare, esattamente come oggi l’attuale governo, sul consenso maggioritario delle masse, sicché qualsiasi voce di dissenso fu soffocata dal clamore propagandistico.
Lo scrivente conosce una famiglia direttamente toccata dal ricatto normativo del decreto legge agostano. La moglie insegnante e due figli universitari che devono ora scegliere tra il sottoporsi alla terapia inoculatoria, la quale stando alle statistiche americane ha già prodotto circa ventimila decessi e quasi un milione di casi di effetti collaterali (in altri tempi altri farmaci sono stati tolti dal commercio solo per aver provocato qualche decina di incidenti), oppure rischiare la sospensione senza retribuzione dal lavoro e il divieto di frequenza dell’università, in violazione, in quest’ultimo caso, del diritto costituzionale allo studio. Solo il marito, che è anch’esso dipendente pubblico ma non scolastico, almeno per il momento sembra restare fuori dal ricatto normativo. Pare che questa famiglia si appresti a sostenere, fin che potrà, una spesa mensile intorno alle 600 euro per i tamponi dei tre suoi componenti soggetti al decreto legge del 6 agosto, onde poter continuare a lavorare e frequentare l’università. Finché sarà per essa economicamente possibile. Poi Dio provvederà.
Di fronte ad abusi di tal genere, quel che fa veramente indignare è l’acquiescenza con la quale il popolo italiano ha accettato questa nuova forma post-moderna di dittatura e la discriminazione sociale che ne consegue.
RADICI FILOSOFICHE DEL NUOVO TOTALITARISMO – LO STATO UNICO POSSIBILE GARANTE DELLA LIBERTA’
Il neo-totalitarismo che sta assumendo forma davanti ai nostri occhi – increduli per qualcuno, rassegnati per altri – ha radici lontane, ravvisabili nella filosofia contrattualistica che è alla base dello Stato moderno. Per tale filosofia la convivenza associata deriva dal contratto che gli individui, chiusi per natura in una dimensione totalmente solipsistica ossia dediti esclusivamente ai propri interessi ed utilità, stipulano allo scopo di delegare all’Autorità la cura di ciò che per forza di cose esula dal novero strettamente individuale ed abbisogna di un potere centrale che amministri, per rendere possibile la convivenza, detti ambiti sovra-individuali. Tanto nella forma autoritaria di Hobbes quanto in quella costituzionale e liberale di Locke o ancora in quella democratica di Rousseau, il contrattualismo è la filosofia basilare dello Stato moderno. Una filosofia la quale, però, è suscettibile di inaspettati esiti totalitari – come aveva ben compreso Hannah Arendt – che neanche la sua forma liberale, quella del costituzionalismo lockiano, può esorcizzare.
Anzi, mentre i regimi totalitari novecenteschi miravano, con successo, ad assicurarsi, mediante la mobilitazione di massa e la ritualizzazione estetica della politica, il favore popolare, l’essenza “contrattualista” del totalitarismo sta emergendo proprio ora, nei nostri anni, come dimostra il fenomeno del distanziamento sociale che sussisteva già prima della pandemia ma da questa reso ancor più palese. L’ingabbiamento di ciascuno nella prigione dell’individualismo, con l’illusione di dominare prometeicamente il mondo dalla tastiera del proprio pc, è la forma stessa, ad essa connaturata, della rimodulazione della vita imposta dalla digitalizzazione della realtà, sempre più incipiente, che la nuova tecnologia rende possibile mentre già viene annunciata la possibilità, in un futuro imminente, della trasformazione transumana, attraverso le tecniche bioniche, dell’uomo in una semi-macchina. Il sogno di una immortalità artificiale nutrito, non da oggi, dalle élites malthusiane, che gestiscono questi processi, non è più nascosto ma palesato trionfalmente.
I liberali sono come i mariti traditi. Le loro pur nobili utopie all’atto pratico sono puntualmente tradite dalle sorprese partorite dalla filosofia contrattualista del Politico, da essi accolta. Molti liberali continuano, anche nell’attuale scenario, a prendersela con lo Stato, che stando al loro giudizio è sempre un pericoloso e potenziale nemico della libertà. Hanno evidentemente ancora troppo presenti le vecchie forme del totalitarismo del secolo scorso, quando esso ha fatto effettivamente la sua prova storica sub specie statuale. Non capiscono, invece, di aver oggi di fronte un neo-totalitarismo la cui essenza è post-statuale perché siamo ormai passati dal moderno, dominato dal primato statuale, al postmoderno, dominato dal primato dell’economia ed in particolare dalla finanziarizzazione dell’economia.
La libertà, tanto preziosa, si sta rivelando molto più fragile nella nostra epoca nella quale, con la globalizzazione, sono venuti meno gli argini comunque a suo tempo posti dagli Stati ai poteri economici che, ora mondializzati, riescono a imporsi nella vita di ciascuno di noi con forme molto più invasive di quelle del vecchio e superato statualismo, e comunque in misura certamente più incidente. Anzi, si può ben dire che la stessa democrazia liberale è stata possibile soltanto all’interno della cornice dello Stato nazionale e che, invece, attualmente essa viene travolta dalla globalizzazione dei poteri finanziari con la stessa inesorabilità con la quale vengono stritolati i ceti medi e la piccola attività economica reale.
In un mondo dominato da potenti multinazionali, che dettano le linee guida della governance mondiale agli stessi governi nazionali, incapaci questi ultimi per mezzi e risorse di resistere loro, non c’è posto alcuno per la libertà come la intendono i liberali. Attualmente il vero nemico della libertà, dei popoli come dei singoli, è il complesso finanziario del capitalismo multinazionale. Il riassestamento dell’economia mondiale che, approfittando dell’emergenza pandemica, è attualmente in atto ha per obbiettivo il controllo globale dell’umanità non più organizzata in popoli, culture e Stati, ma reingegnerizzata nella modalità contrattualista di una rete, ad estensione planetaria, di individui isolati e per questo più facilmente governabili e manipolabili. La tecnologia digitale rende questo scenario assolutamente possibile.
Quando tutte le transazioni avverranno esclusivamente sulle piattaforme informatiche globali – la cui pluralità è solo apparente dato che esse riconducono tutte o quasi alle stesse centrali di potere finanziario – e quando il denaro stesso sarà completamente cibernetico, l’obiettivo del dominio totale, che è l’obiettivo del nuovo totalitarismo, potrà dirsi definitivamente raggiunto. Già oggi dette piattaforme, private, impongono ai loro utenti i confini invalicabili del pensiero ammesso e depiattaformizzano chiunque travalichi quei confini, fosse anche il presidente della maggiore potenza statale come ha potuto sperimentare di persona l’ex presidente degli Stati Uniti.
Quando la realtà sociale coinciderà esclusivamente con quella virtuale e sovra-statuale delle grandi organizzazioni mondiali cibernetiche chi mai potrà resistere al loro potere rischiando l’ostracismo digitale che equivarrà ad una vera e propria condanna a morte perché, chiuso il suo account sulla piattaforma virtuale, non potrà più interagire con gli altri, fino a non poter più né vendere né comprare, dato che sarebbe istantaneamente privato del denaro cibernetico a lui non più accessibile?
La cornice giuridica assicurata dallo Stato impedisce al gestore pubblico o privato dell’erogazione dell’energia elettrica di privare del servizio l’abitazione o l’ufficio di chi non gode dell’empatia di pensiero dell’amministratore dell’ente erogatore. I gestori delle piattaforme cibernetiche globali, votate all’assorbimento della realtà nel mondo virtuale da esse costruito, possono già ora privare i “non conformi” all’ordine costituito – ordine in particolare economico – dell’accesso ai servizi offerti e potranno farlo ancora di più in futuro quando essi gestiranno tutti i servizi, anche quelli oggi di natura pubblica. Il nemico principale della libertà, cari liberali, oggi non è lo Stato ma il Capitale Globale, quello che sta alimentando il suo potere anche attraverso i sieri imposti come unica terapia.
Circola sulla rete, allo scrivente è arrivata via WhatsApp, una riflessione attribuita ad uno storico che coglie aspetti essenziali del neo-totalitarismo emergente. «Il progetto è chiaro (…) – asserisce l’autore della riflessione – Il progetto già pianificato dalla primavera scorsa è … un esperimento di ri-disciplinamento autoritario delle società funzionale ad un modello economico ben preciso. È un progetto non solo italiano ma europeo, che parte dall’asse franco-tedesco e da Bruxelles, e di cui il governo italiano è solo uno tra gli esecutori. Non bisogna essere complottisti per individuarlo: esso è già palese nella torsione … delle istituzioni Ue di cui Ursula von der Leyen è la garante. L’obiettivo di queste classi politiche è enfatizzare a dismisura il virus per distruggere quel che resta della piccola e media impresa, del terziario autonomo, degli spazi di formazione, socialità e cultura “fisici”, e sostituirli con consumi, intrattenimento, didattica e socialità “integralmente digitalizzati”, completamente inglobati dalle grandi corporations hi-tech globali. La narrazione terroristica del Covid e i lockdown sono lo strumento per rimpiazzare del tutto la socializzazione con i “social”, le comunità di scuola e università con la “didattica su piattaforma”, l’amore e il sesso con il “dating virtuale”, i ristoranti e i bar con il “food delivery”, i cinema e i teatri con “Netflix”, lo shopping con “Amazon”, i concerti con le “dirette a distanza”, lo sport con il “workout” casalingo gestito da app, il lavoro con “sussidi statali di semi-indigenza”, il culto religioso comunitario con una “spiritualità solitaria” senza nessun rilievo sociale. E, soprattutto, per eliminare ogni forma di associazione culturale, circolo, movimento civico e politico libero, non controllabile, trasformando la società … in una pluralità di individui isolati che si limitano ad essere followers dei leader politici, in un quotidiano reality show, “profilati” e sottoposti al continuo martellamento delle news unanimi di regime selezionate per loro dai social media depurandole di quelle che loro chiamano fake news, cioè di ogni fonte che non sia approvata dal complesso politico-mediatico mainstream. L’accelerazione di questa trasformazione permetterebbe, per le élites europee, la saldatura tra il mega-tecno-capitalismo d’oltreoceano, lo statalismo burocratico Ue a economia sussidiata e il modello di mercato autoritario cinese».
L’ultimo passaggio di questa centratissima riflessione tradisce, tuttavia, la persistente incapacità di scorgere integralmente tutta la novità dello scenario postmoderno e la persistenza di un residuo di visione ancora ferma al panorama, ormai superato, della modernità. Detta persistenza si coglie laddove il “capitalismo della sorveglianza” occidentale – quello che si sta realizzando nella forma neo-orwelliana dell’high tech denunciata dall’autore della argomentazione in questione – viene equiparato alla burocrazia di Bruxelles erroneamente tacciata, con linguaggio vetero-liberista, di “statalismo” quando invece detta burocrazia è per sua natura ed origine anti e sovra-statuale.
Pare, è notizia appresa da un amico, che l’autore della interessante riflessione, in questione, sia un liberale. Se la notizia corrisponde al vero non può meravigliare che egli fornisca una descrizione certamente aderente al panorama della presente fase storica ma senza, tuttavia, coglierne fino in fondo la matrice filosofica per l’appunto, come abbiamo detto, radicata tutta nel contrattualismo sociale alla base della modernità liberale medesima. L’onesta constatazione del cortocircuito innescato dal liberalismo occidentale, che sta divorando la stessa democrazia liberale, avrebbe dovuto portare l’autore alle conclusioni cui egli perviene ma senza attardarsi inutilmente in recriminazioni contro un supposto persistente “statualismo”. Uno strabismo, questo, che non consente ai liberali di comprendere che fino a quando lo Stato ne ha avuto capacità, e forza, esso ha rappresentato il principale baluardo e la indispensabile difesa delle comunità e dei singoli contro l’arrogante ed arbitraria potenza della concentrazione economica del capitale, il quale solo ora, con la globalizzazione, ha rotto ogni argine ed ogni limite che gli era stato imposto e sta totalitariamente fagocitando singoli e comunità. Il nuovo Leviatano è, nella nostra età postmoderna, il capitale, soprattutto quello finanziario.
Si ha l’impressione che la diatriba tra statalisti e liberisti stia continuando, secondo i parametri del secolo scorso, mentre il mondo attorno ad essi va assumendo connotazioni del tutto inedite e preoccupanti. Un liberale come Nicola Porro continua ogni giorno, nelle sue dirette sui social, ad esibirsi in elogi a von Hayek. Un keynesiano potrebbe rintuzzare tali elogi dimostrando ampiamente tutti gli errori del padre della “scuola austriaca di economia”. Ma, in realtà, l’uno e l’altro, Porro ed il suo probabile interlocutore, intavolerebbero un dibattito anacronistico nello scenario cibernetico che abbiamo davanti e nel quale lo stesso parlare di produzione reale, come ne parlavano Hayek e Keynes, non ha quasi più corrispondenza con l’effettività.
IMPLOSIONE DELL’OCCIDENTE
Tout se tient! Le vicende internazionali attuali sembrano collegarsi tra loro in questa fase implosiva della democrazia liberale come l’abbiamo finora conosciuta. Mentre da noi imperversa la battaglia intorno alla migliore terapia per il virus, la dèbâcle, concordata o meno, dell’Occidente in Afghanistan ha fatto riemergere un’altra patente contraddizione del liberalismo occidentale. Di fronte alla fuga da Kabul i liberali nostrani lamentano che se l’“esportazione della democrazia” non ha raggiunto i suoi obiettivi ciò deve essere imputato alla debolezza con la quale l’Occidente ha agito in Afghanistan, rinunciando a perseguire l’educazione degli afghani alla libertà per inseguire invece il controllo politico ed economico del territorio. Come se i motivi veri della presenza occidentale attenessero innanzitutto all’esportazione del modello occidentale e non, appunto, al controllo economico. Questa ulteriore contraddizione del liberalismo, che la delicatezza “romantica” dei nostri liberali non vuole cogliere, sta tutta nella convinzione che esso sia esportabile perché universalmente valido. Si dimentica che se universalmente valido è lo Spirito sicché le religioni, perlomeno quelle del ceppo abramitico, agiscono legittimamente secondo modalità missionarie, variamente articolate, il liberalismo in quanto costruzione umana, costruzione della razionalità occidentale nel momento del suo distacco post-medioevale dalla Trascendenza, è un mero prodotto culturale che, come tale, non può essere imposto dall’esterno ad altre culture, al di fuori di una spontanea accettazione o di uno sviluppo interno. Come si può sostenere essere opera di libertà o di liberazione l’imposizione dall’esterno ad un altro popolo del proprio modello politico-sociale?
Certe sirene liberali sono tornate a cianciare di libertà della donna senza cercare di capire nulla della cultura islamica. Al liberale occidentale sembra una follia che la maggior parte delle donne islamiche rifiutano il modello libertino occidentale e difendono i loro costumi tradizionali, gli stessi che hanno continuato ad osservare ed indossare anche sotto occupazione americana. Qualsiasi differenza interna al mondo islamico anche sulla questione femminile è oscurata in Occidente, sicché nessuna approvazione del ruolo ben più “libero” riconosciuto alla donna nell’islam sciita iraniano rispetto all’islam sunnita può valere, nell’approccio liberale, per una più approfondita riflessione. Né, nell’ottica del liberale occidentale, vale chiedersi se tali differenze siano per caso dovute a diversità esegetiche, le sole sulle quali si potrebbe fare perno, dall’interno, per superare le restrizioni peggiori. Le radici pre-islamiche di certe usanze, che dunque non appartengono strettamente, in quanto tali, all’islam, non sono agli occhi del liberale occidentale una argomentazione sufficiente per ampliare gli orizzonti verso un più giusto approccio che non sia quello della costrizione all’accettazione coatta del modello occidentale. Il burqa, ad esempio, è usato dalle donne afghane e centroasiatiche sin dai tempi di Alessandro Magno, e forse anche da prima, sicché imputarlo ad un comandamento coranico, anziché all’applicazione all’etica sessuale coranica di uno strumento pre-islamico, è come imputare al Cristianesimo, in sé, la subordinazione giuridica e civile della donna che nell’Europa premoderna discendeva da consuetudini ataviche e, per certi versi, dallo stesso diritto romano.
PERSONALISMO COMUNITARIO
Il problema del rapporto tra libertà ed autorità è antico, mai del tutto risolto e probabilmente non risolvibile in assoluto. Nell’organicismo premoderno il singolo trovava molte restrizioni che alla mentalità moderna appaiono intollerabili. Eppure quelle restrizioni erano la controparte non solo della sicurezza che la comunità assicurava al singolo ma anche dell’identità spirituale e culturale che faceva del singolo ciò che egli era. Un patrimonio senza del quale il singolo sarebbe stato condannato ad una vita precaria e, soprattutto, priva di significato, di senso, di autocoscienza. I nostri avi pensavano che l’appartenenza naturale del singolo alla comunità poteva trovare superamento soltanto verso l’alto, perché solo lo Spirito trascende universalmente qualsiasi appartenenza, non la natura. La modernità liberandoci dalle restrizioni sociali, che oggi ci appaiono odiose, ha contemporaneamente ucciso il senso della comunità ed il patrimonio spirituale che sosteneva l’appartenenza ad un gruppo umano.
La tragedia dell’Occidente, della democrazia liberale che va morendo sotto l’incalzare del neo-totalitarismo cibernetico e robotico, bionico e transumano, emergente, ha radici in questo peccato originale. D’altro canto è innegabile che l’organicismo antico conosceva l’intolleranza etnica, politica o religiosa, anche nell’antichità pagana troppo indebitamente magnificata quale paradiso di tolleranza. In verità sussisteva un diverso modo di “tollerare” gli allogeni, un modo non certo inteso alla parificazione civile, quindi non liberale, ma alla circoscrizione dell’estraneo, cosa che tuttavia evitava misure più radicali e cruente. Sotto tale profilo l’affermazione di diritti propri del singolo come anche della moderna tolleranza non possono essere viste come innovazioni del tutto negative. Il punto sta nello stabilire se detti diritti del singolo devono essere concepiti alla stregua di una acquisizione intracomunitaria, ossia interna alla comunità, oppure devono essere affermati come antagonisti, in opposizione, all’appartenenza comunitaria in nome di un astratto individualismo la cui punta estrema, quella che sta affondando le moderne società liberali nel nichilismo esponendole alle suggestioni totalitarie vecchie e nuove, è costituita dal libertarismo anarchico il quale invoca il primato della libertà, di qualunque libertà, sulla Verità. La questione quindi sta nello stabilire se è possibile un rapporto equilibrato tra il singolo e la comunità.
Lo scrivente ritiene che un rapporto di tal genere sia possibile a condizione di intendere il singolo non come individuo ma come persona secondo la filosofia personalistico-comunitaria del Cristianesimo. Per la quale l’uomo è persona autocosciente ed al tempo stesso sempre appartenente ad una pluralità di comunità intermedie, fino alla comunità politica di natura, sicché la persona pur dotata di una propria soggettività giuridica non è mai irrelata perché essa è costantemente in relazione di prossimità con i propri vicini per vincoli parentali, culturali, storici, religiosi e via dicendo. Solo nell’ambito di una tale filosofia, a giudizio dello scrivente, è possibile trovare il necessario equilibrio tra singolo e comunità in modo da evitare le ristrettezze che condizionavano l’antico organicismo, e che a suo tempo hanno dato il pretesto per la rivolta soggettivistica moderna, ma anche in modo da evitare l’individualismo liberale con i sui esiti totalitari.
Al di fuori di un comunitarismo personalistico, su basi trascendenti, non ci sono soluzioni al dilemma. La via della libertà liberale conduce la stessa democrazia liberale al disastro. Il ciclo della democrazia liberale, avviato nel XVI secolo, sta finendo ed essa va cedendo il passo al neo-totalitarismo digitale mentre, contemporaneamente, nelle sue Istituzioni essa rinnega i propri principi basilari inutilmente consacrati nella Costituzione cartacea la quale, nelle parti di estrazione filosofica contrattualista, non deriva dalla legge non scritta che alberga nel cuore di ogni uomo.
Luigi Copertino