Marco Tosatti
Il 28 luglio prossimo, a Rimini, sfilerà un Gay pride, cioè una manifestazione pubblica di orgoglio omosessuale. Saranno, come di consueto, sbandierate rivendicazioni di ogni genere: matrimonio egualitario, adozione per le coppie omo e anche per i single, riconoscimento della legalità dell’utero in affitto, procreazione assistita anche per i single, oltre che per le coppie. Ci sarebbe da stupirsi se ad esse non si accompagnasse il solito show oscillante dal carnavalesco all’osceno con qualche spruzzatina eventuale di blasfemia. Come già è accaduto l’anno scorso laici cattolici, riuniti nel Comitato Beata Giovanna Scopelli hanno indetto una processione e un rosario di riparazione, che si svolgeranno sabato 28 con partenza alle 10.30, in piazza Mazzini. Abbiamo rivolto alcune domande a uno degli organizzatori, Cristiano Lugli.
1) Che cosa è una processione di riparazione? Credo che molte persone lo ignorino. E quando si fa?
Ha ragione, molte persone ignorano il vero significato della riparazione e, quindi, anche di un Atto di Culto come è la Processione che si terrà sabato 28 luglio Rimini. Come ho detto, è anzitutto un Atto di Culto che da sempre Santa Romana Chiesa utilizza, fino al punto che Papa Pio XI è arrivato a scriverci l’enciclica Miserentissimus Redemptor con allegato un preciso Atto di riparazione. Esiste una vera e propria teologia della riparazione, unita anche alla liturgia. Si pensi a tutti gli atti devozionali rivolti al Sacro Cuore di Gesù trafitto, ad esempio. Una Processione di Riparazione si rende necessaria laddove il peccato viene vantato pubblicamente – come accade nei Gay Pride – procurando un grave scandalo. Sia chiaro, però: se anche gli omosessuali manifestassero in giacca e cravatta, cosa che chiaramente non avviene, la riparazione sarebbe comunque necessaria: è l’oggetto del Gay Pride il problema, ovvero glorificare l’orgoglio del peccato impuro contro natura.
2) Perché avete deciso, per il secondo anno di seguito, di farla?
Pensiamo che uno degli aspetti più dimentichi nel Cattolicesimo oggi sia la militanza. La Chiesa è Militante. I cattolici, quali membra del Corpo, devono esserlo a loro volta. E oggi più che mai!
Se il Summer Pride riesce ad essere ripetuto ogni anno, perché non dovrebbe ripetersi la Processione nei luoghi in cui ci sono le forze per farlo?
Dopo quella dello scorso anno a Reggio-Emilia, molti cattolici hanno preso coraggio e hanno provveduto ad organizzare riparazioni in diverse città colpite dal flagello del Gay Pride. Ecco perché sabato è importante essere a Rimini, anche con il sacrificio di fare un lungo viaggio.
3) Vi accusano di essere omofobi e di odiare gli omosessuali. È vero?
L’“omofobia” non esiste, come ha giustamente detto il cardinale Müller, e l’odio non è un sentimento che ci appartiene, in quanto cristiani. Gli omosessuali sono peccatori come noi, anche se accecati da uno dei peggiori vizi che “sconvolge l’intelletto”, come insegna San Pier Damiani. In quanto peccatori vanno convertiti, parola che alla “chiesa in uscita”, me ne rendo conto, dà un pochino da fare.
Odiamo invece l’ideologia, ovvero l’omosessualismo, che conduce le anime all’Inferno e scandalizza l’innocenza dei piccoli.
4) Avete coinvolto la Chiesa locale? E se sì, che risposta avete avuto?
L’anno scorso avvisammo il Vescovo locale, Mons. Francesco Lambiasi, chiedendogli di presiedere la Processione. Lambiasi non ci rispose, ma mandò avanti un vicario che “rispose”, pensi un po’, attraverso un’omelia fatta in parrocchia durante la Messa domenicale.
Quest’anno abbiamo agito diversamente: in quanto battezzati, se ci pensa, io, lei e Mons. Lambiasi abbiamo gli stessi diritti. Come insegna il Codice di Diritto Canonico i laici hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di riunirsi in associazioni, comitati e quant’altro per evangelizzare e difendere la Fede Cattolica. Allo stesso tempo, nell’umiltà che ci deve diversificare, ci siamo preoccupati semplicemente di avvisare il vescovo di questa nostra iniziativa, proprio per quel rispetto e quella trasparenza che ci caratterizzano.
Come spesso purtroppo accade ultimamente, la Diocesi ha preso una posizione “cerchiobottista”. Tuttavia apprezziamo che almeno una risposta personale quest’anno ci sia stata, e che sia stata anche cortese.
Certo, che un vescovo dica che il Summer Pride non è il giusto modo per poter avanti la discussione sui “legittimi diritti delle persone omosessuali”… è tutto dire”.
Qui di seguito riportiamo la lettera che il Comitato ha indirizzato al quotidiano Avvenire che che ha dedicato un articolo alle iniziative come quella di Rimini, titolando “Mai la preghiera può essere ‘contro’”.
Alla cortese attenzione del direttore del quotidiano cattolico Avvenire
Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». (Gv 18, 23)
Anche quest’anno tocca lamentare il rude, ingiusto e un po’ vile trattamento che il suo quotidiano riserva a coloro che da laici, senza nulla chiedere alla Chiesa se non la benevola comprensione verso chi a viso scoperto offre il fianco alla rappresaglia civile e al linciaggio massmediatico di una società che ha in odio il vero e in opposizione feroce il santo, tentano di mettere in pratica l’obbligo evangelico della testimonianza, mettendo a rischio il proprio nome e l’onorabilità propria e dei congiunti, sorte che con ogni evidenza non sta a cuore del quotidiano e dei suoi redattori.
Non si può infatti giudicare né benevolo né equilibrato l’articolo che Luciano Moia ha dedicato alla Processione di riparazione per il Summer pride di Rimini, organizzata da laici cattolici costituitesi in un Comitato intitolato ad una donna, la Beata Scopelli, che nel secolo XV ebbe il coraggio della testimonianza integrale e coraggiosa della dignità suprema della vita cristiana.
Poco conta che nella premessa il Moia, sulla scia del vescovo di Rimini e degli altri ordinari che hanno voluto cimentarsi con la scabrosità del problema, abbia preso le distanze da “quello che succede, purtroppo anche sguaiatamente e in modo urtante e persino offensivo per la religione, durante le manifestazioni del cosiddetto “orgoglio omosessuale”; la completezza dell’informazione avrebbe dovuto portarlo a corredare, con ampia disponibilità di materiale, tutte le nefandezze, oscenità, blasfemie, sacrilegi, bestialità e odio radicale verso il religioso cristiano che in quelle occasioni viene ostentato; né si può sottacere l’enorme pressione esercitata da questi ambienti e dai loro fiancheggiatori politici, molti dei quali fuoriusciti dai lombi stessi della Chiesa Cattolica, e tuttora felici ospiti di sacrestie e retrobottega clericali,volta a prendere possesso dei luoghi di elaborazione della pubblica opinione, in modo particolare la violenza perpetrata verso le giovani e giovanissime personalità in formazione, spietatamente e ordinariamente attuata nelle scuole di stato, come tristemente segnalato da recenti fatti di cronaca: si sarebbe ben compreso allora come l’evocato ponte non possa che essere percorso interamente (e non a metà) nell’unica direzione possibile: quello della conversione e del cambiamento di vita. Né risulta che il suo quotidiano abbia dedicato a questi terribili progetti di manipolazioni delle coscienze infantili tutta l’indignazione che riserva a chi decide opporsi a questi tentativi di assuefare la società al falso e al perverso.
Ma il peggio il suo redattore lo riserva manipolando ad arte il significato della processione, addirittura titolando “preghiera contro”, e imbastendo su questo concetto un miserabile processo inquisitoriale, volto a screditarci anche nella fede. Sfuggono evidentemente all’estensore del pezzo non solo il titolo contenente la preposizione causale per (per il gay pride, PER signor Moia, PER!), ma addirittura i due cardini che inducono gli scriventi a non più essere proni a questo massivo, potente ed abominevole tentativo di corruzione sociale.
E i due cardini sono i seguenti
1) il termine PRIDE, che vuol dire orgoglio, superbia, ostentazione ed esaltazione di una condizione in se stessa disordinata, sovvertitrice dell’ordine naturale, scardinatrice di ogni fondamento sociale che ha nella famiglia, cellula sessualmente differenziata perché orientata alla procreazione e quindi alla perpetuazione della specie umana, il proprio nucleo fondativo e perpetuativo. Un esaltazione luciferina contro la quale avremmo sperato, invano col senno di poi, fosse elevata la residuale forza anche giuridica del buon pastore a tutela di coloro che nella veridicità di questo progetto creativo ancora scommettono. Mancò il pastore; mancò persino il sostegno dei presunti correligionari.
2) il termine RIPARAZIONE, realtà ontologica e soprannaturale a cui siamo come credenti tenuti non solo in virtù degli obblighi discendenti dal sacramento del battesimo e della cresima, ma dal magistero perenne della Chiesa Cattolica consolidatasi in moltissimi documenti e specialmente, quanto alla necessità di pubblica riparazione, nella Miserentissimus Redemptor di S.S. Pio XI – facente parte del Magistero che fino ad oggi nessun papa ha mai rinnegato o cancellato – e perfino nel C.C.C. ai numeri 2284 ss. quanto al peccato di scandalo, e al 2487 quanto alla necessità della riparazione.
Scandalo: questo è l’oggetto disputato sul quale non si vuole prendere posizione perché foriero di opposizioni che non si vogliono e non si reputano necessari, preferendo accodarsi alla vulgata misericordiosa che smussa gli angoli di ogni contrapposizione nella speranza vana di generare una pace sociale proteiforme e adattabile ad ogni capriccio rivendicativo.
E qui sorge un sospetto: ovvero che si sia già pensato l’impensabile, vale a dire che ci si appresti a percorrere i sentieri che hanno già condotto molti ecclesiastici a sommare le tinte paonazze e purpuree al gaio arcobaleno, come tristemente avvenuto più e più volte senza strilli e commenti del Moia, di Avvenire, delle conferenze episcopali e delle romane congregazioni.
È questo l’obbiettivo di Avvenire? È questo ciò che auspica il successore di San Gaudenzo?
Dio non voglia! Noi sabato 28 p. v. pregheremo per questo.
Il Comitato Beata Giovanna Scopelli da Reggio, sezione di Rimini.
In chiusura della lettera ci giunge l’elogio entusiastico che l’Arcigay riminese, nella persona del presidente Marco Tonti, indirizza alle pubbliche dichiarazione di aperta sconfessione della processione riparatrice di Mons. Lambiasi, esaltando la “caleidoscopica e MERAVIGLIOSA varietà umana” che si manifesta in “questo bisogno radicale e umano di libertà e benessere” nel “ rifiuto della convinzione sociale che ci vorrebbe assimilati e mimetizzati”, mentre “ il travestirsi è figurazione esuberante del reclamare visibilità per ogni identità”.
Ecco: predisponga il monsignore le strutture di accoglienza che ci rinfacciò l’anno scorso; dal lungomare ne arriveranno a frotte.
“E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, e pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa” (Rom 1, 28.32).