Grazie a fondi internazionali, è stato avviato un piano biennale per restaurare il monastero di sant’Ilarione e la chiesa di Jabaliya, monumenti di epoca bizantina. Con ricadute positive per la società civile palestinese.
L’enclave palestinese di Gaza cela un tesoro culturale inestimabile, in particolare cristiano, troppo poco conosciuto e protetto, spesso minacciato dal tempo, eventi climatici, sabbia, negligenza, urbanizzazione incontrollata e conflitti a ripetizione (tre solo nell’ultimo decennio). Poco è mancato perché scomparisse una delle più importanti testimonianze paleocristiane della Terra Santa. A Nuseirat, a una decina di chilometri a sud della città di Gaza, presso le dune costiere, si trova il più antico monastero della Terra Santa, dedicato a sant’Ilarione e risalente al IV secolo.
Gli scavi nel monastero sono iniziati negli anni Novanta e dal 2012 è inserito nella lista del World Monuments Fund dei siti più minacciati al mondo. Anche la chiesa bizantina di Jabaliya, scoperta nel 1996 a pochi chilometri a nord della città di Gaza, rischia la stessa sorte. Luogo di sosta per i pellegrini, è nota per un ricco mosaico, danneggiato durante la guerra del 2012. (…)
Il monastero di sant’Ilarione (Tell Um el-Amr, in arabo) prende nome dal monaco eremita del IV secolo considerato fondatore del monachesimo in Palestina. La storia della vita di Ilarione ci è stata tramandata da san Gerolamo negli anni 386-391. Di origine greca, Ilarione sarebbe nato nel 291 a Tabatha, a sud di Gaza, all’epoca sotto la tutela romana. Studiò ad Alessandria e divenne cristiano a quindici anni. Fu discepolo di sant’Antonio d’Egitto (sant’Antonio abate) e visse con lui nel deserto. Tornato in Palestina nel 306 avrebbe fondato nel 329 il primo monastero palestinese, che ebbe un rapido sviluppo. Cercò in seguito una vita eremitica in Egitto, morì infine a Cipro nel 372 e le sue spoglie furono riportate a Gaza.
Un sito eccezionale
Il monastero copriva una superficie di 15 mila metri quadrati e aveva una proprietà di 10 ettari, comprendeva una chiesa con una grande cripta, battisteri, celle, un refettorio, nonché un ostello e bagni per pellegrini. La chiesa fu ricostruita tre volte. È probabile che il complesso nel periodo omayyade e poi abbaside (VII e VIII secolo) abbia goduto di una rinascita intorno ai bagni e ai pozzi. Oggi restano i muri in pietra, pavimenti di marmo, scale, colonne, capitelli corinzi, fonti battesimali e mosaici dalle tinte blu, rosse, verdi, gialle e ocra meravigliosamente intatti e che mostrano motivi geometrici, floreali, ma anche pavoni e altri uccelli, equidi e felini. Nel 2003 furono ritrovate un’iscrizione che citava Ilarione e la sua tomba. Si tratta dell’unico sito archeologico di Gaza aperto al pubblico e visitato da molti studenti.
Un impatto umanitario di lungo termine
I fondi per il restauro promessi dal British Council si aggirano attorno ai 2 milioni di euro. I lavori dovrebbero durare 26 mesi e coinvolgere almeno 75 persone, tra esperti locali e stranieri, archeologi, studenti delle università palestinesi. L’ong Pui vorrebbe valorizzare l’impatto umanitario a lungo termine, attraverso la formazione gratuita (teorica e pratica) di abitanti di Gaza nel restauro dei monumenti e favorire così la valorizzazione del patrimonio palestinese. Un patrimonio che ha anche un potenziale economico. Saranno coinvolti perciò una cinquantina di studenti e neolaureati in archeologia o architettura, anche con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione locale.