Generale Bertolini: «L’Europa in guerra con sé stessa ha tradito la sua anima»

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La guerra in Ucraina ha messo a nudo tutte le fragilità dell’Europa: l’incapacità di agire con una voce sola, la dipendenza strategica dagli Stati Uniti, la vulnerabilità energetica e l’illusione che la pace sia un diritto acquisito e non un equilibrio da difendere con forza.

Mentre il conflitto si protrae, l’Europa in piena crisi di nervi, continua a oscillare tra il sostegno all’Ucraina e l’immaginazione delirante di un’escalation diretta contro la Russia, senza una visione chiara del proprio ruolo geopolitico e con una narrazione unica del Vecchio Continente che deve difendersi anche delle decisioni di pace di Washington e Mosca.

Questa ideologia bellicista, usando l’Ucraina come un cavallo di Troia, sembra più una propaganda per giustificare una presunta difesa europea da un nemico immaginario, piuttosto che un’analisi realistica della situazione.

Un calcolo fallimentare che ha solo portato al sacrificio di migliaia e migliaia di giovani ucraini e russi mandati al massacro.

Tutti riconosciamo che la sicurezza ha un costo, ma ogni Paese ha la sua Costituzione e le sue leggi e abbiamo voluto interpellare su quanto sta accadendo tra Usa, Europa e Russia ad un esperto quale il Generale Marco Bertolini.

Generale alla luce della sua esperienza, come valuta questa martellante propaganda dell’Europa che deve difendersi da una immaginaria guerra contro la Russia? Perché secondo lei il mainstream sostiene tutta questa ansia che trasmette ogni giorno Ursula Von der Leyen?

Non ricordo una simile pressione sull’opinione pubblica se non, forse, per quel che riguardava la cosiddetta pandemia, anche se allora si trattava di una minaccia che percepivamo come diretta contro di noi stessi. Ora, invece, è palese lo sforzo dell’Unione Europea di imporci un nemico contro il quale mobilitarsi ma che non ci pone minacce dirette, essendo impegnato in una guerra alla quale siamo assolutamente estranei. Una guerra come ce ne sono state e ce ne sono tante, per la quale invece si vorrebbe far vibrare la nostra indignazione contro uno dei belligeranti, la Russia di Putin, mentre nessuna indignazione ci viene sollecitata per la contemporanea strage continua di civili palestinesi, libanesi, di cristiani, sunniti e alawiti in Medio Oriente. E nessuna indignazione scatta per le stragi che hanno preceduto questa stessa guerra europea ad opera delle forze di Kiev, a partire dal colpo di stato del 2014 che impose un regime ostile alla cospicua popolazione russa e russofona in Ucraina. Detto questo, ritengo che le cause del martellamento continuo, dei continui richiami alle armi ai quali veniamo sottoposti giornalmente, senza significative resistenze da parte dei governi nazionali, siano da ricercare nella imbarazzante consapevolezza del tradimento che abbiamo operato ai danni di quella che predicavamo essere la vocazione del nostro continente, la nostra anima: pace e dialogo tra i popoli. Un tradimento che ha sfondato d’impeto anche la barriera del surreale con lo spot sul “kit di sopravvivenza”della Commissaria comunitaria dell’Unione Europea per la gestione delle crisi, che si erge a simbolo del nostro imbambolamento e che è stato predisposto e propinato nella consapevolezza che il ridicolo non rappresenta più un problema per la gran parte dell’uditorio al quale si rivolge. Eppure, nonostante l’UE si sia inspiegabilmente adattata a fare proprie le parole d’ordine di quanti vogliono trarre dei benefici strategici da una eventuale sconfitta russa, i risultati sul campo denotano una sostanziale sconfessione delle previsioni che l’Occidente collettivo proclamava con baldanzosa sicurezza dall’inizio di questa fase del conflitto, nel 2022. I motivi di questo comportamento, se si volesse escludere la subordinazione psicologica che l’Europa denota nei confronti dell’anglosfera, sono inspiegabili, tenuto anche conto del male che abbiamo fatto a noi stessi. Siamo arrivati, infatti, a praticare una sorta di seppuku economico privandoci dei rifornimenti energetici dalla Russia sui quali si basava la nostra ormai sfumata eccellenza industriale. Ma oltre a questi aspetti pratici, l’Unione Europea ha provocato un danno alla sua stessa credibilità internazionale, alla sua supposta capacità di relazione con tutte le culture, arrivando al punto di smentire decenni di retorica pacifista proclamata a gran voce in ogni occasione. Una autoreferenziale, evidentemente, vocazione alla pace contraddetta da una generosa fornitura di armi all’Ucraina, in controtendenza rispetto a una prassi pluridecennale con la quale rifiutavamo ostinatamente e sdegnosamente armi a chiunque combattesse, a prescindere dalle motivazioni. Insomma, c’è stata una immagine retorica, subito adottata da tutti – quella dell’aggredito e dell’aggressore – che ha messo stranamente a tacere ogni capacità di discernimento, obliterando tutte le precedenti prese di posizione europee a favore delle minoranze russe perseguitate in Ucraina dopo il 2014, e che ha fatto risuonare ii tamburi di guerra nel nostro continente. Nonostante questo, il campo conferma almeno fino ad ora la sostanziale sconfitta dell’Ucraina e di chi l’ha supportata e manovrata con generose elargizioni di armi, finanze e parole, e l’UE reagisce nel più classico dei modi, ideologizzando la guerra, essendo ormai fuori portata le finalità pratiche che si proponeva. Si hanno così i richiami alla difesa della democrazia e dell’Europa, spesso non rifuggendo da richiami razzistici ad una nostra supposta superiorità, come se l’Ucraina fosse un Paese pienamente democratico e la Russia non fosse anch’essa europea. E questo, ricalcando il meccanismo tipico di tutti gli sconfitti che, privati della prospettiva di ottenere i vantaggi pratici che si proponevano, devono ridursi a proporre la difesa dell’onore alle popolazioni alle quali chiedono il sacrificio dei propri figli, o della democrazia appunto, dietro cui occultare le proprie personalissime sconfitte. Molto umano, ma anche molto triste a mio modo di vedere. L’enfasi posta dalla Von Der Lyen e dai suoi addetti sulla necessità di abbracciare con entusiasmo una difesa dalla Russia di cui non si percepiva la necessità fino a pochissimi anni fa risiede a mio avviso proprio in questa sconfitta e sconfessione epocale. Per di più, un nemico serve sempre a compattare la società, magari imponendo con l’inganno una sovranità europea che non riuscirebbe altrimenti ad avere la meglio delle sovranità dei singoli paesi, troppo diversi tra di loro per potersi ispirare al modello statunitense. E, a questo fine, un “esercito europeo” che si sovrapponga, prima, e faccia venire meno, poi, gli eserciti nazionali sull’onda di una emergenza comune è quello che ci vuole. Uno strumento efficacissimo per conseguire comunque il risultato strategico di affermare surrettiziamente una sovranità dell’UE per la quale nessun soldato, come nessun ministro, ha ancora giurato fedeltà. Le forze armate, infatti, sono simbolo e presidio di sovranità nazionale, al pari della moneta alla quale abbiamo già rinunciato con i risultati che abbiamo sotto gli occhi, senza le quali nessun paese ha la possibilità di far valere i propri interessi vitali, le proprie specificità. Ovvio che trasferire le competenze della Difesa dagli Stati Nazionali, e dalle Alleanze alle quali possono aderire o meno, a un organismo sovrastatale come quello rappresentato dall’Unione Europea impone quest’ultimo come titolare del potere di decisione di ultima istanza, anche se paradossalmente privo di una comune politica estera.

Quali sono, secondo lei, gli errori strategici commessi dall’Europa nella gestione della guerra in Ucraina, sia dal punto di vista militare che diplomatico?

Iniziando dal secondo punto, l’Unione Europea, che ritengo giusto definire così e non “Europa”, ha tradito sé stessa nel momento in cui non ha svolto alcuna azione volta a portare al tavolo dei negoziati due paesi europei in guerra tra di loro. Ha mancato così al suo ruolo fondamentale, coerentemente con precedenti tradimenti dello stesso tenore anche se non della stessa magnitudine come quelli compiuti nei Balcani, soprattutto con la secessione forzata del Cossovo dalla Serbia ad opera della Nato. Nel caso della guerra in Ucraina, invece, l’Unione Europea ha rifiutato questo ruolo fino al punto di adottare già dai tempi dell’accordo Minsk 2 un approccio truffaldino nei confronti di uno dei due competitori europei, come ammesso candidamente dalla ex Premier tedesca Angela Merkel che affermò che lo stesso accordo fosse finalizzato solo a consentire all’Ucraina di prepararsi alla guerra. Con buona pace della difesa degli interessi delle minoranze in Ucraina. Ma questa mancanza in campo diplomatico è frutto di un altro tradimento: quello operato nei confronti dell’ambizione dell’Europa di ergersi a potenza terza tra le parti di un mondo multipolare nel quale oltre agli Usa si agitano potenze come la Russia e la Cina, per citare le maggiori. Questo tradimento l’ha portata forse per antica consuetudine a fare proprie le posizioni indicatele dall’anglosfera culturalmente e geograficamente extraeuropea a cui ho accennato in precedenza. Insomma, ci siamo accontentati di fare quello che ci veniva dettato, senza velleità di apportarvi alcun valore aggiunto e accettando di farci indicare da altri quelli che sono i nostri interessi, fingendo di credere che combacino con i loro. In ogni caso, ogni velleità di carattere diplomatico è stata eliminata dalla Corte Penale Internazionale con il suo mandato di cattura nei confronti di Putin. È ovvio, infatti, che lo stigma del criminale (che dovrebbe essere sempre utilizzato con prudenza in politica estera) impedisce ogni rapporto tra le parti che non sia quello della guardia che ammanetta il ladro, o che gli mette il cappio al collo, a meno di essere accusati di complicità col reo. Così, la CPI che con i suoi processi al Presidente Serbo Milosevich, a Karazdich e a Mladich aveva già impedito ogni possibile pacificazione nei Balcani, criminalizzando a prescindere la parte serba, si erge ora a ostacolo per ogni tipo di negoziato tra le parti. Da un punto di vista militare l’UE credo che abbia ecceduto nella propria illusione scientista, per la quale la tecnologia domina tutte le manifestazioni umane, a partire proprio dalla guerra. Avrebbe dovuto capire che i precedenti che parrebbero confermare questa impostazione non sono validi in quanto verificatisi in conflitti asimmetrici, nei quali la controparte era rappresentata da realtà militari molto meno potenti (l’Iraq di Saddam Hussein o la Libia di Gheddafi) o formazioni irregolari come i Talebani contro i quali la superiorità tecnologica ed aerea aveva buon gioco. Nelle guerre ad alta intensità come quella in Ucraina, invece, contano ancora i principi classici della guerra, tra cui la Massa, vale a dire la quantità di forze che si è in grado di concentrare sull’obiettivo, nonché la Manovra, il Fuoco, la Sorpresa, ecc. Tutti principi interconnessi tra di loro, che sono certamente influenzati dalla tecnologia e dalle informazioni sul nemico che essa può rendere disponibili durante la pianificazione e in condotta, ma che non si possono ridurre alla disponibilità di sistemi d’arma potenti, se poi non si dispone degli uomini in grado di utilizzarli efficacemente. Uomini dotati di forza fisica, addestramento e motivazione, vale a dire disponibilità a sacrificare la propria vita in un contesto nel quale la morte non è eventuale ma sistematica, come vediamo dalle tristi cronache dal fronte. E questo ha portato alla disillusione provocata dalla sostanziale insufficienza dei sistemi d’arma occidentali, capaci di colpire in profondità anche nel territorio russo ma poco utili se non sono poi sfruttati da grandi quantità di soldati determinati e motivati che presidino il territorio materialmente. E per quest’ultimo aspetto la Russia si è dimostrata un osso più duro del previsto, in grado di impiegare molti uomini su un fronte lunghissimo, senza apparenti difficoltà a mobilitarne altri. Ovviamente, sono stati poi fatti errori di carattere tattico da entrambe le parti, come l’attacco a Kursk da parte ucraina e la mancata difesa dell’oblast di Karkiv da parte russa nel 2022, ma questo attiene alla logica della guerra nella quale si devono operare scelte nelle quali non basta l’esame “matematico” delle forze per individuare la soluzione corretta, ma si deve tenere conto di aspetti soggettivi, come la stanchezza, la motivazione, ecc. difficili da percepire dall’esterno. La guerra è infatti uno scontro di volontà portato alle estreme conseguenze nel quale non tutti gli elementi possono essere scoperti, con particolare riferimento alla pianificazione avversaria.

Crede che l’Unione Europea potrà mai emanciparsi militarmente dalla NATO, o resterà sempre dipendente dagli Stati Uniti?

Prima di rispondere vorrei fare una premessa di carattere concettuale. L’Europa in quanto pluralità di Stati assimilabile agli Usa non esiste. Gli Stati del nord America sono popolati da un miscuglio di popolazioni di diversa origine e parlano la stessa lingua seppur con diverse inflessioni (slang). Per quanto diversi per estensione e posizionamento geografico (centro, costa atlantica, costa del Pacifico, ecc.) non hanno una identità plasmata in diversi secoli di sviluppo storico che li differenzi dagli altri se non a livello puramente folcloristico. L’Europa, invece, è composta da Stati che racchiudono – isolandole dalle altre – genti di origine etnica differente, diversificate per lingua e cultura. Ma quello che differenzia maggiormente gli Stati europei è la percezione che essi hanno di sé stessi. La Francia, ad esempio, si percepisce come potenza imperiale e coloniale, proiettata all’esterno del continente. Sostanzialmente cacciata dal Sahel, rivolge ora la sua vocazione al dominio agli altri paesi del continente europeo, mettendo a frutto la sua natura di potenza nucleare e la sua esperienza coloniale. Analoga considerazione vale per la Gran Bretagna che, per quanto uscita sbattendo la porta dall’Unione, continua a dettarne le regole, forte del suo legame con la comunità anglosassone mondiale e della lingua che ha imposto in ottant’anni di dominio nelle relazioni internazionali. La Germania sa di essere la potenza economica egemone in Europa e non ha esitato in passato a far valere questa sua caratteristica nelle relazioni con gli altri paesi europei, nonché con l’estremo occidente statunitense e con l’oriente ex sovietico. Ora pare avere rimosso molti dei freni inibitori ereditati dalla sconfitta di ottant’anni fa per tornare a contare anche da un punto di vista militare. Spagna e Portogallo sono a loro volta ex potenze coloniali che mantengono importanti legami col loro vecchio impero sud americano o africano. A sua volta la Turchia, per quanto ufficialmente non inserita nell’Unione ma di fatto presente in tutte le dinamiche continentali, mantiene viva una sua ambizione neo ottomana di influenza nei Balcani, in Medio Oriente e nell’Asia centrale. Quanto ai Paesi nordici e scandinavi dimostrano poco interesse per il resto del continente, mischiando il tipico atteggiamento di tanti “nordici” nei confronti dei “meridionali” di tutte le latitudini alle loro fobie nei confronti della Russia di cui ospitano importanti componenti linguistiche e culturali. L’Italia, invece, è un paese mediterraneo che ha trovato da millenni nel Mare Nostrum il valore aggiunto di relazione con altri popoli che la portò ad essere la culla della civiltà occidentale per come è oggi conosciuta. Ecco quindi che non esiste un collante che dia luogo ad una identità comune se si esclude il Cristianesimo, Cattolico ed ortodosso, ma anche calvinista e protestante. Cristianesimo peraltro escluso con gran cruccio di Giovanni Paolo II quando si trattò di riconoscere le radici cristiane quale fondamento dell’Unione Europea. Questa lunga premessa per far capire che non esiste ancora un “polo” europeo che possa presentarsi con carattere di unitarietà nell’agone mondiale per sviluppare politiche di potenza. Una vocazione continentale distinguibile è quindi evanescente ed imprecisa, mancando anche una politica estera comune alla quale la politica militare (il termine politica di difesa è un eufemismo che possiamo dimenticare) sia funzionale. Lo prova il momento attuale nel quale non a caso i vessilliferi del riarmo europeo sono rappresentati da Francia, Germania e Gran Bretagna, essenzialmente sulla base di loro stessi interessi, mentre il resto dell’Europa segue con più o meno interesse.  Per questo, anche senza andare a fare l’analisi approfondita delle risorse che il nostro continente potrebbe dedicare ad una propria capacità militare autonoma, è per me chiaro che la Nato è destinata – fino a quando magari non imploderà per carenza di motivazioni – ad essere domina della nostra politica militare e della nostra stessa politica estera.

Quali scenari futuri ritiene più probabili per la risoluzione del conflitto in Ucraina e quali potrebbero essere le conseguenze per l’Europa e soprattutto quali sono le condizioni concrete per arrivare a una pace duratura?

Non me la sento di formulare pronostici. La situazione è ancora troppo caotica e l’irrompere di Trump sulla scena l’ha resa ancor più complessa, seppur abbia aperto spiragli di opportunità per la soluzione della crisi Ucraina. Preferisco quindi dare voce alle mie speranze, nonché ai miei timori. Una pace duratura in Europa è possibile solo con una soluzione complessiva che tenga conto delle esigenze della Russia. La Russia infatti non può accettare di vedere l’Ucraina transitare armi e bagagli nella Nato a meno di perdere ogni collegamento diretto con l’Europa, alla quale appartiene, e col Mediterraneo, strategico per i propri obiettivi di grande potenza. In questo, Trump ha finora dimostrato, rispetto all’ostinata chiusura del suo predecessore e del regime europeo, di accettare la visione multipolare alla quale ha dato voce Putin. In sostanza, per il nuovo Presidente statunitense è possibile dialogare anche con chi non condivide il nostro sistema democratico (o i nostri “valori” come spesso diciamo con grande spocchia, senza voler accettare che il mondo è molto più grande e complesso dell’orticello di casa nostra). Spero quindi che nonostante le difficoltà, la fase di dialogo attuale prosegua portando ad un mutuo riconoscimento degli interessi di tutti che mettano a tacere le armi in Europa. Certamente, comunque, l’emergenza non si esaurirà al solo livello politico, ma sarà influenzata dai risultati sul campo che per ora continuano a premiare la Russia. Se ciò verrà confermato, non credo improbabile un cambio al vertice in Ucraina, non essendo credibile un ruolo negoziale di Zelensky dopo tre anni di chiusura totale nei confronti della controparte. Credo che anche le élites dell’EU che si sono più impegnate per trasformare un fuoco localizzato in un incendio sempre più fuori controllo potrebbero essere in difficoltà a sopravvivere alla pace e a questa consapevolezza ritengo si debba il parossismo bellico dell’Unione; un’Unione pervasa da una “voglia di guerra” incredibile e paradossale soprattutto perché manifestata da quelle parti politiche che negli ultimi decenni si sono dimostrate più sorde nei confronti delle ragioni e delle esigenze del mondo militare. L’Italia, da questo punto di vista è paradigmatica, con i partiti di sinistra disperatamente aggrappati alle ragioni di un riarmo gridato, sollecitato, sbandierato che lascia basiti quanti, come il sottoscritto, hanno constatato di persona per la durata di una vita l’insofferenza che da sempre è stata riservata al nostro strumento militare, costretto addirittura a “travestirsi” da protezione civile con le stellette o da operatore di pace all’estero per essere almeno tollerato. Ben vi sta verrebbe da dire. Ma, appunto, ho anche dei timori. Temo prima di tutto che l’apparato democratico statunitense, che ha investito per lungo tempo in una guerra con la Russia, possa riuscire in un modo o nell’altro a inertizzare le aperture di Trump. Lo sta cercando di fare facendo leva sui propri fedeli alleati europei, appunto, che paradossalmente sembrano chiudere ogni spiraglio di pace che sarebbe solo nell’interesse del continente, in cambio non si sa di che cosa. Pare quasi che scommettano sulla non sopravvivenza di Trump, anche se quest’ultimo ha preso le sue contromisure rispetto al primo mandato, quando non era supportato da uno staff anche solo lontanamente paragonabile all’attuale. Ma temo anche e soprattutto che la crisi in Ucraina e quella in Medio Oriente si saldino tra di loro in un conflitto generalizzato e incontrollabile. Rispetto al Medio Oriente, infatti, Trump pare poco interessato ad una pace che non metta in primo piano gli interessi di Israele, considerato in un certo senso una propria estensione nel Mediterraneo. L’Unione Europea stessa pare distratta e assolutamente indifferente alle sofferenze delle popolazioni arabe della regione, anche se le vittime civili dei bombardamenti assommano a molte decine di migliaia solo negli ultimi due anni, tra Gaza, Cisgiordania, Libano e Siria. E questa situazione intacca decisamente anche interessi russi, come nel caso della Siria e dei rapporti con l’Iran, che Mosca potrebbe ritenere necessario difendere in qualche maniera. Una cosa è certa: in Siria si è imposto un governo espressione di Al Qaida (Hayat Tahrir Al Sham) senza che l’Unione Europea e l’Occidente abbiano battuto ciglio e questo non potrà che destabilizzare ulteriormente l’area. Il tutto in logica continuità con le cosiddette primavere arabe con le quali l’amministrazione Obama, affiancata da altri classici cercatori di grane come Francia e UK, aveva già favorito la distruzione di un paese avviato al dialogo con l’Occidente, creando a suon di bombe due Libie al posto di una sola, in nome di una crociata anti-autocrazie che non a caso riporto con l’iniziale minuscola. Insomma, la destabilizzazione del nord Africa e del Medio Oriente è stata pervicacemente perseguita ed ottenuta e non potrà venircene alcun bene.

Quali cambiamenti nelle politiche di difesa e sicurezza potrebbero contribuire non solo ad una difesa militare, ma anche alla costruzione di un ordine internazionale più stabile?

Se intende trattare, come credo, di difesa europea, è prima necessario capire nei confronti di chi. Quello che si da per scontato, come abbiamo visto, è l’incombenza di una minaccia russa che a dire la verità non ritengo probabile, almeno per quel che ci riguarda direttamente come Italiani. La Russia è già pesantemente impegnata in Ucraina e non ha un potenziale umano complessivo capace di avere la meglio delle popolazioni europee. Si tratta infatti di un Paese europeo anche sotto l’aspetto del calo demografico e della crisi di natalità che ci sta uccidendo, avendo circa 146 milioni di abitanti, decisamente inferiori ai circa 450 milioni della UE. Avrebbe gli strumenti per distruggerci, certamente, ma non per occupare il resto del continente, ammesso e non concesso che sia nel suo interesse distruggere un vicino col quale aveva intessuto un proficuo rapporto commerciale e culturale che certamente vorrebbe riannodare. In ogni caso, è questo lo spauracchio che viene agitato a mio parere a fini essenzialmente strumentali come già accennato, per dare la spallata finale alle sovranità nazionali a favore di una sovranità della UE che dovrebbe farsi carico del governo complessivo del continente. E gli apprendisti stregoni di questo tentativo di ingegneria politica trovano buon gioco nell’atteggiamento di parti non trascurabili delle nostre opinioni pubbliche. Si noterà, ad esempio, che sono proprio i partiti della cosiddetta sinistra, verdi e radicali a insistere su questa esigenza di trasformazione contraddicendo decenni di opposizione viscerale a tutto quello che sa di militare. La parola d’ordine per questi è, infatti, “si al riarmo, ma a favore della difesa europea non di quella nazionale”, come a voler delegare ad altri la scocciatura di trattare tematiche dalle quali devono cercare di mantenere le distanze, per preservare la purezza del loro “spirito democratico”. Insomma, ci pensi qualcun altro, magari rastrellando le risorse umane necessarie in quel mare di irregolari presenti nei nostri territori e in cerca di occupazione. Non possono concepire, purtroppo per loro e per noi, che per convincere un soldato a rischiare la pelle e la serenità della propria famiglia non basta un buon contratto di lavoro, ma è necessario proporgli uno spettro di valori trascendenti al suo interesse immediato che solo lo Stato, o la Patria per quelli che non hanno paura di questo termine, possono presentare. Ciò detto, una difesa europea presenterebbe anche problemi tecnici e procedurali difficili da risolvere. Il primo è l’autorità unanimemente riconosciuta al vertice di questa nuova realtà. Per gli Stati nazionali, il Comandante Supremo è infatti rappresentato dal Presidente della Repubblica o dal Re, non semplicemente da qualche transeunte organismo di governo. E questo da chi sarebbe rappresentato a livello della UE? Poi ci sono problemi pratici come la linea di comando e controllo. Chi avrebbe l’autorità di dare ordini alle unità, decidendo quindi che sia un reggimento francese e non uno tedesco o italiano a doversi sacrificare per tenere la posizione X o per conquistare la posizione Y? E con quali procedure dovrebbero procedere alla pianificazione, con quale lingua? L’inglese extraeuropeo della Brexit? E quali Regole di Ingaggio dovrebbero adottare vista la differenza di valutazione nei confronti dell’uso delle armi che viene espressa dalle diverse giurisdizioni nazionali? Insomma, cercare duplicazioni alla Nato in campo militare mi pare un’operazione disperata. La Nato, infatti, nonostante l’evidentemente crisi alla quale è a sua volta soggetta, presenta il vantaggio di proporsi come Alleanza, alla quale i singoli Stati partecipano con le loro regole e con i vincoli (i cosiddetti caveat) decisi dai rispettivi governi, senza forzature che per popoli intimamente diversi come quelli del nostro continente sarebbero improponibili.

Generale L’Italia, in questo contesto di guerra e di ricerca della pace, quale ruolo dovrebbe assumere per non restare marginale nelle decisioni che plasmeranno il futuro non solo dell’Europa, ma del mondo?

Il valore aggiunto dell’Italia è dato dalla sua tradizione e dalla sua natura, unanimemente riconosciute in ambito internazionale. È un Paese importante, la cui voce verrà sempre considerata con attenzione, a prescindere dalla sua forza economica o militare, se non altro per il fatto di essere ancora il centro del mondo cristiano su cui è investito l’Occidente. Ma la stessa attenzione le è riservata anche dal mondo orientale, nonché da quello islamico. Credo quindi che l’Italia debba cercare di interpretare sé stessa, dotandosi di strumenti per la propria difesa e per l’affermazione dei propri interessi anche sotto il profilo militare, ma senza travestitismi per sembrare ciò che non è. Ha sempre svolto un ruolo importante nella soluzione pacifica delle crisi, a partire da quella dei missili russi a Cuba degli anni ’60 confermandosi così anche in un’epoca molto vicina alla sconfitta della seconda guerra mondiale, interlocutrice importante proprio per il rispetto unanimemente riconosciutole. Su questo, su una sua terzietà culturale e morale, si sarebbe dovuto e si dovrebbe investire, anche con riferimento alla crisi ucraina e a quella mediorientale. Di rullatori dei tamburi di guerra ce ne sono già abbastanza senza bisogno di aggiungere la nostra voce alla loro cacofonia bellicista.

Andrea Caldart