Da rilegggere in vista del Mondo a Venire
Il Primato Nazionale – Scritto da La Redazione
Roma, 25 sett – Il saggio Genesi e struttura della società fu completato da Giovanni Gentile il 25 settembre 1943, a due mesi dal crollo del regime fascista. Scritto «a sollievo dell’animo in giorni angosciosi» – si era all’indomani dell’armistizio, della fuga del re e dello sbandamento dell’esercito – è considerato il «testamento spirituale» del filosofo. Il quale, forse presentendo la fine imminente (il 15 aprile 1944 sarebbe caduto sotto il piombo partigiano), nel mostrare il manoscritto a un collega antifascista disse: «I vostri amici possono uccidermi, se vogliono. Il mio lavoro nella vita è finito». L’opera in questione, definita da Ugo Spirito, allievo di Gentile, il lavoro più «bello, innovatore e rivoluzionario» del maestro, si concentra soprattutto sulla vita collettiva e sul rapporto che vi si instaura tra l’individuo e il sistema di relazioni in cui è inserito. È dunque una lettura imprescindibile per comprendere la visione politica gentiliana, fondata sull’idea di uno Stato etico che avrebbe trovato nel fascismo una, seppur parziale, attuazione storica. Uno Stato totalitario, ma fondato su libertà e partecipazione popolare. Uno Stato, paradossalmente, libero e democratico, nel senso che assumono in Gentile i termini di libertà e democrazia. Uno Stato del lavoro.
Il fondamento spirituale del politico
Lo Stato gentiliano è innanzitutto etico, ossia morale. Ma cosa significa che uno Stato è etico? In che rapporto sta l’etica statale con la morale individuale? La morale, per tradizione, non concerne solo la coscienza del singolo? Cosa c’entra dunque lo Stato con la morale? La risposta a tali quesiti richiede alcune precisazioni preliminari. Gentile non fu il primo filosofo a evidenziare il carattere etico dello Stato, avendo già Hegel, oltre un secolo prima, elaborato una fenomenologia del processo «oggettivo» (storico) dello spirito, culminante nell’«eticità» (la moralità sociale), che a sua volta ricomprende tre forme di vita collettiva dialetticamente correlate: la famiglia («sistema degli affetti»), la società civile («sistema dei bisogni») e appunto lo Stato (il sistema giuridico-politico). Il concetto gentiliano di Stato, come quello hegeliano, va allora ricondotto a quello idealistico di spirito. Ma cos’è lo spirito degli idealisti, e di Gentile in particolare? Trattasi dell’io trascendentale, dunque del pensiero (in Gentile, pensiero in atto). Non pensiero, però, dell’individuo empirico, il cui contenuto è legato all’esperienza personale; lo spirito è piuttosto un cogito cartesiano all’ennesima potenza, autocoscienza universale che «fonda» l’oggetto (il mondo delle cose) ponendolo nell’atto stesso in cui lo pensa con i suoi concetti. È dunque l’essenza razionale che accomuna ogni uomo; l’umanità come soggetto collettivo che cerca di pervenire, nella filosofia, alla coscienza di sé come fondamento della realtà.
La volontà dello Stato come volizione dell’universale
Lo spirito d’altronde non si limita a filosofare; è anche volontà che si attua nella prassi. Ora, se il singolo uomo, particella dello spirito universale, è volente, anche lo Stato, creazione spirituale in quanto umana, vuole, ma con una differenza: la volontà dello Stato, rispetto a quella del singolo, tende all’universale, non al particolare. Lo Stato infatti, scrive Gentile in Genesi e struttura della società, «è lo stesso individuo [considerato] nella sua universalità», nel senso che la volontà statale (espressa nel diritto) si attua «come volontà del cittadino in quanto volontà universale», volontà del bene comune. La volontà dello Stato è dunque la stessa volontà del cittadino, innalzata all’universalità che trascende gli egoismi individuali. Ed è qui, nella sua elevazione all’universale, che la volontà dello Stato assume contenuto morale. È nella prassi, dominio della volontà, che si rivela l’identità di etica e politica. La moralità, inoltre, è inseparabile da un altro aspetto della vita dello spirito: la libertà. Qui sta infatti la differenza tra l’essere umano (ente spirituale) e l’animale (ente naturale). L’operare dell’animale, sottolinea Gentile, è «meccanico, e in tal senso necessario; e però definito istintivo». Ha una sua razionalità, ma utilitaristica, volta alla soddisfazione dei bisogni, immanente alla natura di cui l’animale è parte. La sua volontà è dunque priva «dell’essenziale attributo umano, la libertà». Solo l’uomo è libero perché, in virtù della sua spiritualità, possiede una volontà libera, che si pone fini consapevolmente voluti. Così la libertà rende l’uomo morale, non potendo concepirsi un comportamento etico che non sia frutto di una volizione libera. Dato allora che, pur nella diversità dei piani, Stato e individuo hanno sostanza spirituale, allo Stato competono, a un livello più alto, le stesse libertà e moralità dell’individuo. Al punto che, afferma Gentile, uno Stato «anetico» non è tanto immorale quanto inumano, poiché «nessuna forma di attività umana è concepibile che non sia per se stessa subordinata alla legge morale». Le conseguenze sono evidenti: solo nello Stato l’individuo può realizzare la propria essenza libera e morale, essendo l’immediata individualità del singolo tendenzialmente amorale (se non immorale), dominata dall’egoismo dell’interesse. Solo se inserito nella sfera dello Stato l’uomo esce dal guscio dell’individualità empirica, assumendo un compito morale: il dovere di operare per il bene collettivo anche a discapito delle proprie immediate necessità. Un compito che, per essere etico, va intrapreso al di là di ogni costrizione esteriore, in libertà e consapevolezza.
Libero individuo in libero Stato
Ma quale libertà permette uno Stato che, in quanto etico, è anche totalitario, nel senso che non ammette divaricazione di obiettivi e interessi tra l’individuale e il collettivo? Che, in quanto sommo pedagogo, è chiamato a formare il cittadino formandone la coscienza (dal che discende, si legge in un testo che precede Genesi e struttura della società di circa un quindicennio – il saggio del 1927 su Origini e dottrina del fascismo – «la necessità del Partito e di tutte le istituzioni di propaganda e di educazione secondo gli ideali politici e morali del fascismo», messi in opera per ottenere «che il pensiero e la volontà di uno che è Duce diventino il pensiero e la volontà della massa»)? Occorre intendersi sul senso delle parole di Gentile. Per lui, libertà non significa indifferenza ideologica, né riconoscimento incondizionato del pluralismo delle idee. Piuttosto, si è liberi di aderire o meno, sopportandone le conseguenze, a uno Stato che si configura, in quanto etico, come il migliore degli Stati possibili. Stato che, in quanto tale, non esiste al di fuori del cittadino, ma «dentro» esso. Che si particolarizza nell’individuo che in esso si universalizza, dal che sorge una comunità spirituale, una sintesi che forma uno Stato in dialettica armonia con l’individuo, dove non c’è posto per troppe dissonanze ideologiche, né per un’infinita polifonia di voci politiche. Un popolo, d’altronde, entra nella politica solo se ha una «coscienza unificata», una consapevolezza di sé; dunque, una personalità morale unitaria, capace di volere liberamente. Ora, la volontà di un popolo che liberamente si sente e si vuole tale, come nazione, è lo Stato. In esso solo, il cittadino è concretamente libero. Secondo il Gentile di Genesi e struttura della società, infatti, la «libertà del cittadino [è] la libertà dello Stato», perché non c’è libertà all’interno «senza indipendenza dall’esterno». Ciò che davvero conta, quindi, non è la libertà liberale, quella di fare o dire del singolo, bensì la libertà dello Stato di perseguire una politica sovrana e indipendente: condizione che fa del cittadino un soggetto libero, essendo «libero […] soltanto l’individuo nel libero Stato».
L’umanesimo del lavoro e lo Stato corporativo
Si è detto che, oltre che libero, lo Stato gentiliano è democratico, fondato sulla partecipazione popolare. Ma qual è il presupposto di tale democraticità, se si esclude il modello liberale, fondato sull’eterogeneità delle espressioni ideologiche e delle formazioni partitiche? Entra qui in gioco il lavoro, tema che Gentile sviluppa riattualizzando Hegel. In Genesi e struttura della società, sciogliendo un inno all’«umanesimo del lavoro», Gentile esalta, del lavoro, la funzione di umanizzare la natura e al contempo spiritualizzare colui che, lavorando, riconquista la libertà dall’alienazione del mondo materiale. Se è vero che il filosofo nega l’autonomia dell’economico, sfera inferiore dell’umano, è anche vero che nella misura in cui il lavoratore manuale, operando sulla natura, «lavora da uomo, con la coscienza di quel che fa», dispiega la medesima «attività del pensiero» di chi lavora con intelletto e creatività. Come l’artista, il letterato e il filosofo, anche il contadino e l’operaio lavorano, e «la materia è già vinta da quando la zappa dissoda la terra […] e l’associa al conseguimento del fine dell’uomo». Anche il lavoratore manuale assurge così a una dimensione spirituale, etica, veramente umana dell’esistenza. Lo Stato etico è allora anche corporativo, fondato sul lavoro. In esso, alla rappresentanza liberale basata sull’uomo come «astratto individuo politico», subentra una nuova forma dove, a essere rappresentato, è il lavoratore, inquadrato nella sua organizzazione professionale. È una rappresentanza organica, che tiene conto della funzione economica del cittadino, e ne mette l’interesse in relazione a quello dell’intera comunità nazionale. È una partecipazione centrata sull’uomo quale «forza produttiva specializzata», portata «ad accomunarsi con tutti gli altri individui della stessa categoria». Il che avviene nei sindacati i quali, si legge in Origini e dottrina del fascismo, «componendosi armonicamente in corporazioni», si assoggettano alla disciplina statale ed esprimono dal proprio seno «l’organismo dello Stato». Allo Stato liberale subentra allora lo Stato corporativo, che è ancora quello etico, pur sotto una diversa prospettiva. Il nucleo della visione di Gentile è sempre, infatti, l’immanenza reciproca di individuo e Stato, formazione politico-giuridica in cui libertà, moralità e personalità umane trovano una fattuale attuazione storica.
Corrado Soldato