(MB: Un governo che non ha alcuna legittimità, che dovrebbe esistere solo per varare la legge elettorale onde farci finalmente votare e poi scomparire alle elezioni, compie gravissime operazioni di svendita del patrimonio pubblico italiano. Per coprire i buchi fatti dalla casta parassitaria e dal PD (vedi Montepaschi).
L’ARTICOLO DI DAGOSPIA CHE ANTICIPAVA LA MISSIONE DI PROFUMO: SMANTELLARE FINMECCANICA E VENDERLA A PEZZI
NOMINE: A LEONARDO ARRIVA PROFUMO, DEL FANTE IN POSTE (ANSA) – Al vertice di Leonardo il Tesoro indica l’ex banchiere Alessandro Profumo e l’attuale presidente Giovanni De Gennaro, mentre per Poste la scelta cade su Matteo Del Fante (attuale a.d. di Terna) e Bianca Maria Farina. Lo annuncia una nota del Tesoro.
NOMINE: DESCALZI E STARACE CONFERMATI IN ENI ED ENEL
(ANSA) – Confermati i vertici di Eni ed Enel. Al gruppo petrolifero Emma Marcegaglia e Claudio Descalzi e a quello elettrico Patrizia Grieco e Francesco Starace. Lo annuncia una nota del Tesoro con le liste per le società partecipate.
TESORO, SU TERNA DECIDE AZIONISTA CDP
(ANSA) – “Per quanto riguarda la società Terna le cui nomine spettano al Consiglio di Amministrazione della Cassa depositi e prestiti, le proposte dei vertici CDP saranno coerenti con i criteri seguiti dal Governo nelle nomine di propria competenza”. LO sottolinea il Mef nella nota con cui ha reso note le indicazioni per i vertici delle società partecipate in vista delle assemblea chiamate a deliberare sul rinnovo delle carice.
1.NOMINE, IL GOVERNO PRENDE TEMPO PROFUMO A LEONARDO, ULTIMO SCOGLIO
Estratto dall’articolo di Gianni Dragoni per ”Il Sole 24 Ore”
Solo poco dopo le 22 dal Mef è arrivata la comunicazione che le liste dei candidati ai nuovi consigli di amministrazione per i prossimi tre anni saranno diffuse oggi. Secondo indiscrezioni, non confermate, il governo si sarebbe trovato di fronte all’ improvviso ripensamento – alcune fonti hanno parlato addirittura di una rinuncia – di Profumo, designato amministratore delegato dell’ ex Finmeccanica, al posto di Mauro Moretti.
Un piccolo azionista della banca che è in contrasto con Profumo per come sono stati fatti i bilanci di Mps di questi anni, l’ esperto di finanza Giuseppe Bivona, da Londra ha scritto al ministro dell’ Economia, Pier Carlo Padoan, chiedendogli di bloccare la nomina.
(…) La scelta di Profumo sarebbe stata ispirata da Renzi. L’ ex premier voleva a tutti i costi un esterno, tuttavia sarebbe stato Padoan, economista ed ex direttore della Fondazione Italianieuropei diretta da Massimo D’ Alema, a indicare il banchiere che ha guidato Unicredit e poi è stato presidente di Banca Mps. Profumo non ha mai fatto mistero di votare alle primarie del Pd. Da settembre 2015 è presidente di Equita Sim, banca d’ investimento posseduta dal management.
Profumo ieri ha avuto alcuni colloqui con professionisti sulle strategie di Leonardo. A tarda serata si è diffusa la notizia di una sua rinuncia, spaventato dalle reazioni negative, con il governo che cercava di convincerlo ad accettare e versioni contrastanti. Non è stato possibile interpellarlo.
- IL PIANO DEL PD SU FINMECCANICA SMANTELLARLA A FAVORE DEI FRANCESI
Claudio Antonelli per ”La Verità”
Le nomine delle partecipate pubbliche sono uno sport nazionale, nel quale spesso vince chi parte per ultimo. Finmeccanica, o come si chiama ora Leonardo, di solito è la specialità di gara più complessa.
Tant’ è che ieri è spuntato all’ improvviso il nome di Alessandro Profumo, manager bancario che ha legato il suo nome a Unicredit, alla maxi buona uscita e soprattutto al Monte dei Paschi di Siena che ha abbandonato a metà 2015 senza avere avuto il coraggio di scuotere per davvero il tappeto delle sofferenze.
Eppure a spingere nella sua direzione ci sono il ministro dell’ Economia Pier Carlo Padoan e mezzo partito democratico, che da sempre ama il manager con lo zainetto, tanto da averlo anche immaginato come papa straniero. Renzi si è limitato ad acconsentire, mentre il premier Paolo Gentiloni sembra nicchiare.
Molti quotidiani danno la nomina per fatta. Bisogna ricordare che nel 2011 nei due giorni precedenti al deposito delle liste uscì il nome di uno stimato manager aerospaziale.
Sembrava un esisto scontato.
Due ore prima l’ ufficializzazione da parte del Mef, allora guidato da Giulio Tremonti, spuntò dal cappello magico il nome di Giuseppe Orsi. Vinse e divenne amministratore delegato fino alla tempesta giudiziaria che gli tagliò la testa. Tanto per precisare che queste ore sono decise. La nomina di Alessandro Profumo accenderebbe però un grande faro sulla strategia industriale del governo in merito a uno degli asset più importanti del nostro Paese: oltre 12 miliardi di fatturato, più di 40.000 dipendenti e un passato glorioso nell’ elicotteristica.
Molti manager del mondo aerospaziale, sentito il nome di Profumo, sono sobbalzati sulla sedia. Non per il ruolo che ebbe nella russa Sberbank, ma per via della lontananza siderale dal mondo dell’ aerospazio. Perché un esperto di finanza dentro un’ azienda che, dopo tre anni di pulizie firmate Mauro Moretti, si ritrova senza una strategia precisa e cerca sbocchi nelle grandi gare internazionali? La risposta non è semplice, ma sembra stare proprio nella mancanza di capacità specifiche. Da affiancare alla gestione ci sarebbe una strategia europea che mira a sacrificare alcuni settori industriali dell’ Italia.
Il piano del Pd con Profumo alla guida sarebbe ottimizzare la gestione finanziaria per poi spacchettare il colosso di piazza Monte Grappa e cederne ai competitor esteri una parte. Soprattutto quella aeronautica. In pole position ci sarebbero i francesi. Certo Airbus sarebbe interessata ad acquisire una serie di competenze made in Italy e le pale rotanti dell’ ex Agusta Westland farebbero gola ad Eurocopter.
Le sinergie con i francesi sono da anni molto strette (anche nel comparto dello spazio) e non bisogna dimenticare che Mauro Moretti ha più volte espresso la volontà di concentrarsi sui velivoli ad elica cedendo ai francesi partecipazioni. Con bandiera italiana resterebbe il settore dell’ elettronica per la difesa e anche la missilistica non sarebbe ceduta (la Difesa ha già in passato messo il veto).
Tanto più che tali comparti si stanno dimostrando sempre più sinergici con l’ altro colosso della Difesa italiano: Fincantieri. Nella mega commessa del Qatar l’ azienda guidata da Giuseppe Bono ha vinto con l’ uso di tecnologia del gruppo Leonardo e in Australia si sta provando il medesimo schema. Taluni vedono quindi la possibilità che ad alti livelli governativi possa nascere un patto trasversale tra Italia e Francia.
Via i paletti che impediscono a Fincantieri di diventare il primo player cantieristico d’ Europa in cambio l’ Italia riconoscerebbe ai francesi il predominio in campo aeronautico. Ovviamente, la stessa strategia si può portare avanti con modalità diverse.
Una più conservativa potrebbe vedere in un prossimo futuro un doppio incarico di Giuseppe Bono alla presidenza di entrambe le aziende in modo da portare nel perimetro degli scafi tecnologie militari che ora sono in capo a Monte Grappa.
L’ altra strategia sarebbe molto più devastante. Ovvero, come una parte del Pd sostiene, partire con lo spacchettamento del gruppo Leonardo cedendo storia della tecnologia aeronautica con logiche politiche e molto poco industriali. A tal fine Alessandro Profumo potrebbe svolgere un ruolo di spicco vista la sua grande capacità di gestire flussi finanziari e lo standing internazionale che ancora oggi i mercati gli riconoscono.
Al banchiere andrebbe solo affiancato un uomo di macchina che conosce i meandri dell’ azienda. Si era fatto il nome di Leonardo Giulianini, già capo della controllata Selex Es. Quest’ ultimo, una volta diffuso il nome del manager bancario, stando a quanto risulta alla Verità, non si sarebbe reso disponibile. Forse perché teme che il suo nome resti legato a un piano che sarebbe di decrescita e non certo felice. O semplicemente non vorrà trovarsi a fare manovalanza per un dirigente che nello zainetto che si porta sempre appresso non avrebbe mai immaginato di inserire un manuale per fare volare un drone o la guida alla supply chain di un progetto mastodontico come il caccia Usa F 35. Vedremo.
- ALESSANDRO IL BANCHIERE SI REINVENTA MANAGER PER AMORE DELLA POLITICA
Walter Galbiati per ”la Repubblica”
«La politica per me è una passione, ma non una missione. Anni fa ho pensato di tentare l’ avventura, perché ritengo la politica un mestiere nobile, ma il discorso non è più attuale». Avere avuto la tessera del Pd e votare alle primarie è iniziato a contare per Alessandro Profumo solo dopo la sua uscita da Unicredit. E potrebbe contare nuovamente ora che si fa il suo nome per la guida di un colosso di Stato, l’ ex Finmeccanica diventata Leonardo.
Nel 2010, le Fondazioni azioniste di Unicredit, ben radicate nel veneto leghista e nel Nord Italia, lo avevano gentilmente accompagnato all’ uscita con un assegno da 40 milioni di euro, perché senza dire niente a nessuno aveva aperto la porta dell’ istituto agli arabi della Central Bank of Lybia e della Lybian Authority Investment. Un gesto considerato “arrogante” che cercava di tenere la politica fuori dalla stanza dei bottoni, ma che minava l’ autonomia dei soci. Che lo liquidarono in un fine settimana.
Ed è proprio nel 2010 che Profumo viene tentato per la prima volta dalla politica. All’ interno del Pd circola il suo nome per arruolarlo tra le file dei possibili futuri ministri o forse anche più. Per due volte, con la giacca del banchiere, Profumo si era messo in fila per votare alle primarie del centrosinistra: la prima nel 2005 quando fu scelto Romano Prodi.
La seconda nel 2007, quando la moglie Sabina Ratti (ora presidente della Fondazione Eni Enrico Mattei) si candidò con Rosy Bindi per entrare nell’ assemblea nazionale del Pd. E la sua vicinanza ai democratici passa anche attraverso Massimo D’ Alema. Nel 2006 il banchiere partecipò a un Forum di Italianieuropei insieme con Enrico Letta che fu soprattutto una celebrazione del ruolo internazionale di D’ Alema, allora ministro degli Esteri.
Eppure nel 2010 Profumo non cede e si defila. La politica, però, torna a corteggiarlo due anni dopo per correre al capezzale del Monte dei Paschi di Siena. La Fondazione Mps, da sempre in area Pd e che nel 2012 aveva ancora oltre il 30% del capitale della banca, lo propone come presidente a fianco di Fabrizio Viola. Profumo riceve il testimone da Giuseppe Mussari, in caduta libera, anche lui considerato vicino a D’ Alema e che Profumo aveva a sua volta sponsorizzato per diventare il numero uno dell’ Associazione bancaria italiana (Abi). Profumo sale in sella, rifiutando lo stipendio da 500mila euro, ma dopo tre anni lascia la banca senza averla risanata.
È nel periodo senese, però, che Profumo viene a contatto con l’ entourage dell’ allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, già pronto a candidarsi come segretario del Pd. Nel 2013 partecipa a un convegno dell’ Istituto Luigi Sturzo promosso da Yoram Gutgeld, ex McKinsey (la società di consulenza in cui aveva lavorato anche Profumo) nonché stratega del programma economico-sociale del sindaco di Firenze .
A fine 2014 Renzi diventa presidente del Consiglio e accompagna la gestione Mps di Profumo per oltre un anno. Collaborano per risanare la banca, ma senza successo, tant’ è che Mps è ancora a rischio bail in e attende una ricapitalizzazione dello Stato. In una intervista con Giovanni Minoli, alla domanda su che pensa di Renzi Profumo parla liberamente: «Rivedo in Renzi alcuni dei miei difetti da giovane. È diventato molto potente presto e non ascolta molto». Ora con l’ età, Profumo si ritiene più mite e meno impulsivo, doti che potrebbero servirgli per guidare una partecipata del Tesoro.
Di certo non ha un curriculum da manager industriale, nonostante l’ esperienza come consigliere Eni, ma non ha pendenze giudiziarie aperte. Per la vicenda Mps e per il caso di usura a Torino ai danni di una società finanziata da Unicredit, è stata chiesta l’ archiviazione, mentre resta ancora in sospeso un processo per bancarotta con la ditta Divania. Un processo, a dire il vero, sui generis perché dopo che Profumo è stato assolto dall’ accusa di truffa, la procura ha riaperto il caso contestando a Unicredit di aver fatto fallire il gruppo, senza però chiamare in causa l’ imprenditore.