Di Enrico Grazzini
“L’eurozona ha bisogno di creare delle procedure per affrontare in maniera ordinata la possibile insolvenza (ovvero il fallimento) di uno Stato e l’eventuale recesso di uno Stato dall’eurozona”. Questa frase è contenuta in un documento ufficiale firmato solo qualche giorno fa da 154 influenti economisti tedeschi contro le proposte di riforma dell’eurozona da parte del presidente franceseEmmanuel Macron.
Da parecchio tempo – e in particolare da quando l’ex ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, nel pieno della crisi dell’euro, propose che la Grecia lasciasse l’eurozona – i politici e gli economisti tedeschi discutono ufficialmente della necessità di un “piano b” per l’eurozona: questo piano dovrebbe prevedere la possibilità da parte di uno Stato di uscire dall’euro in modo ordinato cosicché il governo tedesco non debba sopportare nessun costo per salvarlo. Nella loro logica anti-cooperativa e assolutamente miope, i governi tedeschi sono coerenti.
La Germania fa sfacciatamente i suoi interessi nazionalistici. Da sempre vota apertamente contro le manovre di espansione monetaria promosse da Mario Draghi, presidente della Bce, per “salvare l’euro”. Da sempre dimostra di non avere la minima paura di arrivare a provocare la rottura dell’eurozona qualora i Paesi dell’euro non si allineino alle sue direttive di assurda austerità monetaria e fiscale.
In Italia, invece, siamo ammalati di europeismo “senza se e senza ma” e ci siamo dimenticati di difendere i legittimi interessi nazionali e gli interessi dei cittadini e delle imprese italiane. Abbiamo ceduto la nostra sovranità – che non è una brutta parola ma che significa capacità decisionale, ovvero la base della democrazia – a uno Stato estero che governa tra l’altro una economia e una finanza che competono con le nostre imprese e con le nostre banche. Finora i governi italiani si sono finora inchinati ai diktat tedeschi con il pretesto del mito dell’Europa unita.