Di monsignor Luigi Villa – Omelia per l’Ascensione, 31 maggio 1987
Cristo ha lasciato la terra ed è asceso al Cielo. Stupore e dolore degli Apostoli che si vedono sottratto il Maestro tanto amato. E l’assicurazione dell’Angelo che ripete loro la certezza che il Signore ritornerà. La fede è la pienezza della capacità umana come orientamento costante all’essenziale. È la corrente profonda del destino realizzato. Difficile è credere, perché più facile è amare il mondo, come fosse la nostra stabile eterna dimora. Eppure gli anni corrono via, la vita passa e non ci attende il nulla, ma un destino immortale. Ha detto Gesù: “Vado a prepararvi un posto”. Le nostre mete sulla terra sono ambigue e ristrette. Le strade finiscono e se non vi sia il baratro, ogni senso, ogni scopo si esaurisce. Né vi può essere una pace piena quaggiù. Figli della terra, la terra ci dona il corpo, le forze che plasmano la carne, la cultura che corrobora la mente. Ma non ci basta la terra. Anche l’uomo più distratto avverte inconsciamente l’aspirazione ad un immenso cielo. Il cielo intesse in noi la parte eterna, il piccolo germe destinato a crescere nel regno di Dio. Il Paradiso! Ci pare una fiaba da bimbi ed è, invece, il solo luogo del nostro riposo. Fin che duriamo nel tempo, il Cielo è un luogo colmo di mistero, è lo spazio assente del quale abbiamo soltanto un umbratile conoscenza. Ma ne sentiamo il richiamo, ne avvertiamo l’acuta nostalgia e il pungente desiderio quando la vita ci prende e ferisce nella morsa dei suoi immancabili dolori. È il richiamo alla nostra sola, alla nostra vera, alla nostra eterna dimora. Importa alimentare nel cuore l’ansia di questa Assenza, il desiderio di quell’incontro con Cristo che supererà tutte le nostre attese. E se sappiamo ogni giorno abbreviare la distanza dell’Incontro con la fiamma del desiderio, la vita si trasforma in un perenne atto di speranza. Siamo stolti a dimenticare il nostro destino. I sentieri di questa terra sempre più divisa, sembrano, ma non sono, più allettanti perché ci lasciano con le mani vuote e il cuore devastato e a volte sanguinante.
La parola di Gesù rende più bruciante il nostro desiderio: “Vi aspetto”. Cristo ci attende nella Città futura dove si aprirà al nostro sguardo un mondo incomparabile, colmo di crescita e sempre nuovo. Un essere finalmente e per sempre con Dio che integrerà l’intero processo dell’evoluzione, tutto il vivere e il sentire che esiste nel mondo, sfociato nell’infinita felicità di Dio. La rivelazione ricollega una immagine all’altra per dirci la felicità senza confini di un essere eternamente oggetto di dono. I giusti siederanno con Cristo sul trono di Dio, giudicheranno il mondo, brilleranno come il sole e Dio darà loro la stella del mattino. Immagini della felicità, del candore intatto che trascendono tutto il dicibile umano, splendore di un destino che ci aprirà all’amore totale, alla conoscenza senza ombre, alla visione e alla comunione con Dio e con l’universo angelico e umano, nell’oceano di luce di tutte le stelle.
Ha detto Isaia e ci ripete San Paolo che occhio umano non vide, orecchio umano non udì, cuore d’uomo mai assaporò la felicità piena, l’eterna unica gioia che Dio ha preparato a coloro che lo amano.
E sarà un incontro eternamente festivo. Noi rimpiangiamo i nostri morti ma, oltre l’oscura porta dei poveri che è la morte, noi li ritroveremo ad uno ad uno, quelli che abbiamo amato e che ci hanno tanto amato. E sarà un incontro pienamente felice, in una conoscenza e in un amore, quali non possiamo realizzare sulla terra, compiuti e perfetti. La conoscenza, nella logica del Vangelo, emerge ed è possibile solo dall’interno di un rapporto di comunione che è una confidenza, un apertura, un dono totale di sé. Essa nasce dall’amore di Dio e produce, in Dio, l’amore dell’uomo per l’uomo. Il Paradiso è questo nostro dono totale a Dio e, in Lui che ci ha amati fino alla Croce, un donarci per intero ai fratelli. Stare attivamente nella famiglia del Padre, vivere non più la fatica ma la gioia intensa, infinita dell’amore dei fratelli, donarci nel servizio di ogni uomo, non abbandonando nessuno di quelli che abbiamo lasciato quaggiù, è il luogo cristiano dove accade il Paradiso. Il Cielo di Dio sarà allora il compiersi del nostro bisogno di amare, entrando nella risurrezione di Cristo che ci ha amati fino a morire. E sarà la gioia perfetta. Perché nessuna gioia è più grande dell’amore che dona e si dona: l’amore che diventa il nostro stesso essere finalmente realizzato ed eterno, dopo le gioie effimere e i molti dolori dei nostri giorni in fuga.
Ma bisogna già nel tempo essere fedeli a questa suprema vocazione dell’amore, vivendo da oggi come fossimo in cielo. Il Dio fatto uomo ci ha promesso anche nel tempo, la vita, e ce ne ha indicato il cammino: distacco da noi stessi, fedeltà alla Parola di Dio, fame e sete di giustizia. E comunione intima con Lui. “Ho scelto Cristo, diceva un indù, perché è l’unico Dio che è salito al Cielo ma che è rimasto per sempre con noi sulla terra”. Non sono solo, non siamo soli: Cristo è risorto e asceso al Cielo, ma presente ad ogni passo per additarci e condurci alla meta. Parliamo poco del Paradiso, ma è la sola realtà stupenda e a noi così vicina. Orizzonti ampi, infiniti, colori che non conosciamo, splendori che non riusciamo ad immaginare. E poi l’incanto di Dio, il sorriso di Cristo, il volto di Maria, la comunione dei Santi.
Sulla volta della Sistina, vi è uno dei capolavori d’arte più stupefacenti, l’intuito del genio e l’amore del credente. Il dito di Dio che si avvicina con forza, onnipotenza, amore, tenerezza infinite al dito del primo uomo.
Il Paradiso è questo. Il dito di Dio, la sua mano, la mano più gentile e delicata, posata su di noi in eterno, amore, perdono, luce, sorriso, per farci cantare con Maria nostra Madre, la musica del grazie senza fine.
Grazie, o mio Dio, di avermi pensato e amato dall’eternità, grazie di avermi creato, grazie, come Dante ha cantato, di questo riso dell’universo che è il Tuo Paradiso. Grazie, come ci hai promesso nell’Apocalisse, di avermene aperto la Porta che nessuno più potrà chiudere. (Apoc. 3,8)
O Tu che ci hai predestinati a questo prodigio, io Ti sorrido.
Sorriso dell’uomo, sorriso del cristiano, sorriso del peccatore pentito.
Sorriso dell’intelligenza che è un raggio della Tua Luce eterna.
Sorriso di tutta la vita, anche nelle ore del pianto. Sorriso nella malattia, nell’età che declina: sorriso nella morte che è il termine dell’Assenza e l’ora dell’incontro con la Tua Pienezza, o mio Dio, l’avvento dell’unificazione suprema col Padre, col Figlio, con lo Spirito Santo dove saremo insieme.
Allora facciamo nostra la sublime preghiera di Gertrude la Grande, scritta sull’immagine funebre di Francis James: “O Gesù, mio amore, amore della sera della mia vita, rallegrami con la tua presenza nel momento del mio distacco… O mio Gesù della sera, fa che io mi addormenti in Te di un sonno tranquillo”. L’ultima e la prima ora si toccano. Il vecchio è pur sempre il bambino partito all’alba al canto degli uccelli di cui si commuove Baudelaire.
Ciascuno è sempre, fino alla fine, il bimbo della partenza. Perché non abbiamo il tempo di uscire dall’infanzia e la mamma, la nostra mamma che ci ha preceduti, ci sorriderà al prossimo incontro. E bisogna avere la trepida confidenza del figlio che non ha paura, anche se ha sbagliato.
Siamo come lo scolaro sempre in ritardo, seduto sul gradino della soglia finché il maestro non gli apra il Paradiso è questo, l’aula di Dio alla quale ci affacciamo con le mani vuote ma col volto e il cuore segnati e bruciati dal grande Desiderio: Signore, aprici. Rechiamo la piccola appena fumigante lampada della fede, ma il Dio di Emmaus, ferito dalle mani degli uomini, non può che aprirci la porta se appena, con umiltà, con amore, gli stendiamo la mano.
Essere e sentirci un vaso vuoto, capire di avere sbagliato molto, se non tutto, ma lasciarci riempire da Dio. Noi non siamo nulla, Egli solo è: noi non aggiungiamo, non continuiamo, non prolunghiamo di una sola sillaba la nostra miserabile storia, ma siamo certi del nostro destino che è di inebriarci della Luce infinita di Dio;
E sarà il Paradiso. Saranno “infra le due rive dipinte di mirabil primavera” ,
la pace, la gioia, l’amore infiniti.
E se non credete a questo, affogatevi in tutte le stupidità, le iniquità, le miserie, i dolori e le menzogne della terra.
Ho detto a una signora belga, all’aeroporto di Pecos in Texas di cui è la responsabile: “Ma fois c’est une certitude”. Commossa la signora belga mi ha abbracciato.
Mi sento indegno del Paradiso ma confido nell’infinita misericordia perché il cielo è il mio solo sospiro.
Per Te Crocifisso, per Te Signore Gesù.
Monsignor Luigi Villa (1918-2012) ebbe da Padre Pio la missione d combattere la Massoneria nella Chiesa. Per la sua biografia, http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV370_Don_Luigi_