Già i giornali non parlano più della sentenza con cui la Cassazione ha protetto i furbetti del cartellino: eppure dovrebbe suscitare rivolte in piazza. I fancazzisti pubblici, i parassiti di qualunque ordine, grado e sottocasta non sono licenziabili. Per loro non valle la legge che vale per i comuni cittadini, la legge Fornero. Vale l’articolo 18: il vigile di Sanremo che timbra in mutande, e i suoi colleghi che timbrano per gli altri, saranno “reintegrati nel posto di lavoro” (lavoro?).
I magistrati sono riusciti a sancire la diseguaglianza dei cittadini di fronte alla legge: complimenti. In materia di lavoro, mettendosi dalla parte degli sfruttatori contro gli sfruttati: altre congratulazioni, magistrati “democratici”. E ovviamente, con quella sentenza hanno protetto sé stessi, perché sono loro la componente più forte e agguerrita della Casta pubblica, e si sono dichiarati esenti dalla legge Fornero anche loro, per sentenza: triplici felicitazioni, custodi della Giustizia. Anzi peggio: i nuovi assunti nella pubblica amministrazione sono soggetti al Jobs Act, dunque licenziabili. La sentenza della Cassazione difende dunque i vecchi privilegiati – cioè loro, i magistrati di Cassazione da 15 mila mensili – contro i nuovi, quelli assunti (spesso da precari) per fare il lavoro che gli augusti fancazzisti ultra-protetti sono pagati per fare, e non fanno.
Qui ci vuole la standing ovation. Hanno creato un nuovo diritto. Che in realtà è molto antico. Il diritto dei padroni contro i servi. Dei signori contro i sudditi. O ancor meglio: è il diritto emanato da occupanti stranieri il cui unico fine non è il governo della popolazione occupata, bensì la sua spoliazione.
Strategia costante: nessuna riforma
E non è mica un atto isolato. No, è solo l’ultimo episodi di una strategia chiara e determinata dell’ordine giudiziario: liquidare ognuna delle riforme del pubblico impiego che il governo Renzi, bene o male (più male che bene) ha comunque tentato di mettere in vigore. Anzi, se ben ricordo, da molto prima. Fu il ministro Tremonti a emanare la legge che prelevava un “contributo di solidarietà” del 5% sulle pensioni d’oro, per la parte eccedente ai 90 mila euro annui: silurata dalla Corte Costituzionale: scherziamo? Quelle sono le “nostre” pensioni! (e infatti quanti privati prendono tanto?) Nessuna solidarietà! Sono seguiti, con precisione militare, siluri che hanno affondato l’automatica rivalutazione delle ‘loro’ pensioni; cancellazione di fatto e di diritto del tetto di 240 mila euro l’anno agli stipendi (ovviamente sono i “loro”, quelli della casta parassitaria: la casta dei funzionari parlamentari ha organizzato addirittura una rivolta per non farsi intaccare i milioni pubblici, un caso esemplare di sovversione dei pivilegiati). La suprema corte ha dichiarato incostituzionale il blocco degli aumenti automatici ai pubblici dipendenti (cioè sempre a loro), che era in vigore dal 2010 – c’è la recessione, per gli altri – però ad effetto “non retroattivo”: un’altra perla del diritto, sennò il governo avrebbe dovuto sborsare 35 miliardi di arretrati – ma utile ad affermare il principio: i soldi nostri, di noi parassiti strapagati (la Corte Costituzionale costa tre volte di più della suprema corte britannica) non si toccano. Mai. Per nessun motivo. Tagliate gli stipendi dei servi, piuttosto: quelli sì, anzi noi magistrati aiutiamo voi politici nella spoliazione.
Sentenza dopo sentenza, Cassazione, Corte dei Conti, corte suprema hanno creato attorno a sé e ai parassiti pubblici di ogni ordine e grado una muraglia cinese difensiva che impedisce – fra l’altro ogni tentativo di rendere efficiente e meno oppressiva la pubblica mal-amministrazione: vera palla al piede a cui si deve la “bassa produttività” italiana. E’ solo il caso di ricordare che quest’ultima sentenza della Cassazione ha dato ragione a un funzionario ministeriale che faceva il doppio lavoro – uno in nero – facendo credere di essere contemporaneamente a Roma e a Bussolengo (Verona). E con quale motivazione? A quel che è dato di capire dal legalese, la Cassazione ha decretato che è “la diversa natura del datore di lavoro” a fare la differenza rispetto ai privati. Insomma, se il datore di lavoro è lo Stato (ossia noi cittadini-contribuenti, che paghiamo loro stipendi) lo si può truffare, e si viene reintegrati. Notare en passant che il doppio lavoro è quasi sempre la causa per cui i pubblici parassiti resistono ai trasferimenti ( a meno che non siano al Sud, ‘vicino a casa’) da un luogo all’altro.
Facciamola corta. Si è arrivati ai magistrati, questi privilegiatissimi, che fanno propaganda, arroganti e impuniti, per il No al referendum sulla riforma del Senato e del sistema elettorale, dicendo che è “autoritaria” perché “uno vince tutto”: in consonanza una volta tanto con il loro odiato Berlusconi, ma eversivo in radice: i procuratori e giudici devono applicare le leggi, la discussione politica sui progetti legislativi spetta appunto a politici eletti ed ai cittadini, non a loro. Siamo alla intrusione pesante dell’ordine giudiziario sul legislativo e l’esecutivo: la ‘rivoluzione dei padroni’, la rivolta dei boiardi.
Come ho già detto, la “riforma” renziana del Senato può essere tutto tranne che perfetta; ma se viene bocciata quella, possiamo sognarci tutte le altre riforme della pubblica amministrazione per il prossimo secolo; ed è proprio e solo per questo che la casta giudiziaria è interamente mobilitata, affiancata da politici e giornali inqualificabili, a seppellirla: mettono al sicuo il loro stipendio, la loro inadempienza, i loro poteri indebiti che si sono conquistati con Mani Pulite.
Piercamillo Davigo, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, è esplicito. Basta leggere le sue interviste: vuole che la sua casta, magistratuale e non eletti, prenda il posto del potere esecutivo, controllando il governo e la politica. I politici “rubano”, mentre noi (magistrati) siamo “Onesti”…
E cosa farebbe, al governo, la magistratura? Se potesse emanare le leggi che vuole il suo cuore generoso? Anche qui, riporto un’intervista di Davigo a Famiglia Cristiana: il giornalista osa notare che la giustizia italiana è inefficiente, che le sentenze arrivano dopo anni, e i cittadini non hanno molta fiducia nei giudici…. Davigo dice: non è colpa dei magistrati, ma delle leggi dei politici. Letteralmente: “La fiducia dei cittadini nei confronti della magistratura continua a calare perche’ “scontiamo il prezzo dell’inefficienza della giustizia, ma finche’ le regole incentivano chi ha torto a resistere in giudizio non se ne esce”.
Leggete bene questa frase: le “regole che incentivano chi ha torto a resistere in giudizio” sono, né più né meno, il diritto di chi è accusato alla propria difesa, presunto “innocente fino a prova contraria”. Davigo renderebbe immediatamente “efficiente” la giustizia, abolendo il diritto dell’imputato a difendersi. Tanto Davigo sa già in anticipo che quello “ha torto”: che bisogno c’è di tante lungaggini? Via la presunzione d’innocenza, questo residuo arcaico! Quando c’è una magistratura così completamente costituita da Onesti, essi sanno – hanno il fiuto – che l’accusato è colpevole. Ciò che dovrebbe risultare alla fine del giudizio, compulsate e discusse le prove a favore avanzate dagli avvocati difensori, si può fare rapidamente dall’inizio: “Imputato Tal dei Tali? Colpevole! 25 anni di GuLag” . Era infatti la giustizia sovietica: bastava accertare l’identità dell’imputato e la sua appartenenza alla classe borghese, ed era fatta.
E i magistrati potranno rivedere i loro 45 giorni di ferie. Perché, come mi ha confidato un amico che è sposato ad una giudice, la casta ha cominciato a odiare Matteo Renzi e maturare la decisione di abbatterne il governo, dopo che gli ha ridotto le vacanze a 30 giorni. Ecco le grandi visioni del corpo privilegiato degli Onesti per antonomasia: rivogliono i loro 15 giorni di vacanze! Morte a tutte le riforme, perché intaccano anche i nostri privilegi!
Ma torniamo a Davigo, inesauribile fonte di neo-diritto. Nell’intervista di cui sopra, ha insistito sul concetto che bisogna fare leggi che facilitano gli accusatori (incapaci di radunare prove d’accusa che reggano il contradditorio) contro i difensori: “Finche’ in questo Paese avremo regole che favoriscono chi viola la legge contro chi subisce l’effetto della violazione, le persone tenderanno a non rispettare la legge”.
E oggi, infatti, Davigo scopre che anche al Consiglio Superiore della Magistratura non brilla del tutto l’ Onestà. Al palazzo di giustizia di Milano, in veste di presidente della AMNM, scandito mercoledì scorso: “le nomine” al CSM “non convergono sul candidato migliore, ma temo che la prassi sia uno a me, uno a te, uno a lui”.
Insomma DAvigo è dovuto arrivare a capo della ANM per scoprire che l’organo di auto-governo della magistratura è lottizzato; ci sono le correnti; e non sono i più Onesti ad essere scelti.
Ma attenzione, non è finita qui. Fulmineamente, il CSM detta alle agenzie una nota dove definisce “gravi, scomposte e sorprendenti” le parole di Davigo sul CSM: come osa giudicarci? Proprio lui? Che abbiamo appena messo a capo della ANM? Perché, non sai che sei stato messo lì in forza della tua corrente, nel collaudato sistema delle lottizzazioni delle poltrone e del potere della Casta? E’ “sorprendente” e scomposto.
Poi un altro comunicato CSM, dove devono essersi accorti che il primo era veramente scomposto: “Se vere, sono parole gravi”. Se vere: l’offerta al Piercamillo di una via d’uscita.
Davigo capisce immediatamente l’antifona, e comunica alle agenzie: “Non vere le dichiarazioni attribuitemi”. Anche se le ha pronunciate davanti a un centinaia di magistrati in un discorso pubblico, al palazzo di giustizia: nemmeno Berlsuconi giungeva a tanto, quanto a smentite.
Dopodiché, si capisce, Davigo e CSM sono tornati amici come prima. E dediti al loro compito unico e primo: difendere la Casta, tutte le caste da qualunque riforma, e proteggere sé stessi da ogni valutazione, giudizio di produttività, vacanze accorciate….