Giuseppe Moscati è una figura ancora troppo poco nota nella comunione dei santi. La Chiesa il 25 ottobre 1987 ha riconosciuto la santità di questo medico napoletano, nato nel 1880 e morto nel 1927, stroncato dalla fatica per il troppo lavoro nel suo ambulatorio, per avere esercitato in modo eroico le virtù cristiane. Nel corso della sua vita Moscati, memore delle parole del Signore: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25, 36), ha riconosciuto Cristo in ogni malato: nella sua debolezza, nella sua miseria, nella sua fragilità e insicurezza, ha visto insieme una persona bisognosa di cura nel corpo e un essere in cui alberga uno spirito pur esso bisognevole di aiuto e di conforto.
A raccontarci la vita e le opere di Giuseppe Moscati c’è ora un libro dello scrittore Paolo Gulisano, medico anche lui, che apre la nuova collana delle Edizioni Ares intitolata “Un santo per amico”. Questo agile volume (Giuseppe Moscati. Il santo medico, pp. 176, euro 15) ripercorre la storia di questa grande figura di medico, di ricercatore, di scienziato cristiano, di docente e maestro, che fu benefattore e primario dell’Ospedale degli Incurabili…
Moscati amava ricordare ai suoi allievi che non solo del corpo si dovevano occupare, ma delle anime; e che avrebbero dovuto farlo con calore umano anziché «con le fredde prescrizioni da inviare al farmacista». Ed è proprio per il suo calore umano con cui si accostava premurosamente ai malati, specie i più poveri e abbandonati, avvicinandoli in ospedale e nelle loro case, che così tante persone presero a cercarlo, a volergli bene, a farne un punto di riferimento, una guida non solo quando cadevano malate. Il suo tratto era ricco di quella bontà rispettosa e delicata che Gesù diffondeva intorno a sé quando andava per le strade della Palestina facendo del bene e sanando tutti. Moscati fu quindi anticipatore e protagonista di quella umanizzazione della medicina, avvertita oggi come condizione necessaria per una rinnovata attenzione e assistenza a chi soffre.
«Beati noi medici», disse, «tanto spesso incapaci ad allontanare una malattia, beati noi se ci ricordiamo che oltre i corpi abbiamo di fronte delle anime immortali, per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi». Infatti, sono ancora parole sue, «il medico si trova tanto spesso al cospetto di anime che stanno lì lì per capitolare, stanno lì ansiose di trovare un conforto, assillate dal dolore. Beato quel medico che sa comprendere il mistero di questi cuori e infiammarli di nuovo».
Nel costante rapporto con Dio, il Santo napoletano trovava la luce per meglio comprendere e diagnosticare le malattie e il calore per poter essere vicino a coloro che, soffrendo, attendevano dal medico chi li servisse con partecipazione sincera. Da questo profondo e costante riferimento a Dio, egli aveva tratto la forza che lo aveva sostenuto e che gli aveva permesso di vivere con onestà e rettitudine nel proprio delicato e complesso ambiente, senza addivenire ad alcuna forma di compromesso.
Uomo integro e cristiano coerente, non esitava a denunziare gli abusi, adoperandosi per demolire prassi e sistemi che andavano a danno della vera professionalità e della scienza, a danno degli infermi come pure degli studenti ai quali sentiva di dover trasmettere il meglio delle proprie cognizioni. Gli studenti sono i medici del domani. Conscio di ciò, il prof. Moscati pensava alla qualità dei futuri professionisti, prendendo anche pubblicamente posizione affinché non venisse in alcun modo mortificata la loro preparazione e formazione.
«Ama la verità», aveva scritto, «mostrati qual sei senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, tu accettala; e se il tormento, tu sopportalo; e se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, tu sii forte nel sacrificio». E sempre accompagnava simili esortazioni e i suoi insegnamenti con l’esempio. Nella mitezza e nell’umiltà.
Moscati aveva amato la verità appassionatamente. Lo aveva fatto con spirito di sacrificio e con dedizione instancabile, resistendo anche ad attacchi personali, alle invidie, all’ostilità ideologica. Non si arrendeva mai alla stanchezza, né al pessimismo. Era un realista cristiano, consapevole del male che c’è nel mondo, della forza del Maligno, che è comunque sempre inferiore a quella di Cristo Salvatore. Veramente, ogni aspetto della vita di questo laico, di questo medico, ci appare animato da quella nota che è la più tipica del cristianesimo: l’amore, che Cristo ha indicato come il suo comandamento nuovo. Di questa sua personale esperienza del valore centrale del cristianesimo egli ha lasciato numerose tracce negli scritti. Sono parole che a noi, oggi, suonano quasi come un testamento: «Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo».
Gulisano sottolinea che dall’antichità a oggi il filo rosso dell’arte del guarire, un’arte i cui fondamenti sono nella figura stessa di Gesù Cristo, sta in un impegno al quale coloro che intraprendono questa via professionale non possono venir meno: vivere fino in fondo l’amore al prossimo. Giuseppe Moscati è stato una vera icona di questa modalità di servizio. Ha fatto suo ed è stato portatore di un amore incarnato nella convinzione che in ogni paziente c’è una persona che custodisce nel cuore una domanda che riguarda il proprio bene, la propria salute intesa anche come la propria salvezza eterna.
Un santo in camice bianco come Giuseppe Moscati ci offre infine un altro grande dono; la speranza: per ravvivare le risorse del cuore e dell’intelligenza, in modo da poter affrontare le grandi sfide che stanno davanti a noi e, soprattutto, dentro di noi.
Riccardo Caniato