Impressionante la quantità e qualità tecnologica dei prodotti che l’America importa dalla Cina (per 507 miliardi di dollari l’anno) e che ora colpisce con dazi. Mica riso e soya. Ai primi posti ci sono smartphone, computer, schermi, lettori ottici e magnetici, memorie elettroniche, circuiti integrati, microscopi e telescopi. Seguono stampanti, elettrodomestici di ogni tipo e complessità, dall’aspirapolvere al ventilatore. E ancora: macchinari meccanici, pistoni per diesel, scatole del cambio e trasmissione, valvole a controllo termostatico, turbogetti, altre turbine a gas, refrigeratori da negozio, presse, macchina per forgiare e laminare metalli….e ovviamente vestiti, scarpe, auto, pneumatici, qualunque oggetto in plastica, yacht a vela, giù fino ai pesci d’acquario e le cosce di rana: tutto per 193 fittissime pagine in formato pdf.
(Potete farvene un’idea agghiacciante cliccando sul geniale sito animato qui:
https://qz.com/1232833/explore-all-506-billion-in-goods-that-the-us-imported-from-china-in-2017/)
Un elenco che mostra la misura mostruosa della de-industrializzazione americana ed occidentale, e l’immane regalo che i globalisti e finanzieri fecero alla Cina, spalancandole il commercio mondiale esentasse senza esigere che aprisse agli scambi anche la sua moneta – sicché ha esportato con moneta svalutata, facendo un dumping colossale non solo coi suoi salari bassi ma con lo yuan a corso forzoso di Stato, mentre sfornava ogni anno 2 milioni di ingegneri capaci di impadronirsi delle alte tecnologie nate in Usa ed Europa.
Le misure che adesso prende Trump (ammesso che non torni indietro) doveva prenderle un presidente americano 30 anni fa, Bill Clinton. Perché i dazi contro le merci cinesi hanno senso, se al suo riparo l’America è capace di sviluppare le industrie nazionali di sostituzione. Ci riesce? A giudicare dalle vociferanti lamentele degli industriali e persino dei lavoratori, che lavorano su materie prime o semilavorati esteri, pare di no.
Di fatto, quindi, i dazi trumpiani possono ridursi ad una tassa sul consumatore, che continuerà a dover importare smartphone cinesi col 25% di sovrapprezzo.
A vedere quella lista di importazioni, ci si chiede che cosa produca, oggi, il lavoratore americano industriale. Ma già, la memoria corre a Wall Street, le colossali GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) che rendono centinaia di miliardi ai loro padroni giovani e geniali, il dominio incontrastato dell’industria dello spettacolo (Disney, Netflix): l’America vive del suo patrimonio “culturale” e immateriale, che scambia con il lavoro operaio del mondo, essenzialmente dell’Asia che ha sviluppato con la propria de-industrializzazione. Il “terziario avanzato”, che può infischiarsene dei milioni di senzatetto che muoiono di oppiacei, perché la finanza non ha più bisogno di loro. Una economia da rentiers, sotto le forme apparentemente avanzate.
Ma nel suo modo brutale e caotico, Donald Trump sta andando molto al di là di una guerra commerciale. “Sta distruggendo il sistema monetario e finanziario vigente dal 1971”, spiega l’economista Bruno Bertez, “distrugge il sistema di Bretton Woods II”, ossia di quando Nixon sganciò il dollaro dall’oro ponendo fine all’ultima finzione.
Questo sistema consisteva (Bertez usa già il passato) a lasciar gonfiare i deficit commerciali americani allo scopo di alimentare la domanda mondiale, purché il resto del mondo non esigesse il rimborso dei dollari inviati ai produttori esteri, che Washington stampa a volontà. Gli esportatori hanno venduto merci reali e gli Usa pagano in carte e cambiali, promesse di pagamento (i buoni del Tesoro). Il sistema è espansionista perché si tratta di un immenso “credito del venditore” al compratore. Il potere d’acquisti dei consumatori americani non ha limite alcuno. Ad ogni aumento del deficit, era una linea di credito che si apriva.
Gli stato esteri esportatori in compenso accumulavano attivi, speculari al deficit Usa, e usavano i dollari eccedenti per acquistare titoli Usa, buoni del Tesoro, azioni, obbligazioni, titoli d credito, immobili. Insomma la Cina, acquistando Treasuries, finanziava i consumatori americani perché comprassero le sue merci.
Bertez usa un’altra metafora: il giocatore di biglie americano perdeva continuamente le sue biglie, ma gli altri giocatori gliele rendevano perché continuasse a giocare. E più biglie perdeva, più la massa dei dollari circolanti fuori dagli Stati Uniti aumentava, dando a tutti una straordinaria sensazione di benessere: la rarità era vinta”.
Tutti erano contenti: gli americani super-consumatori, gli esportatori esteri che super vendevano le loro mercanzie, i governi che accumulavano riserve, Washington che finanziava i suoi deficit senza dolore e le sue spese senza limiti: “finanziava burro e cannoni”, letteralmente, le titaniche forze armate più costose della storia, senza dover imporre sacrifici ai consumatori. Ma anche il resto del mondo era felice: investiva, riduceva la disoccupazione, accumulava riserve di cambio, si poteva permettere anche spese militari con cui un giorno avrebbe contrastato l’egemonia Usa.
Questo ordine mondiale basato sull’inflazione dei segni monetari Usa è naturalmente favorevole alle Borse, alla finanza e alla speculazione. I capitalisti finanziari, crescendo in potenza, preso il potere reale, ne hanno impedito ogni moderazione: le loro finanziarie ci guadagnavano più di quello che avrebbero guadagnato in un ordine normale, imposero l’ideologia della “efficienza” del capitale privato perché i loro profitti – anche delle imprese reali – aumentavano grazie alla messa in concorrenza del lavoro e dei salari sul piano mondiale.
E quando i lavoratori dell’Occidente hanno visto ridurre i salari o hanno perso il lavoro a beneficio di cinesi e coreani o messicani e polacchi, ecco che il sistema li ha mantenuti grandi consumatori prestando loro il denaro che non guadagnavano più. Tutto il sistema è malsano, ma troppi interessi convergenti sono ormai investiti nel suo proseguimento, per provare a riformarlo.
Fine della macchina dei dollari fuori USA
E’ questo l’ordine del mondo che sta distruggendo Trump.
A dire il vero, aveva già trovato il suo limite nel 2008, nella crisi dei subprime – appunto montagne di prestiti e mutui fatti a gente senza salario o quasi perché si comprassero a rate case o auto, che non si potevano permettere, per giunta rifilando il rischio di insolvenza a terzi, essenzialmente fondi pensione, con la vendita a loro di quei debiti che promettevano un flusso sicuro di interessi – sicuro beninteso se la ragazza-madre negra che aveva contratto il mutuo avesse pagato regolarmente. Ciò che non avvenne.
E siccome su quegli interessi “sicuri” erano stati impegnati prodotti finanziari creativi, quei prodotti derivati “divennero incomprensibili a quelli stesi che li avevano inventati”, la banche non sapevano più valutare le proprie perdite, i derivati che avrebbero dovuto “assicurare” gli speculatori contro il default si dimostrarono illusori, perché gli assicuratori stessi erano – ovviamente – falliti.
Salvò tutto la Federal Reserve, inondando di capitali fittizi quel mondo, e così fecero le altre banche centrali. Di fatto, a spese dei contribuenti. Un trionfo che Stiglitz elucidò così: “Il capitalismo attuale consiste nel privatizzare i profitti e statalizzare le perdite”. Ma non è stato sempre così, in fondo?
Si è dunque andati avanti ancora. Ma proprio allora Bruno Bertez aveva scritto: “Benché si finga di prolungare il tutto, la crisi del 2008 ha aperto la porta a un’altra epoca. Questa epoca sarà segnata dal ritorno alla violenza, alle guerre, alle menzogne, al “alla malora i deboli”. Quando il bottino diventa magro, i banditi si sparano tra loro”. Ciò vale anche per l’Europa cosiddetta “Unita”, dove la Germania aumenta il suo surplus a spese del deficit dei paesi del Sud, e li rimprovera pure di vivere sopra i propri mezzi, li schiavizza e li distrugge come la Grecia, li obbliga al servaggio come l’Italia sotto Monti e Padoan. La ricorrente guerra intra-europea è un fatto ed è in atto, anche se tutti fanno finta di essere “europeisti”.
Cosa succederà adesso, come si configurerà la distruzione di Bretton Wood II, lo spiega Bertez: “Nel vecchio sistema, il riciclaggio dei capitali mondiali creati dagli eccedenti degli uni e dai deficit degli altri, si è tradotto in una massa immensa di denaro in cerca di impiego. Ciò ha fatto abbassare i tassi d’interesse e incitato le banche a creare veicoli sempre più sofisticati e pericolosi, la cui complessità serve appunto a mascherare il rischio”: il rischio che qualcuno, debole, in fondo alla piramide, non riesca più a servire il suo debito, facendo crollare tutto.
E’ quel che abbiamo visto avvenire alla Grecia e quel che le hanno fatto i banditi.
Perché non deve emergere la verità: tutto il vecchio sistema ha fatto calare i “premi di rischio” e i “premi di durata” sui debiti, una finzione che dura finché dura l’inondazione di dollari creati dal nulla per colmare i deficit Usa.
“Bernanke chiamava questa massa di dollari extra-Usa un eccedente di risparmio mondiale (sic). Se il sistema sta terminando, allora questo eccedente di risparmio diminuisce o sparisce, i tassi d’interesse mondali saliranno e possono anche galoppare, perché i fattori dir ischio si cumuleranno, rendendo il mondo più fragile”.
Non sarà certo Pechino a fare le ritorsioni, vendendo magari i buoni del Tesoro Usa in massa: si sparerebbe sul piede, e la Fed si sostituirebbe ai cinesi per sottoscrivere i buoni del Tesoro a volontà. Il punto pè che il mondo si avvia organicamente verso la sparizione dell’eccedente mondiale in dollari. La massa di dollari che circolano fuori dagli Usa ha già cominciato a contrarsi da anni. Il rifinanziamento in dollari delle grandi banche mondiali fuori dagli Usa diventa più serrato e costoso. I dollar short, i paesi debitori in dollari – come quelli emergenti, tipo Turchia o Brasile — soffrono già, e soffriranno anche di più. Tutti coloro che si sono indebitati in dollari, si per fare ingegneria finanziaria, sia invece per investire produttivamente, no troveranno dollari per pagare gli interessi e rimborsare il capitale; i pochi dollari, se li strapperanno l’un l’altro in concorrenza pagando alti prezzi. I rifinanziamenti dei debiti i prolungamenti (roll-over) diverranno più difficili.
Ciò che Trump sta distruggendo, probabilmente senza capirlo, è la macchina per produrre dollari fuori dagli Usa; l’effetto sul mondo è potentemente deflazionista. Per l’Europa dove il dominio tedesco ha già imposto la deflazione interna in base alla sua ideologia, l’effetto sarà raddoppiato. Volete che lo capiscano i Weidmann? Le Merkel? I Draghi?
No, se non li si caccia dal potere a fucilate. Instaurando il sistema che loro sono nati e cresciuti per cancellare: il ritorno alle banche centrali che comprano i debiti pubblici direttamente dagli Stati, in modo che gli Stati sviluppino infrastrutture e assorbano i disoccupati e le risorse inutilizzate a causa della deflazione. Negli anni 20 e ’30, per farlo, ci vollero non Leghe e 5 Stelle, non gentilie educati economisti come Borghi e Bagnai, gran gentiluomini come Savona. Ci vollero partiti armati, capaci di far paura agli usurai e cacciarli a manganellate fuori dalle banche dove pubblicizzavano le perdite tenendosi i profitti. Non lo asupico. Mi limito a notarlo.