Gli impianti cerebrali che cambieranno l’umanità

di Roberto PECCHIOLI

 

I cervelli stanno parlando ai computer e i computer al cervello. I nostri pensieri sono ancora al sicuro? La domanda è ancora più urgente dopo che alla mezzanotte del 28 agosto scorso, dopo trenta minuti di attesa, è stata attivata la luce nel canale di Neuralink, la società di tecnologia neurale creata da Elon Musk, l’imprenditore americano guru delle nuove tecnologie, gran maestro dell’automobile elettrica senza guidatore, fondatore della multinazionale che porta il nome del grande, visionario inventore e scienziato serbo Nikola Tesla. E’ stato prodotto il primo neurone artificiale, progettato per riparare connessioni danneggiate. Il 2020 non è solo l’anno del virus e dell’attesa spasmodica del vaccino, dell’accettazione, anzi della potente richiesta popolare di vedersi inoculare nel corpo sostanze sconosciute, ma è anche l’anno in cui le tecnoscienze affermano di poter penetrare nel cervello.

Sorge la necessità di conoscere ciò che sta accadendo nei laboratori riservati, comprendere quali ricadute avrà sulle nostre vite, e tentare di esprimere un giudizio. Ciò che ha mostrato Elon Musk nello spettacolo montato ad uso dei mercati, per ridare fiato alla declinante fortuna del suo gruppo, è il progresso conseguito nello sviluppo di un impianto cerebrale in grado di leggere l’attività neuronale di ben 1.024 elettrodi inseriti nel cervello di maiali, mostrati mentre vagavano a loro agio. Nell’esperimento sono stati esibiti tre animali: uno privo di impianto, il secondo con il dispositivo nascosto sotto la pelle del cranio che emetteva segnali in diretta sullo schermo. Al terzo era stato espiantato l’apparato in precedenza. L’obiettivo era dimostrare la sicurezza dell’invenzione, e sarebbe stato un successo strepitoso se uno dei maiali, dispettoso, non avesse resistito a uscire dal luogo dell’esperimento.

Ciò che gli scienziati hanno potuto osservare sugli schermi nella presentazione è stata l’attività di diversi neuroni. L’ attivazione di ogni neurone appariva come un piccolo punto bianco; ogni linea un neurone; a centinaia disposti in una matrice di dati che fluivano continuamente in tempo reale. In basso, in azzurro, il conteggio accumulato dell’attività. Mentre il maialino annusava l’ambiente circostante, si succedevano ondate di colpi coordinati. Più tardi, al diciottesimo minuto del video, si è sperimentato come –attraverso la lettura delle attività neuronali – fosse possibile prevedere i passi successivi di uno dei maiali dotati di impianto, mentre camminava su un tappeto mobile.

Qual è la novità? Secondo gli esperti di neuroscienze, niente e tutto. Nuova è la scelta tecnologica di “impacchettare” 1.024 neuroni in alcuni finissimi peli che, inseriti nel cervello, sono in grado di isolare l’attività di centinaia di neuroni. Nuova è anche la tecnologia senza fili (wireless) che consente di trasmettere segnali in tempo reale, in aggiunta alla misurazione della temperatura corporea, alla pressione intracranica e altri dati di fisiologia del cervello, eccetera. “Eccetera” rappresenta tutto ciò che è sconosciuto ed è rimasto nell’esclusiva disponibilità di Tesla. Non conosciamo la durata della batteria, che si può ricaricare per induzione, come i moderni orologi digitali. Altrettanto nuovo è che si possa occultare l’apparato sotto il cuoio capelluto, proteggendo, affermano senza pudore, la privatezza di colui a cui è stato impiantato. Curiosa privacy per qualcosa che ha la funzione opposta, ovvero monitorare, sorvegliare e, a lungo termine, indurre, orientare, manipolare da remoto l’attività cerebrale.

Impressiona il gioco di magia organizzato da Musk, dietro il quale ci sono anni di ricerca di molti eccellenti scienziati, ma anche una fascinazione organizzata, al servizio delle declinanti sorti finanziarie di Tesla, affidate all’ignara maialina Gertrude. Non è nuovo che si possa leggere l’attività dei neuroni, né decodificare i loro messaggi, specie se i gesti sono relativamente semplici o ovvii, come muovere le estremità del corpo. Non è nuovo neppure che si possano impiantare sistemi wireless, per quanto con molti meno canali, più ingombranti e apparentemente con minore efficienza. Non è una novità assoluta che si possano stimolare gruppi di neuroni in maniera localizzata, come il video mostra, utilizzando l’immagine microscopica di un doppio fotone (particella priva di massa, con carica elettrica nulla, costituente elementare della radiazione elettromagnetica, detta anche quanto di energia) per osservare l’attivazione di sensori di calcio espressi geneticamente nei neuroni.

Tutte queste cose – straordinarie, magiche per noi, uomini della strada- sono la quotidianità di alcuni laboratori di ricerca impegnati a decifrare i segreti del cervello, il nostro organo più complesso. Le neuroscienze lavorano da anni nella lettura e decodifica dell’attività neuronale. L’obiettivo è comprendere come funziona il cervello, ma i veri scopi sono più concreti e prosaici. Si potranno trattare alcune infermità e disabilità, ma intanto – non incidentalmente – chi avrà il controllo di queste tecnologie avrà assunto il dominio- se non la proprietà- delle nostre vite. Potrà prevedere i nostri gesti e reazioni, soprattutto sarà in grado di indirizzarle verso ciò che interessa l’oligarchia, attivare e disattivare aree cerebrali, con conseguenze ancora sconosciute, ma certo inquietanti.

Alla massa viene presentato il consueto specchietto per le allodole, la speranza di lottare contro malattie, disabilità gravi, conseguenza di incidenti e simili. Il consenso è assicuratoLa promessa di Elon Musk è di implementare questi dispositivi a breve, una volta ricevuta l’approvazione dell’agenzia americana per la salute e i servizi umani, per lanciarsi nella competizione durissima tra giganti tecnologici. Molte imprese e laboratori di ricerca collaborano da tempo con neurochirurghi e neurologi per cercare di applicare le nuove conoscenze “in maniera sicura e controllata”, almeno così affermano. Sono già sperimentati dispositivi simili a quelli presentati da Elon Musk per aiutare persone con lesioni cerebrali a muovere braccia robotiche, impianti di elettrodi profondi per il trattamento del morbo di Parkinson e la previsione di crisi epilettiche.

Del tutto nuova è la tecnologia senza fili che permette di trasmettere segnali in tempo reale. Quella esposta, naturalmente, è la versione “buona” delle nuove tecnologie, ad uso delle masse zoologiche. Poco si parla dei rischi, delle derive, della probabilità di vivere in una società di schiavi tecnologici, i cui movimenti, le cui azioni, le cui idee, pulsioni e visioni della vita saranno domani non solo previste, ma indotte da remoto, dai padroni di tecnologie di impressionante potenza. Diventa profetico il brano dell’Enrico V in cui Shakespeare fa dire ad un suo personaggio: “il re prende nota di tutte le loro intenzioni con mezzi che neppure possono immaginare”. Al suo tempo, i mezzi erano essenzialmente lo spionaggio e la delazione. Il nostro tempo non solo vuole e può conoscere le intenzioni, ma a breve sarà in grado di determinarle con mezzi tecnici.

Neuralink, un’azienda privata il cui scopo è il profitto. Con la collaborazione dei pazienti, è in grado di registrare l’attività neuronale umana e tentare di decodificarla. Uno scienziato commenta che “non vi è nulla di temibile se siamo in buone mani, ovvero entro ricerche finanziate con fondi privati e pubblici sottoposti ai più stretti controlli. “Panzane, ottimismo infantile o cosciente inganno. Si tratterebbe, per i tecno entusiasti (a fattura?) di “capire come proseguano le ricerche, in che maniera controlliamo le nostre braccia e le nostre gambe, come generalizziamo la conoscenza e rappresentiamo il mondo.”  No, attraverso lo specchio rotto, Alice è caduta nella tana del Bianconiglio e inizia un pericoloso viaggio nel paese delle meraviglie.

Il lettore perdonerà la citazione dal nostro Tecnopolis (Effepi, 2019).La tecnologia cui è stata data mano libera, attraverso finanziamenti immensi che hanno facilitato continue scoperte ed avanzamenti di conoscenza è ormai incontrollabile, tanto che un fisico ungherese premio Nobel, Dennis Gabor, teorizzò apertamente un principio che da lui prende il nome: tutto ciò che è tecnicamente fattibile, deve essere realizzato, sia che tale realizzazione sia giudicata buona o condannabile. Questo è lo stato dell’arte, alimentato dal libertarismo/liberismo estremo, economico e civile, che guida l’azione dei padroni del mondo.  Il paradigma citato chiude il cerchio, inverando quel villaggio globale immaginato da Marshall Mc Luhan, in cui, teoricamente, tutti controllano tutti, ma gli schiavi del controllo a base di dati siamo tutti noi, giacché l’intero apparato – il più esteso nella storia millenaria dell’homo sapiens sapiens– è gestito per propri interessi ed utilità da un grumo di entità private e pubbliche ad un livello superiore ed invisibile.”    

Per fortuna, al di là dello spettacolino ad uso degli investitori e degli appassionati di tecnomagia montato da Musk, le promesse non sono facili da realizzare. Non sono ancora dietro l’angolo, ma rappresentano la sfida neurotecnologica del momento L’idea è che esiste un mondo di funzioni che i dispositivi in via di sperimentazione possono esercitare: avvertirci di un possibile attacco di cuore, di un ictus cerebrale e di altre minacce simili. Possono aiutarci a suonare brani musicali o mettere in moto l’automobile elettrica: il racconto futurista è accattivante, in grado di provocare l’acquolina in bocca al post – uomo malato di tecnologia.

Ogni nuova conoscenza è un’arma a doppio taglio. Non si sa nulla – né Tesla ha contribuito a chiarire- dell’eventualità di complicazioni nell’impianto di corpi estranei nel cervello, organo acquoso e corrosivo al massimo grado. Non sappiamo nulla dei meccanismi di difesa fisiologici che ci proteggono e che necessariamente produrranno una cicatrice gliale (cellule che, insieme ai neuroni e ai vasi sanguigni, formano il sistema nervoso) nella materia grigia dei maiali e domani degli uomini, incapsulando elettrodi e promuovendo infezioni di cui non sappiamo nulla. Questo sotto l’aspetto della fisiologia del corpo; e le eventuali modificazioni e patologie mentali, nonché l’immenso campo della perdita delle libertà e della stessa individualità personale, del libero arbitrio? Gli interrogativi sono immensi e occorre porli al massimo livello da subito.

Musk, ovviamente, non ha neppure lontanamente accennato agli aspetti etici, se non antropologici, associati alle neuroscienze. Inoltre, questo è un terreno su cui non si può procedere in marcia solitaria, con i criteri e gli obiettivi di un’impresa, per la natura delle sfide, le domande e le conseguenze che corrono in ogni direzione e si ingrandiscono come rizomi incontrollati, in assenza di regole, limiti, principi morali. Un conto è soccorrere gli invalidi o curare certe forme di depressione, un altro è editare e mettere sul mercato la memoria, manipolare la coscienza fino a impadronirsi della mente e rendere gli individui altrettanti tecnoschiavi. C’è bisogno di uno sforzo comune che parta dalla conoscenza e dalla consapevolezza. La scienza è un sostegno straordinario, ma non può essere la soluzione incontrollata e addirittura privatizzata alle pandemie che paralizzano, alle domande di senso che accompagnano la creatura uomo, ai limiti che costituiscono l’essenza della nostra condizione.

Il dottor Jack Gallant, neuroscienziato computazionale, ha lavorato per anni a migliorare la nostra comprensione di come il cervello codifica le informazioni: quali regioni diventano attive, ad esempio, quando una persona vede un aereo o un mela o un cane, e in che maniera queste attività possano essere visualizzate e riprodotte. Siamo all’alba di nuova era, in cui i cervelli parlano ai computer e i computer ai cervelli.

Un giorno, Gallant ha pensato di invertire ed ingegnerizzare l’algoritmo che aveva sviluppato in modo che si potesse ricostruire quello che un gruppo di volontari stava vedendo e successivamente “leggerlo”. La tecnologia è già in grado di tradurre l’attività cerebrale in immagini comprensibili da altre persone. In altre parole, siamo molto vicini alla macchina che “legge “il cervello. Lo stesso Gallant ne ha avuto paura, rendendosi conto di collaborare a un’era in cui i pensieri possono essere strappati dalle nostre teste. A quel punto, si potranno “rubare” anche i ricordi e le conoscenze e farne oggetto di compravendita.

Il riconoscimento vocale, come quello utilizzato da Siri di Apple o da Alexa di Amazon, è un passo verso un’ulteriore integrazione tra uomo e macchina. Il prossimo, che gli scienziati di tutto il mondo stanno perseguendo, è realizzare una tecnologia che permetta di attivare mediante il pensiero e interagire con i computer e gli apparati elettronici, ovvero con tutto ciò che ad essi è collegato, come automobili, robot, braccia e droni.

La tecnologia che può facilmente scrutare attraverso il cranio, come la macchina di risonanza magnetica, è troppo ingombrante da montare nella nostra testa. Una tecnologia meno invasiva, come l’elettroencefalogramma che misura l’attività elettrica del cervello attraverso elettrodi attaccati al cuoio capelluto, non fornisce la stessa chiarezza. Nuovi metodi di ” vedere ” nel cervello potrebbero includere la magnetoencefalografia, o MEG, che misura le onde magnetiche che emanano all’esterno del cranio dai neuroni che si attivano al di sotto di esso; oppure usando la luce infrarossa, che può penetrare nei tessuti viventi, per dedurre l’attività cerebrale dai cambiamenti nel flusso sanguigno. Con quali rischi fisici, psichici, ambientali di medio e lungo termine?

Le soluzioni tecniche stanno cominciando ad emergere. Soprattutto, oltre a Tesla, investono somme notevoli colossi come Facebook (Zuckerberg) e Microsoft Bill, Gates). Nella notte dell’uomo, qualcuno si preoccupa dell’appropriazione privata del nostro cervello? Qualcuno si pone domande in termini morali, storici, antropologici? Qualcuno comprende sino a che punto l’uomo- la persona umana dalla scintilla divina- diventi un prodotto, una merce da compravendere in quanto espropriata di se stessa?