Ibrahim Abou Thuraya, aveva perduto le due gambe nel 2008; mitragliato da un elicottero mentre, sul muro di confine di Gaza, avendo ammainato una bandiera israeliana, stava issando una bandiera palestinese. Aveva 20 anni. Da allora la sua figura sulla sedia a rotelle spinta da amici era una presenza fissa in tutte le manifestazioni alla frontiera fra Gaza e Israele. Anche il 15 dicembre era lì a protestare contro la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale ebraica; insieme a migliaia di palestinesi sul confine di Gaza. Ha alzato le braccia mostrando la bandiera palestinese e facendo il segno di vittoria ai soldati israeliani. Poi, dicono, sarebbe riuscito ad arrampicarsi su un palo per alzarvi la bandiera. Un soldato gli ha sparato alla testa. Ibrahim è uno dei quattro uccisi il 15 dicembre, primo giorno di una intifada che Israele sta stroncando con una nuova e definitiva crudeltà.
Ormai i gloriosi soldati sparano sugli inermi; sparano per ucciderne più che possono; sparano sotto gli occhi delle telecamere, indifferenti sapendo che possono contare sulla complicità dei media occidentali.
Qui, durante la ripresa in diretta della tv giordana Al-HAyatt, gli operatori hanno assistito all’omicidio di un giovane che si avvicinava al posto di blocco di Bet El, nord della cittadina di Al Bireh, Cisgiordania. Il giovane aveva un coltello. Ma molto prima che potesse avvicinarsi, l’hanno falciato a distanza, con 20 colpi. Dicono avesse una cintura esplosiva.
E’ la versione terminale del metodo “spaccare le ossa ai ragazzini”, messo a punto nelle precedenti manifestazioni, ma stavolta con la massima fredda smisurata violenza.