“Gentiloni ritira l’ambasciatore dal Cairo. La mamma di Regeni: non ci fermeremo”. Bombarderemo l’Egitto per mamma Regeni? Niente di impossibile dati i precedenti: dopotutto, la politica estera anti-siriana l’hanno dettata al paese le due Vanesse, obbligandoci a finanziare i terroristi loro amici con 6 milioni (e forse più). Eppure la cosa non cessa di apparire demenziale. Un amico giornalista mi chiedeva l’altro ieri: “Perché secondo te continuano menarla con Regeni, in tv, radio giornali? Non l’hanno mai fatto..”.
Adesso si sta chiarendo. Un articolo di Guido Rampoldi su Il Fatto (un giornalista amerikano per un giornale sempre più amerikano sotto Peter Gomez) sunteggia: Al Sisi , il mostro fascista, il Pinochet cairota, è debole, non forte. Ha deluso la sua stessa borghesia. L’Occidente ha deciso che restituire l’Egitto ai Fratelli Musulmani è meglio. D’accordo, i Fratelli Musulmani non sono democratici né tanto civili, però loro al potere “sbarreranno la strada all’IS”.
Questo sarebbe il “ragionamento”. Dietro a cui c’è questo: Obama ci riprova, a dare l’Egitto ai Fratelli Musulmani. Stermineranno gli ultimi cristiani copti, ma Al Sisi va rovesciato perché è amico di Mosca (in neolingua: “non partecipa alla lotta contro IS”). Ora si chiarisce qualcosa: anche il fatto che “i servizi egiziani” abbiano fatto trovare il cadavere dell’ingenuo agente britannico (a sua insaputa?) , anche se hanno tutti i mezzi per far sparire un corpo per sempre. Magari, con questo sapiente errore, questi “servizi” si sono garantiti un futuro anche sotto il governo amerikano dei Muslim Brothers.
Attenzione, perché anche Renzi è vicino a fare la stessa fine: s’è giocato tutto per tenere buoni rapporti con Al Sisi, ed ha perso. Non piace a Bruxelles né a Berlino. E anche all’Occidente, non piace. Troppo vicino a Mosca. Aspettate rallegravi, voi che fate politica con la pancia (o quel che sta sotto): ci daranno un capo di governo più allineato, il quarto non votato.
Vi sembra inverosimile, lo so. Ma cito il blogger e acuto analista strategico Bruno Ballardini, che a caldo ha buttato lì: “Dopo la Siria, anche l’Egitto è diventato per noi uno stato-canaglia. Ma non siamo noi che abbiamo deciso. Noi prendiamo ordini dagli Usa. Entreremo in guerra perché lo vogliono gli Usa. Al Sisi verrà fatto cadere e l’Egitto verrà preso dalle opposizioni islamiche sostenute dai sauditi e dagli Usa. Regeni è stato l’agnello sacrificale di una criminale strategia americana per destabilizzare il Medio Oriente”.
Per capire, bisogna riferirsi alla riunione del Consiglio Atlantico, che s’è tenuta a Washington da mercoledì a venerdì scorso. Lì probabilmente è stato deciso tutto. I media ovviamente ne hanno taciuto.
Il riarmo NATO in Europa
“E’ il risveglio della minaccia russa” che costringe “l’Europa a riarmarsi”: così Jens Stoltenberg, il segretario della NATO, all’uscita dal Consiglio Atlantico. Per nostra fortuna, rispetto all’anno scorso “quando qui a Washington ha parlato dell’atteggiamento destabilizzante della Russia, della sua preparazione militare e della sua aggressione all’Ucraina” (sic), abbiamo compiuto progressi significativi: la NATO è più agile e la sua volontà di difesa è più forte. La forza di reazione NATO è ora tre volte più grande, abbiamo nuove basi nella parte Est dell’Alleanza (…) Abbiamo iniziato lo sviluppo e la formazione di capacità militare in Georgia, Moldavia e Giordania”.
Il riarmo di Georgia e Moldavia perché è la Russia ad essere aggressiva, e dunque bisogna minacciarla ai suoi confini; ma la Giordania? “Per proteggere il nostro territorio”, ha detto Stoltenberg, “dobbiamo esser pronti ad agire al di là dei nostri confini. Molto al di là. Là, si tratta di “sconfiggere l’IS nelle sue roccaforti in Irak e Siria”, è ovvio. Per questo Stoltenberg ha già preso contatto con il segretario dl Consiglio di Cooperazione del Golfo – una alleanza militare che comprende Arabia Saudita, Bahrein, Kuwait, Katar, Emirati, ossia tutti quelli che sostengono l’IS.
In questi nuovi paesi alleati, la NATO comincerà la sua espansione con “la formazione e il supporto di unità militari locali”. Come in Afghanistan, ha aggiunto lo Stolto, dove “ la NATO è riuscita a fare dell’esercito afghano una unità potente e tecnologicamente ben attrezzata”.
In conferenza stampa, lo Stolto ha dovuto ammettere che “non c’è al momento la minaccia di un attacco russo”, Però non c’è nemmeno “alcun ritorno alla normalità in Europa,”, perché la Russia non cede la Crimea a Kiev… sicchè stiamo riarmando. Potentemente. Il bilancio preventivo NATO per il 2017 prevede spese per 582,7 miliardi di dollari, mentre il Pentagono stanzi 187 miliardi di dollari per le missioni all’estero, ovviamente per ammassare uomini e truppe a ridosso dell’aggressore.
Immediata la grancassa propagandistica s’è messa a rullare. Il 6 aprile, sulla tv francese France 2, è andato in onda un grande e giubilante servizio sul riarmo dei nostri alleati dell’Est: “In Polonia, totale, 40 miliardi di euro! In Estonia si accolgono a braccia aperte le navi della NATO venute in rinforzo nella regione…”. E “hanno ragione ad essere inquieti. Se siete lettone, estone, polacco e sentite Putin dire che ’bisogna restaurare la potenza della Russia nella sua zona storica d’influenza’ si può effettivamente parlare di minaccia russa. E quelle due operazioni militari in Ucraina e in Siria”. Ancora sic: in Ucraina, quale? E quando mai Putin ha pronunciato la frase che gli si attribuisce? Se mai ha pronunciato il contrario: “La Russia non sta cercando di riprendersi l’URSS, ma nessuno vuol credere…io vorrei pensare che nessuno al mondo è tanto pazzo da usare le armi nucleari” (al Telegraph, 21 dicembre 2015).
Poi France 2 ha mostrato come la Polonia sta spendendo i suoi 40 miliardi aggiuntivi di spese militari (tutta roba Made in Usa).
Per fortuna, il sito “Les Crises” dell’economista Olivier Berruyer, ha elaborato alcune tabelle che mostrano la forza relativa dell’aggressore (la Russia) e dell’aggredito (NATO): tabelle che ovviamente France 2 non ha mostrato.
Vi si vede che la NATO spende per abitante, in preparazione bellica, il 50% in più della Russia. “E voi pensate che i russi ardano dalla voglia di un conflitto con una strutture 7 volte più popolosa e dispone di un bilancio militare dieci volte superiore?”.
Ma qui Berruyer dimentica: sono proprio i piccoli stati e più deboli quelli che, periodicamente, attaccano proditoriamente la Superpotenza e la costringono a far la guerra. Caso unico nella storia, ogni 70 anni o giù di lì gli Usa sono aggrediti da staterelli. A cominciare dal Messico nel 1836 (“Ricordati di Alamo”), che costrinse gli Usa ad impossessarai del Texas; continuando nel 1898, quando la Spagna miserrima, morendo dalla voglia di impegnarsi in una guerra dall’altra parte dell’Atlantico contro la potenza americana che aveva la flotta in Florida, a 70 miglia da Cuba, cosa fece? Fece saltare il Maine, la corazzata american che era giusto in visita a Cuba. Così gravemente offeso, il presidente Theodor Roosevelt fu costretto a strappare a Madrid Cuba, ultimo lacerto dell’impero spagnolo, e già che c’era, anche a liberare le Filippine, nel Pacifico, esercitandovi poi una democratica occupazione. E come dimenticare i cattivi tedeschi che nel 1917, non avendo abbastanza nemici, vollero a tutti i costi affondare il Lusitania, forzando la pacifica America ad intervenie nella grande guerra? Poi, si sa, c’è stato il Giappone che ha sfidato l’America a Pearl Harbor; il Vietnam nell’Incidente del Tonkino sfidò la pacifica America un’altra volta, e giù guerra.
E’ proprio perché la Russia è (secondo loro) debole – the hollow superpower, ha valutato l’Economist –
che l’America sarà attaccata da essa, vedrete. Basta una nuova Pearl Harbor in Europa.