Sotto il governo Meloni e con ministro della cultura Sangiuliano assistiamo – nonostante le menate della sinistra alla Scurati sulla inesistente censura politica – al perpetuarsi di film per la tv che se trattano del ventennio fascista manipolano i fatti e inducono all’anacronismo. Come piace ai maestri del pensiero unico politicamente corretto. L’ultimo di tali film è quello su Guglielmo Marconi, trasmesso una decina di giorni fa da Rai uno.
Il grande scienziato, nel film, viene fatto passare per antifascista, in pectore, che si oppone all’intenzione del regime di usare le sue invenzioni a scopo bellico. Insieme a Fermi, Marconi, nel film, cerca di sabotare la politica bellicistica del truce regime. Una scena è molto indicativa per capire la manipolazione della realtà storica a tutto vantaggio di una ricostruzione post eventum e quindi viziata da anacronismo. In essa il segretario di Giuseppe Bottai – segretario che poi si rivela essere un agente dell’Ovra che a mezzo di una giornalista americana cerca di spiare il lavoro dello scienziato – omaggia Marconi, con l’intento di ingraziarselo, con un profluvio di espressioni retoriche tra le quali quella di onorare con il suo talento il genio e la scienza italiana. Il regista dello scadente film in questione mette in bocca a Marconi una risposta che mai lo stesso avrebbe dato nel contesto storico del tempo e delle sue personali scelte politiche. Infatti viene fatto ironicamente rispondere da Marconi all’agente dell’Ovra di non essere troppo modesto, nel suo omaggio, ma di andare oltre perché la scienza non è italiana ma mondiale, sottendendo che i suoi meriti scientifici dovevano essere ascritti all’umanità e non ad una specifica nazione. Il punto è che, invece, Marconi, quello vero e non quello della fiction, era assolutamente convinto di aver portato lustro alla sua Patria nel contesto del progresso scientifico, e non ad una indistinta umanità.
Le manipolazioni non si fermano qui. Il povero Giuseppe Bottai, il quale a detta degli storici è stato il miglior ministro della cultura che l’Italia abbia finora avuto, – egli stesso uomo di cultura – viene presentato da un lato come prone all’attività di spionaggio di regime e dall’altro come un burocrate il cui intento politico sarebbe stato quello di mettere sotto controllo la ricerca scientifica (chissà il falso Bottai del film, oggi, magari, sarebbe al servizio della Pfizer!). Che Bottai possa aver obbedito ad una esigenza politica del regime può anche starci ma insieme al fatto, nascosto nel film, che egli, grande uomo di cultura, fu un difensore dell’assoluta libertà di pensatori, artisti, filosofi, scienziati che chiamava a scrivere sulle sue riviste, “Critica fascista” (alla quale era abbonato anche Antonio Gramsci) e “Primato”. Su quelle riviste scrissero anche intellettuali a-fascisti e persino antifascisti. Bottai difese la loro libertà e autonomia di pensiero perché egli, pur fascista – ma fascista di sinistra – sognava un fascismo libertario e guardava alla cultura quale mezzo di educazione popolare per realizzare il suo ideale di una democrazia sociale. Bottai si sforzò in ogni modo di liberalizzare il regime. Gli si potrebbe rimproverare di essere stato un velleitario ma sicuramente egli non è stato un grigio burocrate di Stato. Non ebbe successo nei suoi intenti liberalizzatori ma si impegnò in modo costante ed indefesso nel perseguirli.
Nel film è stata richiamata la leggenda del “raggio della morte”. Per la leggenda Marconi aveva scoperto un raggio capace di fermare i motori e polverizzare i mezzi automobili. Che quindi sarebbe stato una ottima arma. Invece stava lavorando a quello che sarebbe stato il radar. Ma il regime, ghiotto di una arma strabiliante, lo controllava per impadronirsene. Insomma, la manfrina è sempre quella. Se nel ventennio c’era un grande uomo – fosse esso uno scienziato, un artista, un poeta, un filosofo – quell’uomo doveva per forza essere nell’intimo antifascista. Impensabile che fosse fascista o che avesse simpatie per il fascismo. Orbene, le recensioni che ho letto dicono che il film sarebbe basato su documenti di archivio. Non ne dubito. Ma i documenti devono essere interpretati e per farlo bisogna tenere conto del loro contesto, quello nel quale si sono formati. Non si possono astrarre da quel contesto storico per far ad essi raccontare i fatti, e gli uomini che li animarono, con un retrogusto anacronistico e ideologicamente orientato.
Ora, veniamo a qualche dato storico effettivo.
Marconi, già noto scienziato di livello mondiale, senatore del regno già prima del fascismo, si avvicinò a quest’ultimo come un fiancheggiatore di matrice conservatrice – era di famiglia alto borghese. Conservatore per origini sociali ma modernizzatore come scienziato e imprenditore che mise a frutto economico le sue scoperte. Aderì al fascismo anche per via del “modernismo” del movimento di Mussolini. Fu membro del Gran Consiglio del Fascismo, anche se partecipò ad una sola seduta. Mussolini lo nominò Presidente della Regia Accademia della Scienza. Conosciuto ovunque nel mondo aveva un particolare rapporto, sin da giovane, per via della madre irlandese, con l’area anglosassone e di lingua inglese. Era popolarissimo in Inghilterra e negli Stati Uniti. Tra i fascisti non era certo l’unico con simpatia verso il mondo anglosassone. Tra gli altri anche Dino Grandi che era stato ambasciatorie a Londra.
Marconi, tuttavia, all’estero si mostrava sempre orgoglioso di essere italiano e fascista. Una sua dichiarazione pubblica rimase famosa. Disse, infatti, che come Mussolini aveva saputo riunire in un unico fascio le forze vive della nazione, anche lui aveva riunito in un solo fascio le energie della natura. Un parlare, questo, che certo non è pensabile per un antifascista in pectore, per un cripto oppositore del regime. Un parlare molto diverso dalla risposta anacronisticamente “umanitaria” che nel film gli viene fatta rivolgere al segretario di Bottai. Non a caso, nel dopoguerra Marconi fu accusato, dalla storiografia comunista, di essere stato un opportunista profittatore del regime.
Quindi – ecco la domanda – perché il regime lo controllava se, certamente, Marconi non era antifascista?
Marconi, come detto, era popolarissimo in America e Inghilterra. Anche in Francia. La politica del regime negli anni trenta iniziò a virare nelle sue alleanze internazionali. Il rischio era che le scoperte di Marconi, indipendentemente dalla sua lealtà politica, potessero essere intercettate da potenziali nemici esteri. Da qui il controllo esercitato dal regime. Che tuttavia continuò a onorarlo e supportarlo finanziariamente per le sue ricerche.
Dobbiamo, però ora porci anche un’altra domanda: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, insomma le democrazie liberali, se Marconi fosse stato americano, inglese o francese, cosa avrebbero fatto? Lo avrebbero anch’esse tenuto sotto controllo, mentre lo innalzavano come gloria nazionale, onde evitare che le sue potenziali scoperte potessero essere trafugate da potenze estere? Oppure non lo avrebbero infastidito? La risposta è evidente, perché è una risposta di realismo politico valida in ogni epoca. Certamente anche le democrazie lo avrebbero tenuto sotto vigilanza. Qualunque Paese lo avrebbe fatto, qualunque Paese lo fa anche oggi.
Marconi morì nel 1937. Non vide la tragedia della guerra ma fece in tempo ad assistere al mortale, e non inevitabile, avvicinamento dell’Italia fascista alla Germania nazista. Un avvicinamento che egli, legato sentimentalmente all’Inghilterra, non gradiva. Non era certamente l’unico antitedesco ed antinazista tra i fascisti. Anche Gabriele D’Annunzio tentò di convincere Mussolini a stare lontano da Hitler. Come lo scienziato il Vate non vide la tragedia della guerra perché morì nel 1938, un anno dopo Marconi. I rapporti di Marconi con Mussolini si raffreddarono, dunque, per questo esclusivo motivo e non per un suo presunto antifascismo aprioristico. Marconi, come D’Annunzio, cercò di usare il suo prestigio e peso culturale per far pressione su Mussolini affinché l’Italia non rompesse con l’Inghilterra. Ma questo non fa di lui un antifascista come non trasformò in antifascisti D’Annunzio o Grandi. O lo stesso Bottai che, come loro, aveva le sue riserve verso l’Asse. Ne aveva persino Galeazzo Ciano che pure stipulò, quale ministro degli esteri, l’alleanza con la Germania. E se è per questo, lo stesso Mussolini notoriamente diffidava di Hitler.
Quali scelte, se non fosse morto anticipatamente, Marconi avrebbe fatto il 25 luglio 1943 non possiamo dirlo. Non penso che sarebbe diventato antifascista. Forse sarebbe rimasto fedele alla Corona, passando tra i monarchici ma non alla resistenza dei rinati partiti antifascisti. Ipoteticamente avrebbe anche potuto restare fascista magari ritirandosi a vita privata ed aspettando la fine della guerra.
Insomma, la storia, anche quella di Guglielmo Marconi e dei suoi rapporti con il fascismo, è sempre complessa. Quando un film cerca di fare divulgazione sarebbe necessario che si attenesse al clima storico reale, evitasse anacronismi, non trasformasse un personaggio in quel che non è mai stato solo per una pregiudiziale scelta di conformità politica post factum.